La strada, poco più di un sentiero, si inerpica sulla collina,
ombreggiata da grandi pini marittimi,attraverso campi e orti..
Da qui si sale sull’Acropoli, dove sorgono
gli edifici civili, per l’amministrazione della nuova città, e i siti religiosi
.
Lì, sul luogo più alto e assolato, in
una atmosfera quasi incantata, sorge il tempio del Dio protettore della città ,
Helios / Apollo: una facciata di otto bianche colonne corinzie e il frontone,
sul quale è dipinto, con il suo carro del sole, il Dio il cui culto è caro ai
Cumani, fondatori della città .
Più giù, verso l’agorà, stanno sorgendo
altri templi, mentre sotto la cinta muraria, nel doppio muro, si scorgono
stazzi per animali, pozzi e depositi di generi alimentari..
Da quassù si può vedere anche il mare e
il porto, navi panciute da carico
all’ancora, triremi da guerra e altre
appena giunte con nuovi coloni, barche tirate a secco sulla spiaggia. A
sinistra, il vulcano che incombe sul golfo .
Neapolis, la nuova città, sta crescendo
e si sta sviluppando, stiamo creando
strade, tre grandi, in direzione est/ovest e altre che le incrociano in
direzione nord/sud;come ci ha insegnato Ippodamo da Mileto.
Gli abitanti stanno aumentando: Cumani ,
Sanniti ,Osci, Pithecusani, Ateniesi,…dovremo creare nuovi spazi e nuove
abitazioni e forse allargare le mura.
Si vedono in giro anche tipi strani,un
pò rustici, grezzi, cafoni, come diciamo
noi, che vengono da nord, da un villaggio etrusco del Lazio, si fanno chiamare
Romani, si atteggiano già a padroni del mondo; credo che tra qualche anno
dovremo fare i conti con loro.
Tra pochi anni, infatti, Roma si
affaccerà sulle colline circostanti e prenderà la città..
Il sentiero del Sole verrà man mano modificato e assorbito
dagli edifici; poco tempo ancora e il tempio di Apollo, così come quelli degli
altri Dei, verrà spogliato, derubato, sotterrato e inglobato da case e templi
di un’ altra fede religiosa.
Quando
ho saputo che “Visite guidate Neapolis itinera”, aveva organizzato un
itinerario storico-culturale partendo dalla via del Sole non ho potuto
rinunziarvi, e ho rimandato altri impegni già assunti.
Come
potevo non andare,dal momento che lì ero nato, e lì avevo vissuto i primi 7/8
anni della mia vita.
Oggi
, del “vicus Solis”, così come l’ho immaginato, è rimasto solo il nome - via
del Sole -, non è più quell’ antico
sentiero, è invece una strada assolata, senza alberi, più larga dei vicoli
adiacenti, che sale dritta verso il decumano superiore.
Sulla
destra, salendo, l’antica caserma dei pompieri, oggi un grande edificio vuoto e un enorme portone
chiuso, dal quale una volta entravano e uscivano gli automezzi a sirene
spiegate,…sulla sinistra, recintata, tutta la zona del vecchio Policlinico.
Guidati
dalla simpatica dott.sa Roberta, il gruppo, di circa trenta persone, arranca
sulla salita per arrivare all’inizio dell’Anticaglia, in via Sapienza.
Anticaglia
è un nome stranissimo, la parola indica in genere o un oggetto o usi e costumi
antiquati, assolutamente fuori moda. E questa strada è così chiamata proprio
per l’esistenza sul suo tracciato di resti di murature di un antico edificio
romano, identificato dagli archeologi come
parte dell’antico Teatro, che all’epoca sorgeva alle spalle del tempio
dei Dioscuri, oggi basilica di S.Paolo Maggiore.
Ma
la definizione più corretta di questa strada che porta almeno 4 nomi, - la via Sapienza, la via Pisanelli, l’Anticaglia
propriamente detta e via Santi Apostoli – è quella latina di Decumano
superiore.
