martedì 27 dicembre 2011

Il presepe napoletano

“Presepe” indica la mangiatoia, la stalla, perciò la scena della Natività così come indicata nei testi religiosi cristiani, nei vangeli: nel Vangelo di Luca si parla solo della mangiatoia, nei vangeli apocrifi appaiono invece, tutti gli altri elementi, la grotta, il bue e l’asino, i pastori adoranti, la cometa.

La tradizione cristiana fa risalire il primo presepe a Francesco d’Assisi, che nel dicembre del 1223, ottenuta l’autorizzazione dal papa Onorio III, fece rivivere, in una grotta di Greccio, oggi in provincia di Rieti, Lazio, la scena della natività. Nella grotta egli fece sistemare una mangiatoia, arrivarono contadini e pastori con cavalli, asini e altre bestie, e lì fu celebrata la messa.

La scena è ricordata in un dipinto di Giotto, un affresco della cappella superiore di S. Francesco ad Assisi, e viene ricordata come il primo presepe..

Secondo alcuni studiosi, il primo presepe invece, consistente in una semplice rappresentazione della natività, fu fatto a Roma, nell’827 da papa Gregorio IV. Questo tipo di rappresentazione sacra, detta anche “mistero”, era molto diffusa nelle campagne e nelle città, già nell’alto medio Evo.

A Napoli, il primo presepe, secondo alcuni, fu allestito nel 1025, in una antica diaconìa – così veniva definito nelle prime comunità cristiane un ufficio ecclesiastico subordinato al vescovo -, con una semplice tettoia sorretta da due antiche colonne romane.

E’ in questa città che il presepe assumerà un suo particolare sviluppo.

Innanzi tutto, a Napoli, c’è, unica al mondo, una intera strada dedicata al presepe: è via S.Gregorio Armeno, nel centro storico, l’antico “cardo maior” dell’epoca romana, che unisce la via Tribunali, il decumano maior, con la più famosa via di Spaccanapoli, il decumano inferior.

Chi volesse approfondire questo aspetto storico, può leggere, su questo stesso blog,”Itinerari”

Qui basterà ricordare che, già più di duemila anni fa, alcuni parlano già del IV o III secolo a.c., su quella stessa strada, artigiani Greci e Romani fabbricavano statuette di creta da offrire alla dea Demetra (o Cerere ), il cui tempio si trovava proprio dove poi fu fondato, e ancora oggi esiste, la chiesa e il convento di S.Gregorio Armeno.

Personalmente credo che si tratti più di una leggenda, ma è storicamente provato che lì esisteva il tempio di Cerere, per cui non si può neanche escludere che nelle vicinanze ci fossero botteghe dedite alla fabbricazione e alla vendita di statuette votive, anche per gli altri Dei dell’epoca, i cui templi erano sempre nella zona..

Per secoli, il presepe fu essenzialmente una semplice rappresentazione liturgica anche a Napoli; secondo gli storici, bisogna arrivare al 1534 per un importante mutamento, avvenuto ad opera di S.Gaetano di Thiene, che operava nella chiesa di S. Paolo maggiore, situata nella piazza che oggi prende il suo nome, all’inizio e di fronte alla via S.Gregorio Armeno. Quale era questa novità? La natività fu attualizzata, resa più reale, i personaggi che animavano il presepe furono vestiti non come al tempo di Cristo, ma con abiti del ‘500. Fu, si racconta, un grande successo popolare.

Si proseguì perciò su questa strada, allestendo presepi sempre più complessi e con statuine di varia grandezza e fatte di vario materiale, con abiti su misura, capelli veri, visi più espressivi, fino ad arrivare poi, nel XVIII sec. alla composizione che conosciamo ancora oggi.

Lì, lungo tutta la strada di S.Gregorio, continua a fiorire ancora l’ antica attività artigiana, che forma, costruisce, dipinge e veste le statuine in terracotta, chiamati genericamente i ”pastori”. Tanti ricordi di quando ero ragazzino, si andava a vedere e comprare i pastori, ad acquistare il “sughero” per fabbricare il presepe in casa.

La particolarità del presepe di Napoli fu ed è questa, cioè quella di perdere molti elementi religiosi, e di assumere, invece, un carattere più allegro e vivace, di festa, più realistico e autentico.

