domenica 18 ottobre 2015

La piscina





 

 

“…… si trovava al livello del pavimento della Piscina Mirabilis. L’acqua proveniente dal bacino defluiva sotto pressione superando una griglia di bronzo in una galleria ricavata nella parete, poi attraversava vorticosa la conduttura ai suoi piedi e infine veniva incanalata all’interno di tre tubatura disposte a ventaglio che scomparivano sotto i lastroni di pietra alle sue spalle, rifornendo la città e il porto di Miseno. Il flusso dell’acqua era controllato da una chiusa, incassata a livello della parte e azionata da un maniglione di legno attaccato a una ruota di ferro….”.   
 Questa breve descrizione è tratta da “ Pompei”, il romanzo di  Robert Harris, dove, con qualche piccola imprecisione e molta fantasia, si narra della famosa eruzione del 79 d.c. che distrusse le citta di Pompei, Ercolano  e quelle vicine:  Marco Attilio, “ aquarius ” – una specie di ingegnere idraulico -  responsabile del grande acquedotto Augusteo, giunto a Miseno, dove è ancorata la flotta del Tirreno, si rende conto che le sorgenti d’acqua vanno  esaurendosi e si mescolano allo zolfo; la sua indagine inizia proprio dalla Piscina, che all’epoca non era ancora “mirabilis”, ma una normale vasca di raccolta di acqua.  I fatti si svolgono nel mese di agosto del 79 d.c., sotto l’imperatore Tito. L’acquarius  dovrà convincere dell’imminente pericolo Plinio, il comandante di Miseno e altri personaggi. Tutti conoscono il finale di quegli avvenimenti, ma ovviamente, il protagonista e la sua ragazza forse si salveranno.
Questo racconto mi tornava in mente  quando, qualche tempo fa, visitavo la Piscina Mirabilis  di Bacoli.  Bacoli, chiamata anticamente Bauli,  è, oggi,  un Comune di quest’area,  a pochi chilometri da Pozzuoli e da Napoli; comprende le località di Baia, Fusaro, il lago Averno e Lucrino,  Miliscola e Miseno, e Cuma, antichi centri  greco-romani.




Miseno oggi

 

Per chi legge e non è nato e vissuto qui,  forse è necessaria qualche sommaria informazione sui luoghi e la loro storia.
Tutta l’area del golfo di Napoli, dal Vesuvio a Capo Miseno e alle isole di Procida e Ischia, è di origine vulcanica:  in particolare la zona di Pozzuoli e di Bacoli fa parte del sistema dei campi Flegrei, una serie di piccoli crateri, che vanno da Agnano alla più famosa “ Solfatara”, e più avanti il “ Monte nuovo”, chiamato così perché si è formato solo nel 1538. 
 Sui nomi dei luoghi sono fiorite, nell’antichità, storie e leggende:  Miseno il trombettiere – l’eolide Miseno, del quale nessuno più valido ad animare i guerrieri con il corno, e ad accendere Marte con il suono ( Virgilio, Eneide VI,163/165 ),  di Enea, il troiano;  Baia, da un ignoto Baios, un compagno dei viaggi di Ulisse,  Cuma,  sede della Sibilla, e il lago Averno dove era stato individuato uno degli ingressi all’Averno, il mondo dei morti, dove sarebbero scesi  Ulisse e Enea, per consultare l’indovino Tiresia.

Sui perché questi luoghi si rifanno alla guerra di Troia, all’ Iliade e all’Odissea, sono stati scritti libri su libri, formulate teorie e ipotesi che non posso qui raccontare, ma sembra sufficiente dire che tutti gli archeologi e gli storici concordano sul fatto che i racconti e l’individuazione di questi siti, nascono dai viaggi dei coloni greci nel Tirreno.
Tutta l ‘area è comunque  piena di siti archeologici, che ricordano non solo la colonizzazione greca – Pozzuoli, Ischia, Procida, Cuma, e la stessa Neapolis -  ma anche la conquista Romana, in ogni angolo e ogni località,  si trovano edifici, costruzioni,  sia civili, sia militari, religiosi di epoca greco-romana, ma tutti sono abbandonati, maltenuti, spesso sconosciuti dagli stessi residenti, e inaccessibili, senza una indicazione , una guida, nulla…
Baia, la città sommersa – ricordo una Torre in mezzo al mare, che era probabilmente l’ingresso del porto, oggi crollata - in realtà, fu  un luogo di villeggiatura alla moda, e di “ otium”, per i ricchi romani e i personaggi di rilievo dell’epoca imperiale, qui Nerone fece uccidere la madre Agrippina da Aniceto, comandante della flotta imperiale del Tirreno di stanza lì vicino, a Miseno,  e Miliscola deve il suo nome a “ militum schola”, la caserma dei soldati della flotta.

