martedì 6 settembre 2011

DAP( seconda parte)



La foto è tratta da “Sorvegliare e punire-nascita della prigione-“ di Foucault, e mostra il sistema panottico di un penitenziario, ideato da J.Bentham (1748/1832), filosofo ed economista inglese.

Nel 1975, con la legge n. 354, venne finalmente varata la riforma penitenziaria, di cui si era iniziato a parlare già nell’immediato dopoguerra: erano passati quasi trentanni e non si contavano più le rivolte nelle carceri e morti e feriti tra detenuti e operatori.Veniva sancito il rispetto dei diritti previsti dalla Costituzione e il principio della funzione rieducativa della pena, venivano istituite le misure alternative e i permessi, veniva creato il ruolo dell’educatore e dei servizi sociali.

Ma nulla veniva detto per la Direzione Generale. Qualcosa però, era già cambiato, nella forma, come succede spesso: non era più la Direzione delle carceri, ma degli “istituti di prevenzione e di pena”.

La mia vicenda professionale iniziò sostanzialmente con questa legge: all’epoca la Direzione generale era lì, a Roma, in via Arenula, al 1° piano, retta dal direttore generale Giuseppe Altavista. Collaboravano con lui altri magistrati e funzionari, tra i quali soprattutto voglio ricordare Minervini, capo della segreteria, poi assassinato dalle brigate rosse, e De Gennaro, l’autore della riforma, anche lui sequestrato dalle stesse brigate. Erano uomini d’altri tempi, con i quali bastava una telefonata per chiarirsi e trovare soluzioni, persone per bene,…che ti fregavano lo stesso, ma con discrezione e con eleganza, quello che li salvava era la correttezza e la buona educazione. La Direzione generale si componeva di 10 uffici, da quello del personale e quello degli agenti di custodia, a quello dei detenuti, da quello dei minori, a quello del servizio sanitario, dall’edilizia alla acquisizione di beni e servizi. La Direzione generale, all’epoca e fino ai primi anni ’80, costituiva la casa comune, dove tutti potevano accedere, anche senza preventiva e specifica autorizzazione, e ti capitava di incontrare nei corridoi e di fermarti a parlare in maniera informale con il direttore generale.Presso la Direzione generale trovavi di tutto, personale amministrativo penitenziario, educatori, direttori, contabili, operai,perfino agronomi, tutti romani o comunque felicemente distaccati a Roma, agenti di custodia che facevano gli impiegati, personale giudiziario, cancellieri, segretari giudiziari, gli inutili ufficiali degli agenti di custodia.Gestire il passaggio tra il vecchio e nuovo sistema penitenziario non era facile, anche dopo l’emanazione del regolamento del 1976, la Direzione generale provava con continue circolari a fornire interpretazioni e risposte ai vari quesiti, spesso emanando provvedimenti anche “ anomali”. E’ dei primi anni’80 quello emesso in occasione di uno sciopero dei direttori – erano i primi scioperi di questa categoria – con il quali li si sostituiva con i… marescialli! Per non parlare dell’obbligo della reperibilità imposto, senza alcun compenso, ma solo perchè insito nel ruolo, con un fonogramma- così all’epoca si chiamavano i messaggi trasmessi per telefono, oggi nell’epoca di internet fanno ridere, – dal singolare contenuto, del 9 ottobre 1979 n.57.

Si avvicinavano tempi difficili, terrorismo, criminalità organizzata, oltre alle croniche emergenze del sovraffollamento e il fenomeno dei suicidi – che non è un fatto di oggi -, e la Direzione generale emetteva le solite circolari, raccomandava attenzione,emanava disposizioni spesso inapplicabili, e in generale, non sapeva come risolvere i problemi.Nei periodi bui del terrorismo, della criminalità organizzata, delle morti e delle evasioni continue, si è pensato alla sicurezza, sono arrivati provvedimenti e fondi per la costruzione di nuove carceri, con i relativi scandali ( chi ricorda le carceri d’oro ?), e, per le emergenze, il solito ricorso a quello che oggi si chiama “commissario straordinario “, da trovarsi fuori dalla organizzazione. Quella volta,i signori magistrati della direzione generale dovettero accettare e imporre ai direttori le carceri speciali, affidate ai carabinieri del generale Dalla Chiesa, che, a sorpresa e senza preavviso, in una notte, prelevarono e trasferirono detenuti da un posto all’altro in spregio ad ogni elementare diritto umano e legale. Presso la Direzione generale nulla cambiò, salvo due cose: il trasferimento degli uffici presso una struttura distaccata, alla periferia di Roma, allora quasi irraggiungibile, dove è ancora oggi, e nel 1983, dopo la uscita di scena di Altavista e il rapido passaggio di un tale Sisti, già contestato procuratore della repubblica a Bologna nell’anno della strage alla stazione, l’insediamento di un nuovo direttore generale, Niccolò Amato.