Lì viene rappresentato tutto un mondo, contiene non soltanto Madonna, Giuseppe, Bambino, bue, asinello e altri personaggi della tradizione cristiana, ma una serie di caratteristiche figure del folklore napoletano, mescolate con figure orientali, spesso con una confusione di epoche e di costumi. Ad esempio si abbigliarono i re Magi come re spagnoli, con mantelline, gorgierine increspate, mentre i pastori indossarono costumi del Molise e della Calabria.

Sono i personaggi che rappresentano il mondo reale con tutte le sue categorie sociali, soprattutto dell’epoca d’oro del presepe, il ‘700, con tutti i suoi mestieri e professioni.

Così il vinaio Cicci Bacco sulla botte, il pastorello Benino, ritratto dormiente, il pescatore e il barbiere Sarchiapone, il mercante, e altri, e oggi, come accennavo, qualche artigiano si avventura nella rappresentazione di personaggi attuali, politici, calciatori famosi e personaggi presi dalla cronaca.

Come dice Francesco Durante, nel suo “i Napoletani “: “che cos’è il presepe, se non la miniatura del mondo intero?”.

Lo studioso Franco Mancini diceva che nel presepe napoletano: “l’arrotino, la zingara, il bottegaio, lo storpio, il pezzente, danno vita a una singolare corte dei miracoli, cui è contrapposta l’opulenza del mondo orientale, con il fasto e la ricchezza del seguito dei Re Magi”.

Una vera e propria arte che si sviluppò con Carlo di Borbone: il re aveva una vera passione per il presepe ed era condivisa anche dalla regina che sembra provvedesse direttamente all’allestimento e alla scelta delle vesti da mettere ai pastori.

Scultori famosi, come Giuseppe Sanmartino e Lorenzo Vaccaro, quest’ultimo anche pittore, si dedicarono alla realizzazione di teste, mani e piedi per le statuine da presepe, ed anche abili artigiani contribuirono alla formazione questo genere artistico e di quella struttura caratteristica del presepe napoletano. La grotta della natività generalmente posta in basso, con angeli e pastori,in alto la montagna con pastori , le greggi e qualche angelo volteggiante, e la stella cometa, di lato la taverna e gli avventori e gli altri personaggi tipici.

Le fotografie che pubblico sono scattate sul presepe esposto nella Certosa di S.Martino, in via S. Gregorio Armeno e nella omonima chiesa.

Sul presepe, Eduardo de Filippo, ci ha costruito una delle sue commedie più famose “Natale in casa Cupiello”, dove combatte una inutile battaglia per convincere il figlio che il presepe è bello:”Te piace ‘o presepio?”, e gli illustra la preparazione:” ccà, po’ ce faccio l’osteria….’a funtanella ca votta ll’acqua veramente…..”. Ma è inutile perché : “ Nun me piace, ‘o presepio..”.Ed è sempre al “Presebbio”, sono rivolte le ultime parole del protagonista: “ che bel presepe! Quanto è bello!”.

Oggi, la tradizione del vero presepe si sta perdendo, sostituita dal più veloce, moderno e consumistico albero di Natale.

