martedì 14 giugno 2022

Giustiniano e l'operazione speciale

 

Nel 534 d.C. diventava regina dell’Italia romano-gotica Amalasunta, vedova, figlia di Teodorico e madre dell’erede al trono Atalarico, morto proprio in quell’anno a 18 anni, senza eredi. Per quell’epoca una donna al comando era un fatto assolutamente inconcepibile e Amalasunta, benché capace di governare da sola, fu costretta ad associare al trono il cugino Teodato,  uno dei più influenti esponenti della nobiltà gota, che sembrava apprezzare la politica della Regina.

Amalasunta , italiana perché nata a   Ravenna nel 495, di religione cristiana, donna di cultura che non solo conosceva greco e latino, ma sapeva anche scrivere e leggere, continuò, sul solco tracciato dal padre, una politica di buoni rapporti tra Goti e Italici, favorendo la nomina di elementi moderati alle maggiori cariche dello Stato, lasciando i comandi militari a ufficiali Goti. Intavolò, inoltre, negoziati con l’Imperatore Giustiniano I e cercò di mantenere buoni rapporti con Bisanzio.

Il regno si presentava economicamente a posto e in crescita, e buona era l’integrazione tra vecchi e nuovi abitanti della penisola.  Tutto questo non incontrava, però, il favore di molti Goti, e neanche di Romani più estremisti. Iniziarono così le prime dicerie, iniziarono le prime congiure e i tentativi di sottrarle il trono.

L’opposizione gota trovò la soluzione in Teodato, elemento debole e poco convinto della gestione di Amalasunta, al quale fu promesso il trono se fosse riuscito a toglierla di mezzo.



Teodato tradì, organizzò un colpo di Stato, la regina fu arrestata e allontanata da Ravenna, la capitale, e relegata  sull’isola Martana, nel lago di Bolsena. Furono allontanati e anche ammazzati i suoi ministri, ma la notizia si era già sparsa sia nei vicini regni, come in Gallia o in Spagna, e raggiunse perfino Costantinopoli da dove l’imperatore Giustiniano chiese subito spiegazioni su quanto stava accadendo.

In quel periodo l’imperatore aveva avviato una serie di “operazioni speciali”, come oggi si chiamano, cioè campagne militari di aggressione e riconquista di territori già romani che erano diventati, grazie ai “barbari”, Stati cristiani, economicamente fiorenti e ben organizzati. Il suo generale, Belisario, era riuscito  a conquistare il Regno vandalo nell’area  corrispondente all'attuale Tunisia e all'Algeria orientale, ma non ce l’aveva fatta contro quello Visigoto di Spagna e contro i Franchi della Gallia.


( testa di statua di marmo probabilmente Amalasunta)



Giustiniano sedeva sul trono imperiale di Costantinopoli dal 527, non era proprio giovane, aveva 45 anni, era un “barbaro” di Tauresium, un oscuro paese dell’Albania: viene descritto come mingherlino di corporatura e malaticcio, ma ben istruito, ben educato e dai modi gentili. Aveva sposato Teodora, una cortigiana di umili origini che però, sul trono, dimostrò grandi capacità di governo e di sostegno al marito. Giustiniano era un fanatico dell’antica Roma, con le sue leggi e i suoi molteplici territori. Pensava, o forse sognava, la Roma augustea dei primi tempi imperiali, perché quella che c’era nel VI secolo d.C. era solo un ammasso di rovine sulle quali sopravviveva alla meno peggio una popolazione di poche anime, e assumevano sempre più potere Papi, preti e turbolente classi aristocratiche.  

Una delle sue prime iniziative fu quella compilazione omogenea delle antiche leggi romane, il “Corpus iuris civilis”, che, ancora oggi, viene studiato nelle facoltà di giurisprudenza delle Università.

Aveva ricevuto ambascerie e doni da parte dei sovrani dei regni romano-barbarici che cercavano di mantenere buoni rapporti, compresi quelli provenienti dall’Italia. Egli guardava alla penisola, convinto che quel territorio era romano e che la popolazione soffriva il dominio dei Barbari e non aspettava altro che un “liberatore”. Anzi, nessuno avrebbe opposto resistenza.

