domenica 16 aprile 2017


                Castel Capuano


Attraversata via Duomo, e iniziata la seconda parte del decumano maggiore( l'antica  strada greco-romana che attraversa ancora tutta la città vecchia da est a ovest), la via Tribunali, lo si vede già: Castel Capuano, sede per e da secoli di tutta l’attività giudiziaria del circondario di Napoli.
Ma, giunti più vicino, nel largo davanti all'ingresso, tutto sembra tranne che un castello. Allora ci giri intorno per vedere meglio, vai a sinistra, ti accorgi che è un grande e maestoso edificio, e in fondo c'è una Porta, in mezzo a due torri cilindriche. E' la porta Capuana, il più antico  e importante ingresso a Napoli.
Per ricostruire la storia del Castello bisogna tornare indietro nel tempo, al IV° o III° secolo a. C., tenendo presente che la sua e quella della Porta, sono strettamente collegate. Nacque però prima la porta, che era inserita nelle mura che circondavano la città.( l'illustrazione è tratta da " Atlante, guida della Napoli greco-romana, Ed. Intramoenia, con disegni di R. Quaranta)
La murazione originaria di Neapolis passava in questa zona, seguendo l’andamento irregolare del terreno. Le mura correvano all'interno della attuale via Foria - che all’epoca era solo il letto di un fiumiciattolo detto Clanis - ,nella zona dove c'è l'Ospedale degli Incurabili. Poi ripiegavano nella zona di via Carbonara, passando davanti all’attuale Castelcapuano e arrivavano per via Colletta, in piazza Calenda, dove ancora possiamo vederne i resti, 'o cipp 'a Furcella. Da lì proseguivano a nord dell'attuale corso Umberto, attraversavano la piazzetta del grande Archivio e San Marcellino, risalivano lungo la via Mezzocannone in direzione via S. Sebastiano e piazza Bellini, e poi proseguivano sulla via Costantinopoli e giravano a destra dove si ricongiugevano a quelle che risalivano per l'Anticaglia.
Lì dove c’è il castello, iniziava/terminava il decumano maggiore.  
Secondo Bartolomeo Capasso, studioso e archeologo della città, “…..ogni decumano aveva una porta alle sue estremità,……il centrale o maior aveva, ad oriente, la porta che menava a Capua….”.
Capua, città della Campania di origine etrusca del IX sec.a.C., al momento della fondazione di Neapolis, era già, con il suo porto fluviale sul Volturno, un grosso centro commerciale e luogo di incontro tra le popolazioni locali, del nord e sud e del centro Italia e di altri popoli provenienti dal mare che risalivano il fiume.
Capuana “ perciò, da Capua o meglio, da una strada che dalla porta di una città di mare serviva per portare merci di ogni genere verso l’entroterra, al più vicino mercato e viceversa.
In verità, prima della conquista romana, non esisteva una vera strada. Nella zona fuori le mura scorreva, secondo gli storici, il fiume Clanis, che alimentava una vasta zona paludosa. Da un lato la palude era garanzia di sicurezza in caso di guerra, dall’altro però, in tempi di pace, ostacolava le comunicazioni tra costa e hinterland.
La strada per Capua quindi, all’inizio non era altro che un sentiero (o forse più) che si dirigeva verso l’interno, guadando fiumi e paludi. Solo dopo, arrivati i Romani, che dove andavano costruivano strade per e da Roma, fu costruita una strada che andava verso il sistema collinare di Poggioreale e Caput de clivo (oggi Capodichino), verso Atella e Frattamaggiore.
Per superare i fiumi furono costruiti poi alcuni ponti, e, a pensarci bene, le attuali denominazioni di alcune vie della zona, Ponte della Maddalena e Ponte di Casanova - che non è il famoso veneziano, ma solo un edificio nuovo, una nuova costruzione – ricordano l’esistenza di fiumi e ponti d’ altre epoche.
Anche il nome di “Formello”, aggiunto alla chiesa di S. Caterina, vicino alla porta, ricorda la presenza di acque nella zona. Formello infatti deriva da formali cioè da forma , termine con il quale venivano indicate falde acquifere, doccioni e canali che portavano acqua alla città.