giovedì 15 dicembre 2011

Carditello




Tempo fa avevo tracciato, o, almeno, avevo provato, una breve descrizione della Reggia di Carditello, antica residenza estiva dei Borbone di Napoli, dalla sue origini ad oggi: chi vuole può andare a cercare sul sito “arte ricerca.com ”, Testi d’arte e pubblicazioni, oppure sul blog “Storie e storie”,www giovanniattina.blogspot.com.
Avevo provato a descriverne la storia e la bellezza antica, i saccheggi subiti e il degrado di oggi, con le discariche abusive che la circondano, i siti di stoccaggio di immondizie raccolte in balle di plastica.
Per non dire dell’interno, dove non mi è stato possibile entrare, ma che, da quel che si sa, è stato depredato tutto quello che era possibile , camini, fregi, marmi delle scalinate, acquasantiere, sono stati sfregati i dipinti e gli affreschi, fin dall ‘arrivo dei Fratelli d’Italia, 150 anni fa.
Se ne è occupato da ultimo anche la trasmissione “Report”, di Rai tre, Domenica 4 dicembre, mostrando lo scempio interno ed esterno del sito, e lo scaricabarile dei vari Enti che avrebbero dovuto e dovrebbero effettuare gli interventi di manutenzione, mentre due giorni prima se ne era parlato anche sui radio RAI 3.
La situazione di degrado di Carditello non è diversa da quelle di tanti altri nostri siti artistici archeologici e storici.
Questo paese, e questi governi, che, per trovare soldi, non sanno fare altro – come al solito - che aumentare la benzina e le sigarette, tassare lavoratori dipendenti e pensionati, e si vendono i gioielli di famiglia agli affaristi, sembra di vedere Totò che si vendeva la fontana di Trevi.
Questi non hanno ancora capito che l ‘unica industria che abbiamo e che può rendere economicamente, è costituita da quei beni culturali, artistici, archeologici e storici di cui siamo veramente pieni, altro che FIAT, Marchionne e compagnia.
Basterebbe ovviamente tenerli bene e non mandarli in rovina; consiglio a tal proposito di leggere “Vandali” di Gianantonio Stella e Sergio Rizzo, che dicono, a proposito della Campania, “ex felix”: “ Macerie archeologiche, macerie finanziarie, macerie turistiche…….Nonostante l’antica Capua, nonostante Velia e Paestum, nonostante Ercolano, Oplontis, Pompei e una miriade di altri siti.”.
Carditello, peraltro, suscita appetiti minacciosi e criminali, bisogna, infatti, ricordarsi anche che a poca distanza c’è una “ridente” cittadina che si chiama Casal di Principe, che non ha nulla a che fare con nessun principe, ma è nota alle cronache – e alla Polizia - per ben altro.
Per venire alla storia di oggi, devo dire che poco tempo fa, un cortese lettore, leggendo l’intervento su “arte ricerca.com”, aveva segnalato la ventilata vendita per 50 milioni di Euro.
La Reggia fu data in proprietà, negli anni ’20 del XX secolo, al Consorzio di bonifiche del bacino inferiore del Volturno, che l’ha mandato in rovina. Non ho mai capito per quale motivo un bene storico culturale fu dato in “proprietà” a quell’Ente, che sarà anche bravo e onesto nelle effettuare bonifiche del fiume, ma che “ c’azzecava e c’azzecca” con un sito di carattere culturale, lo si capisce dal modo in cui è stato conservato e utilizzato.
Ora sembra che il Consorzio è pieno di debiti, Regione, Provincia e Comune , malgrado le belle parole, non hanno fatto niente. Si dice che cii fosse un interesse della Regione per farne un centro di attrazione storico-culturale e anche turistico, ma evidentemente non è cosi.
E, siccome alle banche, nel caso particolare, prima il Banco di Napoli e ora Banca Intesa non interessa niente della cultura, per pagare i debiti del consorzio il bene è stato messo all’asta dal Tribunale per 25 milioni di Euro. La gara, il 20 novembre di quest’anno c’è stata la seconda asta, è andata deserta, ed è stata già fissata la terza per marzo 2012, a un prezzo ribassato di 15 milioni di Euro. Si teme che il prezzo calerà ancora, fino a che non sarà veramente svenduta, a chi ? E questo Tribunale, che fretta ha?
Fu costituito anche un comitato” Salviamo Carditello”, di cui fanno parte Enti, come Italia nostra, e normali cittadini, che ha rivolto appelli anche al Presidente della Repubblica, ma al momento la situazione è sempre la stessa
Intanto, i vandali, si danno da fare.
Da “le cronache di Caserta” del 18 settembre 2011, un resoconto di M.P.Oliva:” Le fiamme hanno avvolto l’area verde della Reggia di Carditello. Ennesimoatto vandalico nei pressi del sito reale quello che si è consumato ieri pomeriggio e che ha mandato nello sconforto cittadini, politici e tutti coloro che si battono quotidianamente per la salvaguardia del bene.. L’incendio, di grosse dimensioni, si è esteso all’interno della reggia borbonica verso le 17…..”. Il resoconto continua descrivendo l’intervento dei vigili del fuoco e del sindaco della cittadina di S.Tammaro, ma mi pare più interessante riportare il commento di Maia Carmela Caiola, presidente provinciale di Italia nostra:” Sono sconcertata, quanto accaduto è inquietante: Non vorremmo ci fosse un collegamento con la vendita all’asta del bene. Ci preoccupa un eventuale zampino della malavita……”.
Da la Repubblica.it del 20,marzo 2011.” Nonostante il territorio sia vandalizzato, Carditello resiste…….l’edificio centrale è stato restaurato nel 2000, ma senza manutenzione quei lavori resistono a stento. E ogni giorno c’è un pezzo in meno. Nelle stalle venne sistemato, alla fine degli anni settanta del ‘900, un museo della civiltà contadina, i cui oggetti ora giacciono abbandonati, mentre tanti altri sono stati rubati o trasferiti altrove. Ora non c’è più niente. Le scale sono divelte, i tetti crollano, se piove entra acqua e le travi penzolano minacciose. Il cancello è chiuso, per entrare c’è bisogno di un permesso del Giudice. Si sono mossi Comitati di cittadini, moltissimi i giovani.”.
Le ultime notizie su Carditello si riferiscono alla presenza di Vittorio Sgarbi a Caserta e al parere favorevole espresso per la gestione della Reggia affidata a privati:"Meglio un privato che conserva, preserva e mette a disposizione della collettività, che uno Stato che abbrutisce, nega, chiude al pubblico".(da "il Mattino" del 1/2/12).
Nel frattempo la Reggia continua a perdere pezzi:" Il tetto dell'ala all'estremo margine sinistro è franato nella notte per le piogge"(da Il Mattino del 12/2/12).
Continuano anche i furti, viene rubato di tutto perfino i fili elettrici.
Qualsiasi altra considerazione è inutile, sono indignato per quanto sta accadendo ed esprimo la mia personale solidarietà a quelli che stanno provando a salvare Carditello, oltre alla mia disponibilità per ogni possibile iniziativa.
Dalla cronaca di Napoli de " la Repubblica " del 28 giugno 2013: Reggia di Carditello, deserta la decima asta.


