sabato 16 giugno 2012

La via del Sole e l'Anticaglia


La strada, poco più di un  sentiero, si inerpica sulla collina, ombreggiata da grandi pini marittimi,attraverso campi e orti..
Da qui si sale sull’Acropoli, dove sorgono gli edifici civili, per l’amministrazione della nuova città, e i siti religiosi .
Lì, sul luogo più alto e assolato, in una atmosfera quasi incantata, sorge il tempio del Dio protettore della città , Helios / Apollo: una facciata di otto bianche colonne corinzie e il frontone, sul quale è dipinto, con il suo carro del sole, il Dio il cui culto è caro ai Cumani, fondatori della città .
Più giù, verso l’agorà, stanno sorgendo altri templi, mentre sotto la cinta muraria, nel doppio muro, si scorgono stazzi per animali, pozzi e depositi di generi alimentari..
Da quassù si può vedere anche il mare e il  porto, navi panciute da carico all’ancora, triremi da guerra e altre  appena giunte con nuovi coloni, barche tirate a secco sulla spiaggia. A sinistra, il vulcano che incombe sul golfo .
Neapolis, la nuova città, sta crescendo e si sta sviluppando,  stiamo creando strade, tre grandi, in direzione est/ovest e altre che le incrociano in direzione nord/sud;come ci ha insegnato Ippodamo da Mileto.
Gli abitanti stanno aumentando: Cumani , Sanniti ,Osci, Pithecusani, Ateniesi,…dovremo creare nuovi spazi e nuove abitazioni e forse allargare le mura.
Si vedono in giro anche tipi strani,un pò rustici, grezzi,  cafoni, come diciamo noi, che vengono da nord, da un villaggio etrusco del Lazio, si fanno chiamare Romani, si atteggiano già a padroni del mondo; credo che tra qualche anno dovremo fare i conti con loro.  
Tra pochi anni, infatti,  Roma  si affaccerà sulle colline circostanti e prenderà la città.. 
Il sentiero  del Sole verrà man mano modificato e assorbito dagli edifici; poco tempo ancora e il tempio di Apollo, così come quelli degli altri Dei, verrà spogliato, derubato, sotterrato e inglobato da case e templi di un’ altra fede religiosa.



Quando ho saputo che “Visite guidate Neapolis itinera”, aveva organizzato un itinerario storico-culturale partendo dalla via del Sole non ho potuto rinunziarvi, e ho rimandato altri impegni già assunti.
Come potevo non andare,dal momento che lì ero nato, e lì avevo vissuto i primi 7/8 anni della mia vita.
Oggi , del “vicus Solis”, così come l’ho immaginato, è rimasto solo il nome - via del Sole -,  non è più quell’ antico sentiero, è invece una strada assolata, senza alberi, più larga dei vicoli adiacenti, che sale dritta verso il decumano superiore.
Sulla destra, salendo, l’antica caserma dei pompieri, oggi  un grande edificio vuoto e un enorme portone chiuso, dal quale una volta entravano e uscivano gli automezzi a sirene spiegate,…sulla sinistra, recintata, tutta la zona del vecchio Policlinico.
Guidati dalla simpatica dott.sa Roberta, il gruppo, di circa trenta persone, arranca sulla salita per arrivare all’inizio dell’Anticaglia, in via Sapienza.
Anticaglia è un nome stranissimo, la parola indica in genere o un oggetto o usi e costumi antiquati, assolutamente fuori moda. E questa strada è così chiamata proprio per l’esistenza sul suo tracciato di resti di murature di un antico edificio romano, identificato dagli archeologi come  parte dell’antico Teatro, che all’epoca sorgeva alle spalle del tempio dei Dioscuri, oggi basilica di S.Paolo Maggiore.
Ma la definizione più corretta di questa strada che porta almeno 4 nomi,  - la via Sapienza, la via Pisanelli, l’Anticaglia propriamente detta e via Santi Apostoli – è quella latina di Decumano superiore.