A Miseno, l’imperatore Ottaviano Augusto, circa nel 27 a. c., aveva istituito la base navale della “ Classis praetoria Misenensis”, sfruttando quella posizione geografica,  che  permetteva il controllo del Tirreno, e un rapido intervento nel mare nostrum.  L’altra base navale, per il controllo dell’Adriatico, era stata istituita presso Ravenna. Oltre alla posizione geografica, Miseno offriva un vero e proprio porto naturale, che poteva contenere almeno fino 250 imbarcazioni:  quinqueremi, quadriremi e triremi, liburne e altre ancora.  Il porto sfruttava un doppio bacino naturale, quello più interno di circa 3 km di circonferenza (detto Maremorto o Lago Miseno), in epoca antica dedicato ai cantieri e alla manutenzione navale, e quello più esterno, che era il porto vero e proprio. Gli storici, sulla base delle testimonianze d’epoca, calcolano che vi fossero non meno di 10.000 militari di stanza a Miseno, Bacoli e dintorni, se poi a questi aggiungiamo donne, bambini e schiavi, e quello che oggi chiamiamo indotto, fornitori vari, servizi e poi trattorie, taberne e popinae, e lupanari che, immagino, non potevano mancare, si può ritenere che  la zona fosse densamente popolata.
 Il comandante della flotta era il “Praefectus classis”, ovvero il comandante dell'intero bacino del Tirreno. Dalla sua residenza di Miseno, Plinio il vecchio, comandante della flotta nel 79 d.c., assistette alla eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei, Ercolano, Oplontis e Stabia, ed egli stesso vi trovò la morte, essendosi imbarcato per vedere da vicino il fenomeno e anche per portare aiuto alle popolazioni.
Fatta questa premessa, qualcuno potrà chiedersi: ma che c’entra la Flotta imperiale romana con la piscina del titolo ?
La parola latina “piscina” – che ancora conserviamo e usiamo in italiano – indicava una vasca con acqua, perciò anche serbatoio, cisterna. E questa era la funzione di questa Piscina di Bacoli, una cisterna di acqua potabile, si ritiene la più grande mai costruita dagli antichi Romani, ed aveva la funzione di approvvigionare le numerose navi e il personale addetto, della flotta ormeggiata nel porto di Miseno.


 L’aggettivo “mirabilis” – meravigliosa, straordinaria – fu aggiunto molti secoli dopo, dal poeta Francesco Petrarca, in visita al luogo, quando, anche se non più utilizzata e ormai in rovina, era ancora piena d’acqua e bisognava entrarci con una barca.
 La Piscina fu costruita in età augustea, in concomitanza con la decisione di stabilire in quel luogo l’ormeggio della flotta del Tirreno; venne interamente “ scavata” nel tufo della collina vicina al porto, a otto metri sul livello del mare. A pianta rettangolare, misura quindici metri di altezza, settantadue di  lunghezza e 25 di larghezza, e aveva una capacità di circa 12.000 metri cubi di acqua. La piscina era, ed è, sormontata da un soffitto con volte a botte, sorretto da 48 pilastri. a sezione cruciforme, ed è suddivisa in cinque navate longitudinali e in 13 trasversali. L’acqua veniva prelevata dai pozzetti realizzati su una terrazza sopra le volte, con macchine idrauliche e da qui, canalizzata verso il porto. Un’opera immensa, se ci si pensa, tutta scavata e costruita a braccia, con migliaia di schiavi.