martedì 13 dicembre 2011

Storia di una evasione

Questa è la storia di un ventenne straniero, arrestato in gennaio di quest’anno – 2005 – per immigrazione clandestina, passeur di due clandestini.

Appena arrivato, tutti si sono chiesti chi poteva averlo arrestato visto che non era proprio a posto con la testa. Si scoprì che non era la prima volta che veniva arrestato, così la condanna non fu proprio mite: due anni e dieci mesi.

Questo giovane, oltre a essere rimasto a pagina dodici con la testa (?), aveva anche il brutto vizio di tenere sempre le dita nel naso, era sempre “ onto e bisonto”, parlava a vanvera, rideva da solo; insomma, secondo tanti non doveva stare in carcere, ma in tutt’altro istituto.

Lo hanno aiutato tanto i compagni di cella e non. Ha lavorato un paio di volte come scopino( il

lavoro è rotativo, si cambia ogni 15 giorni.(1)

Credo che nessuno mai e poi mai avrebbe pensato che Danilo potesse evadere e anche se lo avesse confidato a qualcuno, chi avrebbe dato ascolto a “ Danilo il matto” ?

Così, con il coraggio e la fortuna dei “matti”(2) , Danilo ha scavato un buco nel muro ( del genere fuga da Alcatraz) e, con due compagni di cella, anche loro stranieri, se ne sono andati, incuranti del rischio e delle conseguenze.

Come tutte le storie, questa dovrebbe essere alla fine,c’è però un ma, da quello che si è visto e sentito alla tv, gli evasi sono ricercati anche in …..(3) senza soldi credo che per loro sarà dura nascondersi a lungo.

Conoscendo Danilo poi combinerà sicuramente qualche disastro dei suoi soliti, e così la storia ricomincerà

Morale della storia: non c’è niente di avventuroso in questa evasione e quelli che sono fuggiti non sono eroi, ma tre disgraziati veri!

Le restrizioni e le conseguenze per gli altri detenuti di….che scontano la propria pena sono notevoli Questi ultimi vorrebbero chiudere i conti con la giustizia e non scapperebbero nemmeno se trovassero le porte spalancate.

Ma questa è un’altra storia !” di F. M.(4)

F.M. non è uno psicologo, né un professionista e neanche un intellettuale, né uno scrittore non è neanche un burocrate, ma, quando scrisse questa storiella, era detenuto nel carcere di una città di confine del nordest.

Egli provò a tracciare, con partecipazione e emozione che si percepiscono, la figura di un ragazzo, questo compagno di cella che una sera dei primi di ottobre 2005, con altri due, pensò di evadere dal carcere.