Tornando alla porta e alla sua ubicazione originaria, se è vero quel che racconta Capasso e considerato che il decumano maior è sempre quello, oggi via Tribunali, essa non era dove è oggi, ma in precisa corrispondenza di detto decumano, e inserita nelle mura della città, lì dove poi fu costruito il castello. E, a questo proposito, viene ricordata in genere un’altra testimonianza, quella di Pietrantonio Lettieri, architetto, del 1484, che partecipò al rifacimento del Castello e allo spostamento della porta. Ma ne parlerò più avanti.
Sicuramente, la porta doveva essere in legno robusto e resistente ad eventuali attacchi portati con l’ariete; per proteggerla, inoltre, c’erano mura e torri di guardia in legno e mattoni di tufo da dove potersi difendere e anche attaccare nemici, e all’esterno un fossato.
La murazione e la porta non subirono cambiamenti nei secoli successivi, con la “pax” romana probabilmente non occorreva neanche più chiuderla né difenderla.
Fuori dalle porte “….per cui si andava a Capua,( ma anche a Nola e a Puteoli), stazionavano veicoli da nolo per comodo di coloro che dovevano recarsi alle città vicine o anche a Roma…” E' sempre il solito Capasso che ci informa( Napoli grecoromana .pag.5).
Erano carrozze, calessi, carri, bighe e anche cavalli, antenati dei taxi, auto e altri mezzi che oggi si noleggiano presso aeroporti e stazioni.
Furono i bizantini,nel VI secolo d.C., mandati dall’imperatore Giustiniano, in guerra con i Goti, che dopo la vittoria, nel rinforzare i bastioni e le torri laterali alla porta, ci costruirono sopra una specie di fortilizio per una migliore difesa. Fu questa la nascita di un primordiale Castello.
Il fortilizio bizantino, con il passare del tempo ovviamente si logorò ed ebbe bisogno di una adeguata ristrutturazione. Fu perciò sostituito, nel 1154, con una costruzione collocata a cavallo delle mura, dal figlio di Ruggero II, Guglielmo.
Castel Capuano nel XVII secolo
Costruito in stile tipicamente medievale, dotato di robuste fortificazioni, costituiva un baluardo imprendibile; fu nel tempo modificato e ampliato e qualche volta utilizzato come residenza reale. dei sovrani normanni. Fu Federico II, nel 1230 che lo fece ristrutturare rendendolo, pur conservando le sue indispensabili fortificazioni, più ospitale e consono alla sua dignità di residenza reale.
Gli Angioini, nel piano di allargamento edilizio della città, iniziarono, nella parte occidentale verso l'antico porto, la costruzione di una nuova fortezza, il Castel nuovo, dove trasferirono la loro residenza.
Il Castello fu però sede del Vicario del re, che tra le altre cose si occupava anche del governo e della amministrazione della giustizia. Da qui il nome di Vicarìa.
In seguito fu al centro di assalti, assedi e saccheggi, nel periodo del regno di Giovanna I e dei successori fino a re Ladislao e poi ad Alfonso di Aragona. Questi aveva posto l'assedio al castello nel 1440, ma dovette arrendersi di fronte alla sua inespugnabilità.
Il castello subi un grande ristrutturazione, perdendo ogni connotazione medievale e comunque di castello, nel XVI secolo, quando il vicerè don Pedro di Toledo, più famoso per il nome che lasciò a quella strada dritta che dal largo del Mercatello conduceva al palazzo vicereale, decise di trasferirvi tutti i tribunali e le corti di giustizia che erano sparsi in varie sedi della città.
Esse erano: il Sacro Regio Collegio, la Regia Camera della Sommaria, la GranCorte cile e crimnale della Vicaria e il tribunale della Zecca. ( G.Attinà, Le prigioni borboniche.....la negazione di Dio, 2015, ed.Stamperia del Valentino).Ai tribunali furono aggiunte le carceri, sia per i nobili che per il popolo. Esse occupavano tre livelli: il piano ammezzato era riservato ai nobili carcerati, il piano terra era destinato ai criminali comuni, i sotterranei ospitavano gli elementi peggiori. La Vicaria, inoltre, aveva anche una “grotta di massima sicurezza”, cioè un imbuto sotterraneo dove venivano calati i prigionieri ritenuti più pericolosi.