Non starò qui a ripetere la storia del  tracciato a griglia della città vecchia, di Ippodamo da Mileto, dei decumani e dei cardini, ma basta ricordare che a Neapolis i decumani erano tre, superiore, maggiore e inferiore, in direzione est/ovest, incrociati dai cardini, le strade più strette, in direzione Nord/Sud.
I più famosi e più conosciuti da turisti ma anche dai napoletani sono il decumano major , cioè via Tribunali, e ancora di più la cosiddetta Spaccanapoli, il decumano inferior. Quello superior, l’Anticaglia appunto è in genere dimenticato e poco conosciuto, ma è un grosso errore, poiché chi si avventura su l suo tracciato – diverso dagli altri due perché più articolato e non rettilineo come gli altri – può scoprire la storia della città fin dalla fondazione.
Subito dopo l’inizio di via Sapienza e prima di via Pisanelli, ci fermiamo nello slargo di Regina Coeli, che deriva dal nome della chiesa lì esistente.
Prima di entrare, la nostra attenzione viene indirizzata sul palazzo di fronte, che all’apparenza non ha nulla di particolarmente interessante,  è abitato da famiglie normali e si vedono panni stesi sui balconi.
Senonchè, in una nicchia nel cortile interno, visibile anche dall’esterno, è contenuto un busto di un tale con elmo e corazza. Si tratta di un guerriero aragonese, cioè del periodo del regno napoletano degli Aragona dal 1441 al 1503. Probabilmente, quel guerriero apparteneva alla famiglia che costruì il palazzo, i Bonifacio, di cui non si hanno molte notizie. Gli storici parlano di una tal Dragonetto Bonifacio,che nel 1460 aveva avuto la castellania di Aversa e fu padre di 4 figli, 3 maschi e una femmina. Questa si chiamava Carmosina, ed è lei che abitò in questo palazzo.
Qualcuno penserà: ma chi se ne frega, ma chi è ‘sta Carmosina, e perché ci mostrano questo palazzo? Ha ragione, questo palazzo non ha storia, e  Carmosina non fece nulla di rilevante.
Il vero motivo per cui  Carmosina viene ricordata è per una presunta e non provata storia d’amore con il poeta napoletano Jacopo Sannazzaro (1456/1530)e per alcuni versi che questi scrisse per lei.
Ci fu chi disse che non  dovesse “ passarsi sotto silenzio il palazzo che fu dimora della casa Bonofacia e dove abitò Carmosina di questa prosapia, tanto vagheggiata da Giacomo Sannazzaro, il Virgilio napoletano, celeberrimo poeta latino e toscano”( “ I PALAZZI DI NAPOLI del 1845 di Luigi Catalani ( Roma 1809, Napoli 1867, architetto municipale di Napoli).  “Toscano” è da intendersi come italiano, o meglio “ volgare” poiché all’epoca il toscano stava prendendo il sopravvento sugli altri volgari.
Jacopo Sannazzaro, nato a Napoli nel 1457 e morto sempre a Napoli nel 1530, poeta e umanista, è rimasto famoso sia per le Egloghe, poesie bucoliche di ispirazione virgiliana, sia per l’Arcadia, romanzo pastorale in prosa e versi.
Si racconta che Jacopo era innamorato, e ricambiato, di Carmosina Bonifacio, che era diventata anche la sua maggiore ispiratrice; non si conoscono, però, molti elementi per provare questo legame, se non qualche epigramma, come:  “ charmosinem quisquis seu vir, seu foemina vidit, deperit”, cioè qualsiasi uomo o donna abbia visto Carmosina, se ne innammorò perdutamente.
Iacopo, diventato uomo di corte di re Federico III di Aragona(1451/1504), lo segui in esilio quando nel 1503 a Napoli arrivarono gli Spagnoli, e tornò nella città solo dopo la morte dei Federico avvenuta nel 1504.