L ‘ episodio fu narrato in un articolo di fondo su un giornaletto prodotto in un piccolo carcere, a costo zero, e si chiamava – poiché credo che oggi non esiste più – l’ECO, scritto da detenuti e edito con la collaborazione e la responsabilità dell’allora direttore responsabile di un settimanale locale e pubblicato come inserto dello stesso giornale.

Di giornali fatti dentro ce ne sono tanti, è un modo per, come si usa dire, “ dare voce a chi non ha voce”, ma questo presentava una particolarità: come supplemento di un avviato settimanale, andava nelle edicole e quindi letto anche fuori del circuito penitenziario, come invece normalmente avviene per altri.

Ma non sono qui per raccontare la storia del giornale, ma quella dell’evasione.

Ecco perciò parte della nuda cronaca di giornalisti professionisti: “ Sembra un copione cinematografico e invece è cronaca: tre stranieri,ieri,- era il 7 ottobre 2005 – sono riusciti a evadere dal carcere, passando attraverso un buco nel muro, realizzato pazientemente,giorno dopo giorno, scavando soprattutto nelle ore notturne. M.T.,29 anni, R.A. 27, J.M. 19, arrestati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, erano riusciti a nascondere il varco con un armadio.”

Fui avvertito dell’accaduto intorno alle 21,30 dal comandante, mentre ero a far quattro passi dopo cena, rimasi stupito dalla notizia anche se dovevo aspettarmelo: un carcere vecchio e scassato, con muri che si sfaldano da soli e antichi mattoni traballanti, sovraffollato, situato nello stesso antiquato edificio non solo del Tribunale, ma anche di altri uffici: il Demanio, l’Agenzia delle entrate e quella del territorio, al centro della città e vicinissimo al confine, con pochi soldi per ripararlo alla meglio e scarso e scadente personale di sorveglianza.

Ma che città è questa, dove in uno stesso palazzo ci sono tanti uffici e così diversi?

Situata a cavallo del confine, Comune con poco più di ventimila abitanti, piccolo capoluogo di provincia, che abolirei immediatamente, peraltro già abbandonata da uffici come il demanio e la sede della banca d’Italia. Città dove non succede mai niente, edifici vecchi e abbandonati, problematiche legate al confine come in tutti i luoghi di frontiera. L’immobile che ospita il carcere risale alla fine del XIX o agli inizi del XX secolo, sarebbe anche un bell’edificio ma non ha avuto una giusta manutenzione: gli uffici del tribunale e della Procura della repubblica sono in condizioni disastrose,nell’aula delle udienze ci sono infiltrazioni ad ogni pioggia, meno peggio gli altri uffici presenti.

Prima di muovermi cercai di avvertire il mio diretto superiore, ma non avevo il suo numero di cellulare, non me l’aveva mai comunicato, così avvertii il suo vice, che mi rispose: “ma io sto cenando! “almeno dammi il numero che lo chiamo io”, risposi.

Mi misi in macchina – abito a circa 50 Km di distanza - e raggiunsi il carcere.

Non mi era mai capitata una evasione in tanti anni di lavoro, almeno non direttamente; a Capodanno 2001, sostituivo un collega in ferie, quella volta erano cinque, avevano segato le inferriate e con il classico lenzuolo annodato avevano scavalcato il muro di cinta e se ne erano andati. La tragicommedia era iniziata al mattino presto, ma questa storiella non compare ufficialmente: mi raccontarono che un nottambulo, reduce probabilmente dalla festa di fine anno, passando fuori dal carcere aveva notato una specie di corda penzolante e aveva così suonato alla porta avvertendo di questa stranezza; da lì il personale di servizio, mezzo addormentato, aveva scoperto il fatto.

Era stato un bel Capodanno non c’è che dire!

Stavolta erano scappati solo tre. Carabinieri dappertutto,intorno all’edificio, appena entrato trovai il comandante esterrefatto, che mi accompagnò sul posto. Cosa avevano fatto? Sul muro della camera dietro un armadietto, di quelli soliti in uso ai detenuti e che per giunta avrebbe dovuto essere inchiodato al muro, un buco neanche molto grande, forse 70/80 cm di diametro, vecchi mattoni sparsi per la stanza.