 Tutta la struttura muraria e i pilastri erano ovviamente ricoperti da materiale impermeabilizzante. L’illuminazione e l’areazione dell’ambiente erano fornite dagli stessi pozzetti superiori, come ancora oggi vediamo, e anche da una serie di finestre poste lungo le pareti laterali. Sul fondo della piscina, nella navata centrale, abbiamo visto una “ piscina limaria”, una piscina nella piscina, di circa 20 metri per 5, abbastanza profonda, più di un metro, che era utilizzata come vasca di decantazione e di scarico, per la pulizia e lo svuotamento periodico della cisterna. La piscina era alimentata da uno dei principali acquedotti costruiti dai Romani, l’acquedotto Augusteo.
L’acquedotto era stato costruito  tra il 27 a. c, e il 14 d. c.,  iniziava dal fiume Serino, sull’altipiano Irpino – fino a pochi anni fa e ancora oggi a Napoli è conosciuta l’acqua di Serino -  era di circa 100 Km: scendendo con lieve pendenza,  riforniva le citta di Nola, Acerra, Atella, Pompei, Ercolano, Napoli – dove transitava sui cosiddetti Ponti Rossi a Capodimonte -, Pozzuoli, Baia, Cuma e terminava a Miseno.
 L’acqua scorreva in condutture di argilla, o più spesso di piombo,  materiali che potevano scoppiare in caso di pressione  troppo alta: Vitruvio, architetto, ingegnere e scrittore dell’epoca augustea, nel suo “De Architectura”, in 10 libri, nel libro 8° dedicato all’Idraulica, già a quel tempo metteva in guardia dai possibili rischi per la salute dovuti al piombo, e diceva che l’acqua dei tubi di argilla è più sana di quella dei tubi di piombo, e sconsigliava perciò di far passare l’acqua  attraverso i tubi di piombo.
Esterno Piscina
Gli acquedotti romani sono opere ancora oggi ammirate e ammirevoli, ancora oggi i resti di quegli acquedotti li troviamo un po’ dappertutto, a Roma imperiale, e anche altre città dell’impero, l’approvvigionamento idrico era eccezionale, sia nelle case private – privilegio di pochi ricchi -, sia nelle fontane pubbliche.
Plinio il vecchio, nella “ Naturalis historia”, studioso naturalista, e anche comandante della flotta di Miseno, affermava( XXXVI, 123): “ se ci si rende conto della sovrabbondanza di acque pubbliche, nei bagni, nei canali, in case, giardini e terreni fuori città, delle strade percorse dall’acqua, degli acquedotti costruiti, delle montagne scavate e delle valli spianate, si è costretti ad  ammettere che su tutta la terra non si è mai dato niente di più ammirevole”.
L’acquedotto Augusteo cessò di funzionare, come tante altre cose, con il decadere dell’impero, l’opera fu completamente devastata. Molti secoli dopo, nel XVI°, fu il vicerè don Pedro di Toledo, nella sua opera di ricostruzione, ristrutturazione e allargamento della città di Napoli e dintorni, che  ipotizzò un possibile restauro, ma restò solo un’ipotesi. Poi se ne riparlò alla metà dell’800, con i Borbone, ma il regno di Napoli finì nel 1860.
La visita alla piscina ha smentito, per quanto mi riguarda e, almeno in parte, i giudizi negativi:  l ‘ edificio  della  piscina mi è sembrato  abbastanza ben indicato e discretamente mantenuto, il che, in tempi di crisi come quelli attuali, non è poco: appositi cartelli indicano gli orari delle visite e le scale interne per la discesa, appaiono ben tenute. Le chiavi della piscina, si dice, sono tenute da una anziana signora che abita lì vicino, come unica custode del sito. Si dice anche che per questo motivo sono molte le difficoltà di rintracciarla, per poter effettuare una visita. Per superare queste difficoltà e garantire una migliore gestione, qualcuno già teme un accordo tra privati e Soprintendenza, che comunque, sembra, abbia provveduto al restauro.

pozzetto visto dall'interno

 La discesa è emozionante, camminare li dove c’erano, 2000 anni fa, litri e litri di acqua, immaginare  gli schiavi addetti alle pulizie, la sensazione di trovarsi, non in una vasca ma in un tempio, o in una cattedrale sotterranea, in puro stile  gotico, con la luce del sole che penetra dai pozzetti  superiori,  creando giochi di luci ed ombre e magiche e particolari atmosfere. E’ In questa cornice quasi surreale che l’attore- regista John Turturro ha inserito, nel film “Passione”, dedicato alla musica di Napoli  – che consiglio di vedere  - la scena con  il “ canto delle lavandaie del Vomero”, del XIII secolo, che con ”Jesce Sole”, sono i canti napoletani conosciuti, più antichi.