Non
starò qui a ripetere la storia del
tracciato a griglia della città vecchia, di Ippodamo da Mileto, dei
decumani e dei cardini, ma basta ricordare che a Neapolis i decumani erano tre,
superiore, maggiore e inferiore, in direzione est/ovest, incrociati dai
cardini, le strade più strette, in direzione Nord/Sud.
I
più famosi e più conosciuti da turisti ma anche dai napoletani sono il decumano
major , cioè via Tribunali, e ancora di più la cosiddetta Spaccanapoli, il
decumano inferior. Quello superior, l’Anticaglia appunto è in genere
dimenticato e poco conosciuto, ma è un grosso errore, poiché chi si avventura
su l suo tracciato – diverso dagli altri due perché più articolato e non
rettilineo come gli altri – può scoprire la storia della città fin dalla
fondazione.
Subito
dopo l’inizio di via Sapienza e prima di via Pisanelli, ci fermiamo nello
slargo di Regina Coeli, che deriva dal nome della chiesa lì esistente.
Prima
di entrare, la nostra attenzione viene indirizzata sul palazzo di fronte, che
all’apparenza non ha nulla di particolarmente interessante, è abitato da famiglie normali e si vedono
panni stesi sui balconi.
Senonchè,
in una nicchia nel cortile interno, visibile anche dall’esterno, è contenuto un
busto di un tale con elmo e corazza. Si tratta di un guerriero aragonese, cioè
del periodo del regno napoletano degli Aragona dal 1441 al 1503. Probabilmente,
quel guerriero apparteneva alla famiglia che costruì il palazzo, i Bonifacio,
di cui non si hanno molte notizie. Gli storici parlano di una tal Dragonetto
Bonifacio,che nel 1460 aveva avuto la castellania di Aversa e fu padre di 4
figli, 3 maschi e una femmina. Questa si chiamava Carmosina, ed è lei che abitò
in questo palazzo.
Qualcuno
penserà: ma chi se ne frega, ma chi è ‘sta Carmosina, e perché ci mostrano
questo palazzo? Ha ragione, questo palazzo non ha storia, e Carmosina non fece nulla di rilevante.
Il
vero motivo per cui Carmosina viene
ricordata è per una presunta e non provata storia d’amore con il poeta
napoletano Jacopo Sannazzaro (1456/1530)e per alcuni versi che questi scrisse
per lei.
Ci
fu chi disse che non dovesse “ passarsi
sotto silenzio il palazzo che fu dimora della casa Bonofacia e dove abitò Carmosina
di questa prosapia, tanto vagheggiata da Giacomo Sannazzaro, il Virgilio
napoletano, celeberrimo poeta latino e toscano”( “ I PALAZZI DI NAPOLI del 1845
di Luigi Catalani ( Roma 1809, Napoli 1867, architetto municipale di Napoli). “Toscano” è da intendersi come italiano, o
meglio “ volgare” poiché all’epoca il toscano stava prendendo il sopravvento
sugli altri volgari.
Jacopo
Sannazzaro, nato a Napoli nel 1457 e morto sempre a Napoli nel 1530, poeta e
umanista, è rimasto famoso sia per le Egloghe, poesie bucoliche di ispirazione
virgiliana, sia per l’Arcadia, romanzo pastorale in prosa e versi.
Si
racconta che Jacopo era innamorato, e ricambiato, di Carmosina Bonifacio, che
era diventata anche la sua maggiore ispiratrice; non si conoscono, però, molti
elementi per provare questo legame, se non qualche epigramma, come: “ charmosinem quisquis seu vir, seu foemina
vidit, deperit”, cioè qualsiasi uomo o donna abbia visto Carmosina, se ne
innammorò perdutamente.
Iacopo,
diventato uomo di corte di re Federico III di Aragona(1451/1504), lo segui in
esilio quando nel 1503 a
Napoli arrivarono gli Spagnoli, e tornò nella città solo dopo la morte dei
Federico avvenuta nel 1504.
Ma,
quando egli tornò, Carmosina era morta, e non restò altro che dedicarle un
epitaffio.