Giustiniano, insieme ai suoi generali, non pensava a una vera guerra ma solo a una operazione “speciale”, semplice e di breve durata, e che la popolazione latina avrebbe applaudito l’intervento militare e il ritorno dei cugini “romei”. L’ unico problema era trovare una giustificazione valida per iniziare le ostilità.  E questa si presentò subito, nel 535.

Giustiniano aveva chiesto spiegazioni sull’allontanamento da Ravenna della regina Amalasunta, ma nessuno gli aveva risposto. Ai primi di maggio del 535 giunse a Costantinopoli la notizia che la ex regina, quella che aveva condotto all’integrazione tra italici e goti e aveva migliorato i rapporti con l’Impero, era stata assassinata. Il regno d’Italia, secondo quello che gli raccontavano gruppi di fuorusciti, era allo sbando, c’era pericolo per la popolazione italica.

 Era il casus belli che Giustiniano aspettava. Organizzò l’esercito di invasione che di romano non aveva nulla, e neanche di greco, perché composto da vari popoli guerrieri come Unni, Longobardi, Persiani, Balcanici, Isauri e altri asiatici, tanti mercenari attratti da possibili saccheggi e premi. Al comando dell’operazione fu posto Belisario, il migliore dei generali del momento. Partecipava alla spedizione come segretario del generale anche Procopio di Cesarea, storico, grazie al quale sappiamo tutto della guerra che seguì.

L’esercito orientale sbarcò in Sicilia e tutto apparve facile.  Fu opposta scarsa resistenza e fu semplice la conquista dell’isola, facilmente Belisario attraversò lo Stretto e risalì per la Calabria proseguendo verso Napoli. Tutto sembrava andare secondo le previsioni di Giustiniano.

Ma la passeggiata finì davanti alle mura di Napoli. Davanti alla città partenopea tutto cambiò e niente andò più come si pensava. Belisario si trovò davanti a una inaspettata e imprevista resistenza. Allora dovette fermarsi e porre l’assedio. Iniziò una vera “grande guerra” che durò per circa vent’anni.

Napoli stava cercando di ricostruirsi, manteneva l’antica struttura greca di decumani e cardini, antichi templi erano stati spogliati e depredati per costruire altri edifici, lo stesso era successo per l’antico teatro, ridotto a pascolo per pecore e mucche.

Il vescovo della città si chiamava Pomponio che, un paio d’anni prima, aveva fondato, sui resti di un antico tempio dedicato al culto di Diana, la Dea protettrice delle donne, degli animali selvatici e della caccia, la Chiesa che chiamò, e ancora oggi si chiama, della Pietrasanta, sull’attuale via Tribunali. Oltre le mura, nell’area a occidente, c’era un castello in “insula maris”, l’antico castrum lucullanum, l’attuale castel dell’ovo, dove qualche anno prima, nel 476, era stato rinchiuso Romolo augustolo, l’ultimo imperatore romano d’Occidente. Nessuno era riuscito ad abbattere o a superare le antiche mura, esse erano intatte e tanto alte che le scale costruite per l’assalto erano troppo corte. La difesa era affidata a
reparti Goti e alla milizia locale. Il grosso dell’esercito orientale aveva posto l’assedio a oriente, in una area paludosa, probabilmente davanti a porta Capuana, mentre altri reparti si erano accampati nella vallata sottostante alla Sanità. L’assedio si trascinò per molto tempo, il territorio circostante fu stravolto dalle orde barbariche orientali.



 La città fu poi presa per caso, con l’inganno, attraverso dei pozzi sotterranei che sbucavano all’interno delle mura.  Il massacro che ne seguì fu tale da provocare l’intervento del Papa: secondo M. Schipa, il generale Belisario fu aspramente “rampognato a Roma dal pontefice Silverio per gli eccidi commessi nella città”.  Una fonte dell’epoca racconta che, dopo l’assedio della città, l’intero territorio di Napoli rimase spopolato. Papa Silverio, adirato, disse a Belisario di riparare il danno. Per risolvere il problema, il generale decise che bisognava solo “portare a Napoli le popolazioni dei casali vicini, come Trocchia, Chiaiano, Piscinola, Liburia, Somma e altri villaggi “. I casali erano piccoli agglomerati di case coloniche all’interno della campagna napoletana. Alcuni nomi li conosciamo ancora oggi.