Le funzioni giudiziarie sono così rimaste fino ai giorni nostri, e quel che vediamo, sia pure attraverso tutti i restauri successivi, è il risultato della trasformazione del XVI sec, cosi come appare nel dipinto seicentesco di Ascanio Luciani.
Porta Capuana nel XIX secolo
Gaetano Valeriani, giornalista e scrittore, in un raconto del 1847 intitolato “Porta Capuana,” (Napoli in miniatura, il popolo di Napoli e i suoi costumi, 1847, raccolta di racconti di Mariano Lombardi, Ed. Attività Bibliografica Editoriale Napoli, ristampa 1974) così scriveva: “...questo edificio non ebbe certo in origine le forme ch’egli oggi ritiene: fu costruito a tutta foggia di castello, ed aveva le sue scarpe e controscarpe (le pareti interna e esterna dei fossati dei castelli), i suoi fortini e baluardi, i suoi ponti levatojo, sotto i quali scorreva acqua in guisa, che impossibile egli era approdarci quando il ponte fosse stato alzato”.
E la porta? Perchè e quando fu spostata?
Alla fine del ‘400, gli Aragonesi avevano fatto allargare le antiche mura spostando anche le porte li dove c'erano.per ordine di re Ferrante di Aragona, che aveva deciso di allargare le mura della città a causa dell’aumento della popolazione cittadina.
Pietrantonio Lettieri, che avevo già prima nominato, architetto, nel 1484, scriveva:” la porta Capuana stava sopra lo fosso di ditto Castello ( cioè castel capuano, n.d. a. ) corrispondente alla sua mità, et lo sopradetto Castello veniva stare mezo dentro la città, et, mezo fora, sincome se usava anticamente; quale porta, ad tempi nostri è stata derocchata, et in quel lloco nci è hoggi una cappelluccia nomine Sancta Maria”. Oggi la cappella non esiste più
Per maggiori notizie sulla porta si può leggere anche “ Porta Capuana”, su questo blog.











lunedì 3 aprile 2017

Il castello detto dell'......


Dopo aver visto i castelli dei dintorni di Napoli, ora andiamo in città, dove c'erano cinque castelli, cinque grandiose fortezze, di cui ancora quattro restano intatti.
Inizio dal più antico, sta lì, nello stesso posto, da quasi duemila anni. Un antico castrum di epoca tardo-romana, che il popolo medievale considerò avvolto da leggende, magie e misteri esoterici.
Per conoscerlo dovrò raccontare una favola lontana, risalente a tre/quattro mila anni fa.
Odisseo e le Sirene
C'era, dunque, una volta, lungo la costa napoletana, una piccola isola senza nome non molto lontana dalla terraferma, ricoperta da una lussureggiante vegetazione e da arbusti tipici della macchia mediterranea. Le popolazioni indigene la consideravano un luogo sacro per la presenza di un grande sepolcro dove si andava in processione per onorarne l'occupante. Chi era costui? Era Partenope, una delle Sirene che avevano tentato di fermare Odisseo, l'eroe di Troia, con il loro richiamo: " Qui, presto, vieni, o glorioso Odisseo ( racconta Omero, in Odissea, libro XII,,184 ess.), grande vanto degli Achei, ferma la nave, la nostra voce a sentire. Nessuno mai si allontana di qui con la sua nave nera, se prima non sente, suono di miele, dal labbro nostro la voce.......".. Le Sirene, in quei tempi lontani, erano uccelli con il volto di donna, abitavano oltre la punta estrema del golfo, su un gruppo di isolette dette proprio Sirenussai. Con il loro canto melodioso attiravano i naviganti che perciò non badavano più alla rotta e facevano naufragio. Il furbo Odisseo però, messo sull'avviso dalla Dea Minerva, aveva otturato le orecchie dei propri compagni di viaggio, mentre lui si era fatto legare al palo della nave in modo da ascoltare il canto ma senza potersi muovere e cedere alle lusinghe. Le Sirene ci restarono male: una di loro, di nome Partenope ( la vergine in greco antico), addirittura morì per il dolore di questa sconfitta, e cadde a mare. Il suo corpo, dopo un lungo tragitto tra le onde del mare, si spiaggiò su quell'isolotto. Lì fu trovato e fu eretto un sepolcro, onorato da tutti gli abitanti del luogo.