Siciliano, P.M. in uno dei tanti processi per l’omicidio di Aldo Moro, personaggio egocentrico, esagerato, carrierista e arrogante, gran comunicatore e approfittatore del ruolo assegnatogli, protetto dalla politica del tempo, e in particolare dal PSI di Craxi, riuscì a portare le carceri al centro dell’attenzione dei giornali, della società e della politica. Egli durò in carica 10 anni. Con lui cambiarono quasi tutti i magistrati della direzione generale, e non in meglio: chi non era d’accordo - ed erano tanti - dovette andarsene, e finì l’epoca del contatto diretto tra centro e periferia, diventò difficile non solo l’accesso agli uffici romani, ma perfino telefonare e avere una risposta. Ci furono cambiamenti anche a livello di personale addetto, con una particolare predilezione per l’elemento femminile, naturalmente quello esteticamente migliore e più disponibile, di cui Amato amava la compagnia anche durante le sue trasferte e i convegni. Ricordo la telefonata di una collega che lasciava un numero telefonico ai direttori, al quale chiamare per riferire su eventuali problemi non affrontati e non risolti da altri uffici, in sostanza si trattava di far la spia.Il mutamento lo si vide anche dalla forma delle circolari, fino ad allora erano state impersonali, parlava la Direzione generale, dopo invece, con Amato, parlava lui..” io ho disposto, io ho detto, io ho fatto…ecc…”. Questione di stile!

E si accentuò la mentalità inquisitoria contro i direttori e venne incentivato il ricorso alle lettere anonime e alle Procure chiamate a indagare su ogni cosa: non porto esempi personali, ma a quale collega non è capitato di essere denunziato da chi invece avrebbe dovuto proteggerti. E quando non si riusciva a trovare responsabilità, si ricorreva a un trasferimento o a un tentativo di trasferimento, perché questi signori, sapendo di non poterlo imporre e avendo paura di ricorsi al TAR, agivano subdolamente senza avere il coraggio di dire apertamente che devi andartene perché l’ambiente non è più favorevole, scegliti una sede e vai. Quando voleva trasferirmi per forza, inserendomi in un giro con altri colleghi, fui chiamato a Roma dal capo del personale,Luigi Daga, al quale poi fu intitolato il largo davanti all’ingresso, che attesi dalle nove di mattina alle due del pomeriggio, e mi fu ambiguamente proposta, senza spiegarmi almeno il perché, una sede in Lombardia, che educatamente rifiutai. Come se non avessi parlato! Con un fax si disponeva l’immediato movimento a tre: solo che di immediato non c’era niente, nessun collega voleva muoversi, e nessuno volle sentire le mie ragioni. A quel punto dovetti far intervenire la politica: prima i politici locali e perfino un ambasciatore, poi il sottosegretario alla giustizia, che pose fine alla questione. Gli anni ’80 erano pieni di progetti, convegni e interventi sulle carceri. Ci si era accorti che: “ i problemi del carcere non si risolvono solo dalla parte dei detenuti; una delle ragioni della mancata attuazione della riforma del 1975, sta proprio nell’aver omesso di considerare il ruolo del personale, dagli agenti di custodia ai direttori …,.. è sbagliato ogni approccio al carcere che trascuri gli altrettanto gravi problemi del personale …”.(L.Violante). Qualcuno ipotizzò anche un eventuale ritorno alla situazione prefascista, al Ministero degli interni.