Ma, quando egli tornò, Carmosina era morta, e non restò altro che dedicarle un epitaffio.
Secondo alcuni ( V.Gleijeses, la Storia di Napoli, ed SEN 1974 pag.556), Carmosina sarebbe morta “appena quattordicenne”.  Possibile? Nel 1504, quando tornò a Napoli, il nostro Jacopo, se la data di nascita è quella del 1457, aveva più di 50 anni. E la ragazza sarebbe morta tra il 1503 e il 1504, a 14 anni. A me sembra  che qualcosa non quadri, e lascio a chi legge eventuali commenti.     
Di fronte al palazzo Bonifacio c’è la chiesa di S.Maria Regina Coeli, che da il nome anche alla piazzetta.
Regina Coeli è una delle tante chiese di Napoli. In questa città ci sono più chiese che a Roma: da un conteggio approssimativo ce ne sono almeno 350/400.
La costruzione di edifici religiosi, compresi i monasteri, prese piede con il regno Angioino molto legato al Papato, al quale Carlo I° d’Angiò doveva il regno. Era stato infatti chiamato dal Papa Urbano IV, per combattere contro gli eredi dello scomunicato Federico II, e  conquistarne il regno.
Il legame tra il Papa e gli Angioini, fece sì che la città, diventata capitale del regno al posto di Palermo, si riempisse di conventi e chiese, di frati e monache tutti gli ordini religiosi e che fosse introdotta l’Inquisizione.
Fu una vera e propria frenesia quella di edificare chiese e monasteri, che durò anche con i successivi governanti, Aragona,  Spagnoli e Borbone: furono sfruttati tutti gli spazi ancora disponibili entro  e fuori le mura, distruggendo campi, orti e giardini,  torri e porte di accesso, senza alcun rispetto per la storia della città, buttando giù antiche costruzioni e depredandone materiali e arredi.
Con tutti questi edifici religiosi e di conseguenza le sovvenzioni  economiche reali e quelle degli ordini religiosi, fu abbastanza naturale che tutti i maggiori artisti, napoletani e non, architetti, pittori scultori, per secoli furono chiamati  a lavorare per abbellirli ed è per questo che, se ancora oggi si vogliono vedere opere d’arte  bisogna visitare le chiese della città.
Tornando a Regina coeli, quante volte negli anni sono passato per questa piazzetta senza accorgermi di questo edificio, soprattutto perché sempre chiuso, sempre anonimo.
Oggi è aperta perché è il maggio dei monumenti, malgrado monaci, monache e preti, facciano di tutto per scoraggiare i visitatori;  naturalmente sono vietate le foto e si sprecano i controlli.
La chiesa, con annesso monastero, è gestita da suore di un ordine, per me sconosciuto – suore della carità secondo alcuni, per altri suore del’ordine di s. Agostino - , che ci seguono e ci controllano, come Cerberi, passo, passo.
 Secondo Gennaro Aspreno Galante nel suo Le Chiese di Napoli,  “ questa chiesa è una delle più belle di Napoli, e le proporzioni sono elegantissime”.
Regina coeli  fu edificata nel 1594 dall’architetto Francesco Mormando, e costituisce un importante esempio di arte rinascimentale e barocca
La facciata è molto semplice, una ampia scala e un portico ci conducono dentro.  L’interno è composto da una unica navata e da cappelle laterali:  è un tripudio di legno, marmi, di quadri e affreschi.
Il soffitto è di legno a cassettoni  Al centro, la rappresentazione della nascita, l’annunciazione e assunzione di Maria sono dipinti da Massimo Stanzione, mentre le virtù ad olio sono di Micco Spadaro, si ammirano poi i dipinti di Luca Giordano raffiguranti scene della vita di s. Agostino .
Le monache sono gelose anche del chiostro, la cui entrata principale è in via S.Gaudioso, questo chiostro a mio parere, non presenta nulla di particolarmente  e artisticamente rilevante, al centro c’è una fontana pozzo del XVI secolo, in marmo circondata da sfere e obelischi,  mi ricorda altri che ho già visto, come quello delle monache di S.Gregorio Armeno.  