Secondo
alcuni ( V.Gleijeses, la Storia
di Napoli, ed SEN 1974 pag.556), Carmosina sarebbe morta “appena
quattordicenne”. Possibile? Nel 1504,
quando tornò a Napoli, il nostro Jacopo, se la data di nascita è quella del
1457, aveva più di 50 anni. E la ragazza sarebbe morta tra il 1503 e il 1504, a 14 anni. A me
sembra che qualcosa non quadri, e lascio
a chi legge eventuali commenti.
Di
fronte al palazzo Bonifacio c’è la chiesa di S.Maria Regina Coeli, che da il
nome anche alla piazzetta.
Regina
Coeli è una delle tante chiese di Napoli. In questa città ci sono più chiese
che a Roma: da un conteggio approssimativo ce ne sono almeno 350/400.
La
costruzione di edifici religiosi, compresi i monasteri, prese piede con il
regno Angioino molto legato al Papato, al quale Carlo I° d’Angiò doveva il
regno. Era stato infatti chiamato dal Papa Urbano IV, per combattere contro gli
eredi dello scomunicato Federico II, e
conquistarne il regno.
Il
legame tra il Papa e gli Angioini, fece sì che la città, diventata capitale del
regno al posto di Palermo, si riempisse di conventi e chiese, di frati e
monache tutti gli ordini religiosi e che fosse introdotta l’Inquisizione.
Fu
una vera e propria frenesia quella di edificare chiese e monasteri, che durò anche
con i successivi governanti, Aragona,
Spagnoli e Borbone: furono sfruttati tutti gli spazi ancora disponibili
entro e fuori le mura, distruggendo
campi, orti e giardini, torri e porte di
accesso, senza alcun rispetto per la storia della città, buttando giù antiche
costruzioni e depredandone materiali e arredi.
Con
tutti questi edifici religiosi e di conseguenza le sovvenzioni economiche reali e quelle degli ordini
religiosi, fu abbastanza naturale che tutti i maggiori artisti, napoletani e
non, architetti, pittori scultori, per secoli furono chiamati a lavorare per abbellirli ed è per questo che,
se ancora oggi si vogliono vedere opere d’arte bisogna visitare le chiese della città.
Tornando
a Regina coeli, quante volte negli anni sono passato per questa piazzetta senza
accorgermi di questo edificio, soprattutto perché sempre chiuso, sempre anonimo.
Oggi
è aperta perché è il maggio dei monumenti, malgrado monaci, monache e preti,
facciano di tutto per scoraggiare i visitatori;
naturalmente sono vietate le foto e si sprecano i controlli.
La
chiesa, con annesso monastero, è gestita da suore di un ordine, per me
sconosciuto – suore della carità secondo alcuni, per altri suore del’ordine di
s. Agostino - , che ci seguono e ci controllano, come Cerberi, passo, passo.
Secondo Gennaro Aspreno Galante nel suo Le
Chiese di Napoli, “ questa chiesa è una
delle più belle di Napoli, e le proporzioni sono elegantissime”.
Regina
coeli fu edificata nel 1594
dall’architetto Francesco Mormando, e costituisce un importante esempio di arte
rinascimentale e barocca
La
facciata è molto semplice, una ampia scala e un portico ci conducono dentro. L’interno è composto da una unica navata e da cappelle
laterali: è un tripudio di legno, marmi,
di quadri e affreschi.
Il
soffitto è di legno a cassettoni Al
centro, la rappresentazione della nascita, l’annunciazione e assunzione di
Maria sono dipinti da Massimo Stanzione, mentre le virtù ad olio sono di Micco
Spadaro, si ammirano poi i dipinti di Luca Giordano raffiguranti scene della
vita di s. Agostino .
Le
monache sono gelose anche del chiostro, la cui entrata principale è in via
S.Gaudioso, questo chiostro a mio parere, non presenta nulla di particolarmente e artisticamente rilevante, al centro c’è una
fontana pozzo del XVI secolo, in marmo circondata da sfere e obelischi, mi ricorda altri che ho già visto, come quello
delle monache di S.Gregorio Armeno.