La guerra continuò al nord fino a Ravenna e oltre. Teodato fu eliminato e assassinato, e sostituito da Vitige, un capace generale che non poté far molto, fu fatto prigioniero e inviato a Costantinopoli, dove poi morì.  Belisario fu richiamato in patria e sostituito da Narsete, un cortigiano imperiale, arrivato in Italia con rinforzi. Procopio di Cesarea scrisse la storia di una guerra fatta di vittorie e sconfitte, di massacri, violenze, distruzioni, crisi economica, migliaia di morti e feriti tra soldati di entrambi gli schieramenti, carestie e epidemie e “moltissimi – narra - caddero vittime di ogni specie di malattie...
Nel Piceno, si parla di non meno di 50.000 tra i contadini, che perirono di fame, e molti di più ancora furono nelle regioni a nord del golfo Ionico... Taluni, forzati dalla fame, si cibarono di carne umana
“.

Nel corso della guerra che coinvolse tutta la penisola, qualche anno dopo, Napoli fu assediata di nuovo ma questa volta dalla resistenza Gota, che voleva riprenderla, e fu costretta ad arrendersi per fame: alla resa non seguì però alcuna violenza, anzi, il Re Totila risparmiò e sfamò la popolazione e fece anche accompagnare il presidio orientale con cavalli e uomini, senza toccarli, fino a Roma. Che differenza con il massacro compiuto da Belisario e i suoi! Chi erano, allora, i barbari?

I Goti non erano sconfitti, essi difendevano quella che ora era la loro patria, da una aggressione straniera, ma la guerra proseguiva tra alti e bassi, tra il Nord e il centro Italia, e diventava sempre più difficile. Erano in allarme i Franchi in Gallia, e Alemanni e Svevi, pronti a intervenire in soccorso dei Goti.  Era diventata una “grande” guerra durante la quale, tra le altre cose, a Montecassino era stato istituito un monastero da un certo Benedetto da Norcia che, da quanto si racconta, incontrò anche il Re Totila.  Totila fu ferito in battaglia e morì, al suo posto fu scelto un giovane ufficiale di nome Teia. La guerra si spostava ora più a sud verso il Vesuvio e i Monti Lattari dove il terreno impervio del luogo poteva proteggere la resistenza gota dagli attacchi nemici. I Goti erano alla fine, lo sapevano, lo immaginavano, ma non si arresero se non nell'ottobre del 552, dopo una ennesima disperata battaglia che ebbe luogo nel territorio che oggi è tra Angri e S. Antonio Abate.

Teia mori in battaglia e fu l’ultimo re dei Goti italiani. L’operazione speciale di Giustiniano, presto trasformatasi in una lunga e costosa guerra senza quartiere, aveva sì recuperato Roma all’Impero, ma aveva ridotto paesi e città in macerie, aveva provocato migliaia di morti e distrutto l’economia. Buona parte della popolazione italiana fu decimata dagli assedi, dalle carestie e dalla peste. 

Restavano alcune sacche di resistenza soprattutto nel settentrione, dove si verificò una ribellione sostenuta da un esercito franco-alemanno che arrivava in soccorso. La guerra andò perciò avanti fino al 561, quando Widin, il capo della resistenza, fu catturato e messo a morte.

Il regno goto d’Italia era finito, al suo posto nacque una nuova organizzazione amministrativa che metteva la penisola in mano a Costantinopoli e ai suoi funzionari civili e militari con l’istituzione, da nord a sud, dei Ducati.  Ma la vittoria bizantina si dimostrò subito inconcludente ed effimera: pochi anni dopo, nel 568, arrivò da Est una nuova invasione  che spazzò via tutte le difese romano-bizantine.