Intanto mi chiesi come erano riusciti a passare; da lì erano entrati in una specie di corridoio buio, avevano sfondato una porta, ma si erano trovati sopra l’aula delle udienze del tribunale.

Tornati indietro avevano sfondato un’altra porta ed erano sbucati sulle scale che portano all agenzia del demanio, chiusa solo da una porta a vetri: sfondato il vetro ed entrati nel corridoio, hanno trovato il primo ufficio aperto, hanno aperto la finestra, si sono issati sul cornicione, hanno subito trovato una grondaia e, scivolando su questa si sono ritrovati in strada.

In una piccola città che è vuota anche di giorno, figuriamoci alle nove di sera! Non c’era neanche un passante e neanche una macchina. Da lì al confine in pochi minuti si arriva anche a piedi.

La cosa più seccante fu informare il funzionario di turno al Ministero, a Roma; mi rispose un tale di cui capii a stento il nome, il quale, molto seraficamente, prese la notizia con filosofia e mi augurò anche una buona serata!

Sequestrata la camera e chiusa con i sigilli, nei giorni successivi oltre a dovere scrivere relazioni di ogni tipo, ci fu un andirivieni di carabinieri che dovevano indagare: tre marescialli si piazzarono nel mio ufficio per “indagare”, non avevano evidentemente niente altro da fare, cercavano per forza un responsabile un complice all’interno neanche fosse evaso chi sa chi!

Sicuramente cerano state negligenze e superficialità nei controlli, ma vagli a spiegare che queste sono le normali condizioni di lavoro: non si riesce a far lavorare il personale , non c’è motivazione, se hai bisogno non rispondono neppure al telefono e non si fanno trovare, assenteisti, sindacalisti, . malattie vere e spesso fasulle

Un capitano veniva spesso a trovarmi, perfino il comandante provinciale, mai visti tanti carabinieri da me, e poi i giornalisti, che finalmente potevano scatenarsi a scrivere qualcosa.

L’inchiesta amministrativa interna non potè far altro che prendere atto dell’episodio ma non successe altro, le responsabilità erano si del personale che aveva fatto male il suo dovere di controllo, ma ce ne erano altre, anche molto più in alto, perché non si tiene un carcere in quelle condizioni, o se si tiene, bisogna metterci solo detenuti incapaci di muoversi. L’edificio era stato lesionato nel 1976 con il terremoto, e solo nel 2003! fu riaperta una sezione, per il resto era tutto rotto, muri deboli e vecchi mai ripristinati , mattoni ormai senza malta e facilmente amovibili.

Ma la commedia non finì lì: qualche mese dopo, arrivò una lettera di richiamo, del Capo del dipartimento diretta al suo vice, al provveditore e a me, in cui lamentava di non essere stato informato subito e personalmente.

Chi dovette giustificarsi, indovinate? L’ultima ruota del carro, cioè io.

Risposi, perciò, che avevo informato il Provveditore, il funzionario di turno a Roma, e che il mattino dopo avevo avuto un colloquio telefonico anche il vice-capo, a chi altro dovevo dirlo?

Ha ragione F.M. quando lamentò le conseguenze per gli altri detenuti; ho dovuto interrompere tante iniziative, ma solo perchè non mi fidavo più di quel personale incapace.

La libertà dei tre durò poco, uno alla volta furono ripresi dalla polizia dello Stato confinante e consegnati di nuovo alla giustizia italiana.

Uno dei tre, mi sembra proprio il Danilo, fu riportato nello stesso carcere, mi feci spiegare, tra le altre cose, come erano passati in quel buco così piccolo.

Aveva ragione F.M., Danilo era proprio “matto”!.

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(1) lo ”scopino” è il detenuto che viene addetto alle pulizie; per mancanza di soldi e di posti di lavoro e per consentire a tutti i condannati di guadagnare un minimo indispensabile almeno per le sigarette, si è inventato un lavoro generico a termine, e a rotazione.

(2) “matto” non vuol dire né pazzo né è usato in senso negativo, anzi…, indica soltanto una persona un po’ strana, un po’ suonata, ma in senso quasi affettuoso.

(3 nome dello stato estero e della città sono stati omessi per evitare ogni possibile riconoscimento

(4) le iniziali, del testo originale, sono state cambiate, così come il vero nome del personaggio

descritto