Usciti dalla via S.Gaudioso, ci incamminiamo verso l’ospedale degli Incurabili. L’ospedale fu fondato nel 1520 /22  e si chiama così perché era riservato a pazienti affetti da malattie che, all’epoca, erano considerate “incurabili”.
Dicono che sarebbe interessante visitarne la  Farmacia, ma la nostra guida ci informa che non è stata data l’autorizzazione.
Chi è riuscito a visitarla parla di un vasto salone rivestito di legno di noce, diviso in scaffalature e vetrine, nelle quali sono esposte bottigliette e bicchieri, che servivano per contenere medicinali, vetri di Murano e di Boemia o lavorati a Napoli e centinaia di vasi di maiolica. Il salone è abbellito da dipinti del XVI sec. e di epoche successive.
La nostra attenzione viene attratta, sotto l ‘ospedale, da alcuni ruderi: sono i resti delle mura greco-romane che come si sa, correvano  lungo l’attuale via Foria. Le mura, quelle che ancora vediamo in piazza Bellini, dicono gli studiosi, si prolungavano lungo l’attuale via Costantinopoli, giravano a destra in direzione di via Foria, e deviavano all’incirca lungo la attuale via S.Giovanni a Carbonara, scendendo verso la zona di Forcella, dove ci sono tracce ancora visibili in piazza Calenda; da qui si dirigevano verso la spiaggia, che all’epoca si stendeva lungo la strada detta il Rettifilo, risalivano il dislivello di via Mezzocannone, e, lungo la direttrice di P.za S.Domenico e via S.Sebastiano, si ricongiungevano a piazza Bellini.
Proseguendo lungo il percorso, ci si ritrova all’interno della porta S. Gennaro. Questa è una delle quattro. porte della città vecchia rimaste in piedi, insieme a port’Alba, porta Nolana e a quella che io considero la più importante, porta Capuana.
Fin dalle epoche più antiche, in questa zona – via Forìa -, lungo il percorso delle mura, c’era sicuramente un torrione o due, e una porta, dalla quale si snodava uno dei percorsi settentrionali di collegamento con la zona collinare di Capodimonte: sul largo antistante – oggi piazza Cavour -  c’erano alberi di pino, che diedero poi il nome al luogo, di Largo delle pigne.
La  posizione attuale della porta è quella del 1537, quando il vicerè don Pedro de Toledo allargò le mura, e fu cosi chiamata perché portava  alle catacombe di S. Gennaro, sulla collina di Capodimonte.
Il Santo è ricordato anche nell’affresco dipinto sulla porta. Risale al 1656, durante una gravissima pestilenza e fu dipinto da Mattia Preti, pittore calabrese
Mattia , che sapeva usar la spada come e meglio del pennello, era fuggito da Roma, nel 1648,  per avere ucciso in duello non si sa bene se il marito della sua amante o un altro pittore che aveva criticato un suo dipinto.
 Inseguito dalle guardie pontificie, era arrivato alle porte di Napoli, che però erano chiuse da un cordone sanitario a causa della pestilenza. Le guardie napoletane perciò gli avevano impedito l’ingresso in città. Ma Mattia, infuriatosi, tirò fuori la spada, uccise una guardia e violò il divieto di ingresso.
 Ricercato e catturato, fu condannato a morte. La sua fama di artista però gli salvò la vita, la sua condanna infatti fu tramutata in “ lavoro coatto”, fu cioè condannato a dipingere tutte le porte della città che aveva violato. Così tutte le porte ebbero il loro affresco, e quello di porta S. Gennaro è l’unico ancora abbastanza visibile. Ma… sicuramente meriterebbe un restauro.  
Mentre il gruppo prosegue, il mio itinerario finisce qui, per altri impegni personali. Spero di poterlo portare a termine un’altra volta.


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