martedì 16 agosto 2022

L'ultimo Duca

 

Napoli, ottobre 1137

Lì, vicino al monastero di San Marcellino, si elevava il grande Palazzo Pretorio, il posto di comando, la residenza del Duca. Da secoli quel palazzo rappresentava la sede del potere ducale, il luogo dove "reipublicae Neapolitanae negotia agebantur".

M. Schipa ne descrive la posizione:” sorgeva quest'edificio sul ciglio di Monterone, nella regione di Nilo, dove oggi si elevano l'Università, il Salvatore e S. Marcellino. Lo allietava la vista del mare e lo splendido e vasto orizzonte, e gli stavano da presso, ad ornamento, un ampio portico, il detto monastero di San Marcellino e la diaconia di s. Giovanni e Paolo; a sicurezza, fra l'altro, le forti munizioni di porta Ventosa”. ( vedi la ricostruzione nell’immagine pubblicata).

 La grande porta Ventosa chiudeva tra le mura quel canalone (oggi Mezzocannone) che raccoglieva le acque di scarico provenienti dalla collina di Caponapoli e finivano in mare. Più avanti, le mura del porto del “Vulpulum” con le porte di Massa e quella del pesce con gli edifici doganali. Sui moli, si poteva osservare un buon movimento di barche e uomini, marinai, soldati, pescatori e personaggi variamente vestiti e di lingue diverse, mercanti bizantini, perfino alcuni con turbanti bianchi forse indiani o arabi.

Affacciato sulla loggia del palazzo, Sergio guardava il mare e la spiaggia sottostante, ascoltava lo schiamazzo dei gabbiani che svolazzavano intorno alle barche dei pescatori, il sole stava nascendo dietro il Vesuvio, sul mare navigava lentamente una piccola galera militare per la sorveglianza della costa. Anni fa, pensava Sergio, il mare arrivava fino a qui sotto, ora si è ritirato.

Sergio era nato in quel palazzo e aveva trascorso l’infanzia con il fratello e due sorelle tra cortili, tra porticati e giardini sorvegliati da “uomini con spade e bastoni”.

Suo padre era Giovanni, duca di Napoli, sua madre si chiamava Anna (o forse Eva ), era di Gaeta.  Sergio era diventato alto più della media, aveva capelli neri e non portava la barba perché non gli piaceva, il fratello Giovanni era morto da piccolo, le sorelle erano state usate, come sempre, per matrimoni combinati e alleanze politiche, non aveva figli. La sua famiglia governava questo Stato da circa tre secoli, costretto a barcamenarsi tra nemici potenti che volevano impadronirsene.

Il territorio del Ducato si era ridotto praticamente alla sola città, a una striscia litoranea da Torre del Greco a Pozzuoli e alle isole di Ischia e Procida.

Sergio era successo al padre nel 1123 e aveva aggiunto al suo nome il numero sette.

Resosi conto che il momento era difficile, forse per attirare a sé l’aristocrazia della città, aveva promulgato un editto, che riconosceva alla città di Napoli, un regime di tipo comunale, e garantiva alcune prerogative e libertà ai “boni homines” e una specie di loro partecipazione al potere cittadino.

Sapeva comunque che era già tardi, quei banditi mercenari normanni si erano ben inseriti nelle guerre tra Signorotti locali e Bizantini, si stavano spartendo il sud Italia, proclamandosi conti, duchi e anche principi.

E nel 1130, quel parvenu di Altavilla, Ruggero, così si chiamava, questo contadino appena ripulito, si era fatto proclamare dal papa, addirittura Re in Sicilia. E in più era padrone di Calabria, Puglia, Abruzzo e Campania, tranne Napoli.

Napoli (vedi la pianta nella ricostruzione del Capasso) era stata uno dei tanti Ducati creati in Italia dai Bizantini dopo la vittoria sui Goti del 554. Dipendente da Costantinopoli e dall’imperatore romano d’oriente, disponeva all’inizio di un discreto territorio che andava da Caserta a Sorrento, dal Garigliano alle isole.  Da circa tre secoli era diventato indipendente con un Duca ereditario appartenente ai Sergi, una famiglia aristocratica che aveva la contea di Cuma. Essi non potevano competere sul piano militare con queste bande mercenarie pur disponendo di “una bellicosa e valorosa milizia, che offrì ai duchi di Napoli un sostegno “sicuro (G. Galasso).

Avevano sempre comunque agito con astuzia e diplomazia, ma questa volta non funzionava. L’opposizione a Ruggero era cresciuta, è diventato padrone di quasi tutto il sud, gli manca solo Napoli che, se nessuno lo ferma, sarà la prossima conquista. I grandi Stati come la Francia, l’imperatore tedesco del sacro romano impero, il nuovo papa, l’impero romano di Costantinopoli, Signori longobardi e normanni spodestati come Rainulfo, conte di Alife, della famiglia Drengot, tutti erano preoccupati dall’arroganza di questo brigante, e si chiedevano chi era e cosa voleva questo reuccio di Sicilia e cosa fare. Ad ogni buon conto Sergio era andato già a rendergli omaggio, ma subito dopo si era aggregato all’opposizione che aveva schierato un potente esercito guidato da Rainulfo Drengot, peraltro cognato di Ruggero avendone sposato una sorella.