Intorno al X secolo a.C. sbarcarono su quell'isola navigatori Achei, Micenei e Fenici, La chiamarono Megalia e poi Megarides, termine greco che indicherebbe o la casa , l'abitazione ( Rocci, vocabolario Greco-Italiano). Essi conoscevano la storia di Odisseo e di quella grande guerra che si era combattuta a Troia, e trovarono il sepolcro. Apprezzarono l'area, la ritennero idonea per fermarsi e stabilirsi, videro di fronte all'isola una grande rupe a picco sul mare, una spiaggia e la grande foce di un fiume. "i primi coloni approdarono nell'isola di Megaride e nell'insenatura creata dalla foce del Sebeto, ai piedi del promontorio di Pizzofalcone" (C.de Seta, NAPOLI, ED. Laterza, 1981 ).
C'erano tutti gli elementi a loro necessari, l'altezza del promontorio che garantiva la sicurezza, l'acqua salata per le navi e la pesca, l'acqua dolce per bere e coltivare la terra. Lì si stabilirono e al villaggio diedero il nome di Parthenope, in onore di quel sepolcro per il quale diedero luogo a feste e cerimonie annuali.. Possiamo pensare anche che quel nome dal significato di "vergine" poteva indicare o una qualche fanciulla morta giovane o anche un terra intatta, non occupata a da nessuno..
La favola finiva quì, i primi coloni, in realtà, cercavano di stabilire empori commerciali e basi navali oltre che colonie: essi portavano con loro miti e leggende, che poi ambientarono in quei luoghi, a Ischia dove nel vulcano sarebbe stato nascosto il gigante Tifeo che provocava terremoti e eruzioni, alla punta della Campanella e poi alle isole Li Galli, i luoghi delle Sirene, di fronte a Positano, dove le correnti marine portavano spesso le imbarcazioni a schiantarsi contro di esse, naufragando, per non parlare dei Campi Flegrei dove, tra i fumi e i vapori dei vulcani era stato individuato l'ingresso dell'Averno, il regno dei morti.
Qualche secolo dopo, circa il V a.C., fu fondata Neapolis, la nuova città per distinguerla da Partenope, con le sue alte mura e dopo ancora, arrivò Roma. Ma il culto della Sirena restò, i conquistatori Romani non toccarono i miti locali, ma, incantati dalla bellezza dei luoghi, lungo le colline di Posillipo, sulla Riviera e altre zone vicine, iniziarono a costruire domus e ville.
Fu così che nel I secolo a.C., a Pizzofalcone, si stabilì Lucio Licinio Lucullo, romano.
Appena si pronunzia il nome Lucullo si pensa immediatamente ai pranzi che da lui prendono il nome, a fastosi e incredibili banchetti e cene. Ma non fu sempre così. Lucullo fu prima di tutto un importante rappresentante del ceto aristocratico che fece il suo cursus honorum e si distinse per la profonda cultura, parlava latino e greco, e le qualità di comandante militare. Dopo la vittoria su re Mitridate , in Asia minore (69 a.C.) egli si ritirò ricco e visse tra la villa di Roma e quella di Baia, dove fu un vero innovatore della pescicoltura di specie pregiate come aragoste, murene e gamberi e piantò il ciliegio e il pesco, portato dall'Asia.
Acquistata tutta l'area occidentale extra moenia di Neapolis, Lucullo edificò una grandiosa villa che dal Monte Echia scendeva fino al mare,dove sfociava il fiume Sebeto, dall'attuale piazza Municipio fino a Santa Lucia, compreso l'isolotto di Megaride.Essa ospitava una tra le più ricche e selezionate biblioteche private dell’antichità, allevamenti di murene e pwsci di varie specie, i frutteti di pesco e di ciliegie. Difficile immaginarne l'aspetto dal momento che oggi non c'è più niente che possa ricordarlo. Una pallida idea può però fornircela ciò che resta della villa di Vedio Pollione, a Posillipo, che scende fino alla Gaiola.