Usciti
dalla via S.Gaudioso, ci incamminiamo verso l’ospedale degli Incurabili. L’ospedale
fu fondato nel 1520 /22 e si chiama così
perché era riservato a pazienti affetti da malattie che, all’epoca, erano
considerate “incurabili”.
Dicono
che sarebbe interessante visitarne la Farmacia,
ma la nostra guida ci informa che non è stata data l’autorizzazione.
Chi
è riuscito a visitarla parla di un vasto salone rivestito di legno di noce,
diviso in scaffalature e vetrine, nelle quali sono esposte bottigliette e
bicchieri, che servivano per contenere medicinali, vetri di Murano e di Boemia
o lavorati a Napoli e centinaia di vasi di maiolica. Il salone è abbellito da dipinti
del XVI sec. e di epoche successive.
La
nostra attenzione viene attratta, sotto l ‘ospedale, da alcuni ruderi: sono i
resti delle mura greco-romane che come si sa, correvano lungo l’attuale via Foria. Le mura, quelle
che ancora vediamo in piazza Bellini, dicono gli studiosi, si prolungavano
lungo l’attuale via Costantinopoli, giravano a destra in direzione di via
Foria, e deviavano all’incirca lungo la attuale via S.Giovanni a Carbonara,
scendendo verso la zona di Forcella, dove ci sono tracce ancora visibili in
piazza Calenda; da qui si dirigevano verso la spiaggia, che all’epoca si
stendeva lungo la strada detta il Rettifilo, risalivano il dislivello di via
Mezzocannone, e, lungo la direttrice di P.za S.Domenico e via S.Sebastiano, si
ricongiungevano a piazza Bellini.
Proseguendo lungo il
percorso, ci si ritrova all’interno della porta S. Gennaro. Questa è una delle
quattro. porte della città vecchia rimaste in piedi, insieme a port’Alba, porta
Nolana e a quella che io considero la più importante, porta Capuana.
Fin dalle epoche più antiche, in questa zona – via Forìa -,
lungo il percorso delle mura, c’era sicuramente un torrione o due, e una porta,
dalla quale si snodava uno dei percorsi settentrionali di collegamento con la
zona collinare di Capodimonte: sul largo antistante – oggi piazza Cavour - c’erano alberi di pino, che diedero poi il
nome al luogo, di Largo delle pigne.
La posizione attuale
della porta è quella del 1537, quando il vicerè don Pedro de Toledo allargò le
mura, e fu cosi chiamata perché portava
alle catacombe di S. Gennaro, sulla collina di Capodimonte.
Il Santo è ricordato anche nell’affresco dipinto sulla
porta. Risale al 1656, durante una gravissima pestilenza e fu dipinto da Mattia
Preti, pittore calabrese
Mattia , che sapeva usar la spada come e meglio del
pennello, era fuggito da Roma, nel 1648,
per avere ucciso in duello non si sa bene se il marito della sua amante
o un altro pittore che aveva criticato un suo dipinto.
Inseguito dalle
guardie pontificie, era arrivato alle porte di Napoli, che però erano chiuse da
un cordone sanitario a causa della pestilenza. Le guardie napoletane perciò gli
avevano impedito l’ingresso in città. Ma Mattia, infuriatosi, tirò fuori la
spada, uccise una guardia e violò il divieto di ingresso.
Ricercato e
catturato, fu condannato a morte. La sua fama di artista però gli salvò la
vita, la sua condanna infatti fu tramutata in “ lavoro coatto”, fu cioè
condannato a dipingere tutte le porte della città che aveva violato. Così tutte
le porte ebbero il loro affresco, e quello di porta S. Gennaro è l’unico ancora
abbastanza visibile. Ma… sicuramente meriterebbe un restauro.
Mentre il gruppo prosegue, il mio itinerario finisce qui,
per altri impegni personali. Spero di poterlo portare a termine un’altra volta.
scrivi molto bene, ma Sannazzaro con 2 zeta nun se po leggere...
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