 Il 24 luglio 1132, l’esercito ribelle guidato da Rainulfo si scontrò, nell’area di Scafati, con quello siciliano e lo sbaragliò. Ruggero fuggì in Sicilia, ma non era tipo da arrendersi. Un anno dopo tornò sul continente improvvisamente prendendo gli avversari impreparati e, tra assedi, repressioni e vendette, s’impadronì di nuovo di quel che aveva perduto. Molti si arresero, Benevento si sottomise, il Principato di Capua fu occupato da milizie siciliane, e Sergio di Napoli, pur di salvare l’indipendenza, con una bella faccia tosta, andò di nuovo a ossequiarlo. Sergio però stava giocando una partita pericolosa. E cosa poteva fare, consegnargli Napoli e ritirarsi?  Quando qualche mese dopo si parlò di malattia del re e addirittura si sparse la voce della sua morte. La rivolta si riaccese il sud in fiamme, le truppe di occupazione aggredite.  Ma altro che morto! Forse la notizia non era stata accertata. Il creduto morto sbarcò a Salerno.  Si racconta che Ruggero si era espresso chiaramente affermando che “Mai più perdonerò a Rainulfo e al farabutto di Napoli”.  I ribelli fuggirono e tutti chiusero a Napoli.  Sergio li accolse e predisposero la difesa. Le mura erano solide e così anche le porte, nessuno era riuscito a superarle con la forza ma le truppe regie posero comunque l’assedio, era il 1134. Questo bandito è fortunato, pensavano i ribelli, ha subito due sconfitte, una malattia e una presunta morte, ma riesce sempre a farcela.  Macchine d’assedio di ogni genere, assalti furiosi da terra e per mare, vigilanza strettissima, unite alla fame e alla disperazione del popolo, non riuscirono sconfiggere la città. Furono due anni di tormenti inauditi. con continui assalti e tregue e soprattutto stenti della popolazione, fame, sete e altro.   Bisognò arrendersi, Rainulfo Drengot riuscì a fuggire in Puglia mantenendo viva la rivolta. Sergio invece dovette rassegnarsi, non poteva più usare le astuzie del passato, dovette accettare lo stato di vassallo del Re di Sicilia e perciò dovette fornire a Ruggero assistenza militare partecipando alla spedizione contro il suo ex alleato Rainulfo che non si era dato per vinto.  In cuor suo però sperava in una ulteriore sconfitta di Ruggero. E così fu. Lasciata Napoli e il suo bel palazzo, al comando della milizia napoletana si diresse verso la Puglia, riunendosi con il grosso dell’esercito reale. Alcuni cavalieri e molti soldati mugugnavano per questa unione, e alcuni passarono al nemico che però era il loro ex alleato. Il 30 ottobre 1137, a Rignano di Puglia, i due eserciti si scontrarono, Sergio e quel che restava della sua piccola milizia, si batté con valore contro i reparti ribelli. Il figlio del re batté l’ala sinistra del nemico ma finì per ritirarsi. Rainulfo di Alife era sicuramente un grande condottiero se il suo esercito sconfisse per la terza volta quello siciliano e costrinse Ruggero alla fuga. E Sergio?  Ritrovarono il suo corpo sanguinante tra i suoi soldati morti. Era vissuto cercando di salvare il salvabile, e aveva creduto di farcela a salvare Napoli ed era invece morto combattendo per l’uomo che aveva odiato. La sua morte metteva fine al plurisecolare Ducato napoletano.  In città non si sapeva cosa fare, si provò a organizzare un governo provvisorio di tipo repubblicano, che durò poco e fu un fallimento. Il papa Innocenzo, al quale ci si poteva rivolgere per consigli e protezione, era prigioniero dei Normanni a Benevento. Qui, nel 1139, arrivò una delegazione napoletana che si sottomise a Ruggero e consegnò le chiavi della città. Napoli perdeva la sua indipendenza per diventare una semplice provincia del regno siciliano. Nel 1140, Ruggero II d’Altavilla, imponente sul suo cavallo, “alto, biondo e forte”, entrò a Napoli e prese possesso della città.  Il palazzo, simbolo dell’indipendenza del Ducato, fu completamente distrutto.

Fonti:

M. Schipa, Il mezzogiorno d’Italia anteriormente alla monarchia, Ed. Laterza 1923

G. Galasso, Intervista sulla storia di Napoli, Ed. Laterza, 2019

B. Capasso, Topografia della città di Napoli nell’XI secolo, Ed. Forni Arnaldo, 2005

F. Capecelatro, Istoria della città e regno di Napoli, prima parte, Ed. A. Benvenuto, 1724

J. J. Norwich, Il Regno del Sole 1130-1194, EdMursia, 1971