Dopo Lucullo e i suoi eredi, il complesso passò al Demanio dell' Impero che ne iniziò lo divise in varie proprietà e complessi abitativi. Verso il V secolo d.C., tutta l'area ex-lucullana, in particolare nella parte degradante verso il mare, fu fortificata dall’ imperatore Valentiniano III. Appena in tempo, poichè l'impero d' Occidente era giunto al capolinea. Il Mediterraneo non era più il mare nostrum, si stavano formando Regni barbarici e tra poco sarebbero arrivati anche i pirati Saraceni. Ora erano necesarie fortificazioni, bisognava alzare muri, torri di guardia e castelli.
Gli edifici esistenti su Megaride divennero un castrum, un castello, anche se era molto diverso da quello che vediamo oggi. La costruzione di un castrum romano sulla terraferma era in genere preceduta da una ricognizione del terreno, dalla scelta del materiale da utilizzare e intorno veniva scavato un fossato per motivi di sicurezza. Megaride non dava scelta: essendo una insula maris era già abbastanza isolata e protetta da eventuali assalti . Dovevano solo essere eretti muri e torri.
Per la costruzione furono utilizzati grossi blocchi di tufo e pozzolana, materiale molto usato fin dall'antichità: sono state scoperte di recente nei fondali subacquei del castello gallerie, lunghe quattro / cinque metri che si è ritenuto siano dovute a uno sfruttamento del fondo del mare probabilmente come cava di pozzolana.
Nel 476 d. C., il barbaro ma furbo Odoacre, arrestò il giovane Romolo Augustolo Imperatore, che in quell'anno doveva avere circa 12/13 anni, ma non lo ammazzò. Lo fece invece accompagnare a Napoli e lo ospitò nella fortezza di Megaride. Romolo, che per uno scherzo del destino, aveva lo stesso nome del fondatore di Roma e del primo Re, fu invece l’ultimo imperatore dell'impero romano d'Occidente e di lui non se ne seppe più niente.
Napoli e i dintorni erano occupati dai Goti: contro costoro, nel 530 circa l' imperatore d' Oriente Giustiniano lanciò una campagna per riconquistare l'Italia. Fu una guerra lunga e ebbe termine solo dopo circa 20 anni, ma alla fine Napoli, la Sicilia e la Puglia e altre zone a nord , come Ravennafurono orioccupate da truppe romane d'Oriente. Con l'occupazione bizantina arrivarono anche suore e monaci di rito greco come i basiliani, detti così perchè seguivano la regola di S.Basilio Magno.
Napoli si stava trasformando in Ducato autonomo (G. Attinà, il Ducato, ed. Kairòs, 2016), bisognava trovare una sistemazione a quei monaci. Così fu deciso che, fuori le mura della città, c'era, anche se non proprio in condizioni decorose, una antico castrum su un isolotto di fronte alla costa, vicino a una chiesetta intitolata a S.Lucia. I monaci, perciò, furono insediati nel castello di Megaride, che chiamarono del Salvaatore. Essi ristrutturarono le sale del castello, e le destinarono a refettori, a cimiteri per i monaci e a scriptorium, luogo dove venivano trascritti i libri, probabilmente testi che erano stati recuperati e conservati dalla biblioteca della villa di Lucullo.
Napoli si stava lentamente avviando alla conquista dell'autonomia da Bisanzio, che arrivò nel IX secolo. Ma la città era pressata da potenti vicini: i principati longobardi di Benevento , di Salerno e di Capua, i Saraceni, i Papi e, infine, i Normanni. La posizione del castello non era sicura: soggetta ad attacchi da parte dei vari nemici e soprattutto dei Saraceni, fu utilizzata come fortezza difensiva, ma nel IX secolo, verso l'870, fu conquistata dai pirati che vi rinchiusero il Vescovo Atanasio, catturato durante la razzìa in città.
Si pensò quindi che quella costruzione non era sicura e poteva servire come base agli stessi saraceni per una invasione della città. Ai monaci perciò fu trovata un’altra sistemazione sicura in terra ferma, a Pizzofalcone, mentre si pensò di abbattere l’edificio sito a Megaride, Solo nel X secolo però, tutto il complesso venne distrutto.
Intorno al 1100 però si iniziò a ricostruirlo, almeno in parte tant'è che nel 1140 Ruggero II di Sicilia, conquistata Napoli, ne fece la propria sede provvisoria, quando era nella città.
Fu allora che si cominciò a spargere tra la popolazione un'altra favola e le favole non si sa come bascono né chi le pensa: si disse che prima di terminare la ricostruzione, un Mago di nome Virgilio (M.Buonoconto, Napoli esoterica, ed. Newton) " in una gabbietta che fece murare in una nicchia delle fondamenta"aveva chiuso un uovo che avrebbe mantenuto in piedi l'intera fortezza. La sua rottura avrebbe provocato non solo il crollo del castello, ma anche una serie di rovinose catastrofi alla città. Chi era questo Virgilio? Forse il grande poeta romano, che aveva scritto l'Eneide e che era stato considerato un alchimista e un cultore di misteri orfici ? oppure  un monaco di nome Virgilio operante nel castello anni prima, anche lui conoscitore di segreti e misteri esoterici? Non si sa , ma la voce stravagante si sparse tra il popolo, poi tra i nobili e la stessa Corte, andando avanti nei secoli successivi fino a quando, nel XIV secolo, ai tempi della regina Giovanna I d'Angiò, la denominazione ufficiale del castello era già quella ancora oggi esistente: il Castel dell'Ovo.
Nel 1154 il figlio di Ruggero, Guglielmo fece costruire un altro castello, allo sbocco del decumano maggiore, nel quale egli trasferì la propria residenza e la Corte quando si spostava a Napoli da Palermo, che era la capitale del Regno. In sua assenza vi sedeva il Vicario.
Il castel dell'Ovo continuò la sua funzione di difesa, venne rafforzato con la costruzione di nuove torri, la Normandia e, nel 1222, la Torre Maestra e la Torre di Mezzo. Federico II vi fece insediare l'Erario dello Stato e il tribunale della camera regia.
Nei periodi successivi con gli Angioini fu in parte restaurato e furono apportate modifiche per utilizzarlocome sede per il tesoro e per la corte. Nel 1370, la regina Giovanna I lo fece ricostruire e approfittò dell’occasione per effettuare dei restauri. Il periodo giovannesco si chiudeva con guerre per l'eredità del regno e scontri violenti tra varie fazioni . I castelli della capitale erano ora in mano della regina legittima, altri com il castello dell'ovo in mano al pretendente Carlo di Durazzo. Il castel dell'Ovo divenne prigione di Stato, ospitando avversari politici.
Castel dell' Ovo oggi
Dal 1442 sul trono di Napoli si insediò Alfonso d’Aragona, che insieme ai successori, apportò nuove modifiche a tutte le fortificazioni di Napoli e dintorni, compreso il Castello dell'ovo. Negli anni 50 del XV secolo si iniziarono lavori che ripararono una strada di collegamento tra il castello e il Chiatamone. Lo stesso castello, che era stato bombardato, fu modificato e assunse una struttura più massiccia: ad esempio le alte torri di tipo medioevale, vennero ridotte in altezza e diventarono più spesse. Fu poi durante il viceregno spagnolo che la linea architettonica del castello mutò drasticamente, le torri vennero ricostruite in forma ottagonale, le mura inspessite e gli armamenti ammodernati, fino a giungere allo stato in cui si presenta oggi. Essendosi modificata anche la linea di costa, più vicina al castello, fu costruito un nuovo ponte di collegamento con la terraferma. Ammodernamenti e ristrutturazioni andarono avanti anche nei secoli successivi: i Borbone fortificarono ancora di più il castello e aggiunsero due ponti levatoi, l’edificio e fu utilizzato solo come prigione e avamposto militare. Con l'unità perdeva anche queste ultime funzioni, la struttura fu abbandonata senza o poca manutenzione e ne fu proposto addirittura l’abbattimento. Per fortuna la proposta rimase solo sulla carta, ma il castello restò in stato di abbandono fino al 1975, anno in cui iniziarono i restauri per rimetterlo in sesto.
Oggi il Castello fa parte del panorama classico di Napoli, è stato ristrutturato e un bel ponte illuminato lo collega al via Caracciolo. Il castello è meta turistica ed è inserito nel cosiddetto Borgo marinaro. Vi si tengono convegni e cerimonie.

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