Nel 1986 fu approvata la legge Gozzini, che allargava le possibilità di alternative al carcere. Anche allora c’era il sovraffollamento, che non è una emergenza di oggi. Era, ed è, una costante periodica e le varie amnstie e indulti non hanno mai avuto alcun effetto, le nuove carceri costruite qua e là, spesso sono rimaste inutilizzate e chiuse perché senza personale da mandare. Fui mandato ad “aprire” un nuovo istituto in una città del sud, arrivai sul posto ma era ancora tutto in costruzione, anche se i magazzini erano già pieni di materiale; lavori affidati direttamente senza appalti, dieci agenti a sorvegliare i lavori e le mura, fu assunto anche un medico, regolarmente retribuito, che però non faceva visite poiché non c’era nessuno da visitare. Soldi buttati. Lasciai l’incarico appena possibile. Nel 1987, fu approvata la legge del 27ottobre, n. 436, con la quale al personale direttivo della Amm.ne penitenziaria, venne fatto il regalo di equipararli, come trattamento economico, ai funzionari pari grado della Polizia di Stato, con un salto significativo negli stipendi. Bisognò attendere altri tre anni, il 1990 e la legge 395, che aboliva il corpo degli agenti di custodia e faceva nascere la polizia penitenziaria, per una mini-riforma della Amministrazione; l’art.40 allargava anche al trattamento giuridico, l’equiparazione del personale direttivo e dirigente a quello parigrado della polizia di stato.

L ‘ art. 30 di questa legge sanzionava la fine della Direzione generale degli istituti di prevenzione e di pena e la contemporanea nascita del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, il DAP.

Con la stessa legge veniva aumentato il numero dei dirigenti amministrativi, ciò gettava le basi per quello che i direttori aspettavano da cinquanta anni: la direzione degli uffici ministeriali.Si dette il via a una nuova organizzazione del DAP, diminuendo gli uffici centrali, trasformando quelli rimasti in Direzioni generali, e al posto del direttore generale, il responsabile del DAP venne chiamato “CAPO”.

In periferia, gli ispettorati distrettuali furono sostituiti dai Provveditorati regionali, con a capo dirigenti superiori e/o generali, cessava finalmente la dipendenza gerarchica di direttori dalle Procure della repubblica, si cominciava a pensare a una organizzazione per Aree. Amato venne sostituito appena dopo l’uscita di scena del suo protettore, nel 1993.

Da allora, un tourbillon di magistrati a capo del DAP, segno di tempi politici poco stabili e incerti, alcuni appoggiati provvisoriamente lì perché non si sa dove metterli, durano si e no un anno, il tempo di trovargli un posto diverso, si alternano magistrati noti e illustri sconosciuti, Coiro, Caselli, Margara, Cianci, Capriotti( che già conoscevo), Tinebra, Ferrara, per arrivare all’attuale dott. Ionta. C’è comunque una costante che, – tranne uno –, li accomuna: da Amato ad oggi, essi provenivano e provengono tutti dalle Procure. Infatti la mentalità inquisitoria non li ha mai abbandonati, quasi tutti hanno ragionato con il codice penale a portata di mano. Capitò una volta che durante una telefonata con un magistrato della direzione generale, questi mi faceva presente che quello che stavo facendo poteva costituire reato, al che gli risposi che i direttori, per mandare avanti la baracca, tutti i giorni commettono reati o illeciti. Il soggetto rimase sconvolto. Ebbi poi modo di rifarmi: capitò infatti che egli dovette venire da me e pretendeva la macchina di servizio con relativo autista per recarsi fuori città a una distanza di un centinaio di Km. Per motivi di lavoro. Al che gli feci presente che il direttore non può autorizzare viaggi fuori dal territorio comunale, altrimenti commette reati e illeciti amministrativi. Per queste cose, ci vuole una autorizzazione o della Direzione generale o forse dell’ispettore distrettuale. Lo vidi chiaramente sulle spine. Po, quando fu cotto abbastanza, telefonai all’isp.distr. Giuseppe Zoppi, un grande,che non amava questi personaggi, al quale chiesi l’autorizzazione. E’ lì davanti a te?mi chiese. Si, risposi, e mi diede l’autorizzazione.

Tutti i nuovi Capi del DAP, appena insediati, hanno fatto una sola cosa: un bel giro turistico - uno solo - nelle periferie, per farsi vedere dai direttori. Poi o andavano in pensione, per raggiunti limiti di età, o scappavano ad occupare altre poltrone, o venivano allontanati dal cambio del ministro in carica.

Dieci, ne ho conosciuti, di cui ben sette dal 1994 al 2007, prima di andare in pensione.

(la foto ritrae un murales- sono quattro - dipinto da detenuti con la guida di un artista).

Le riforme, si sa, procedono molto lentamente soprattutto presso il Ministero, dove tuttavia qualche magistrato ha già ceduto il posto a dirigenti amministrativi, come ad es. alla direzione del personale e come vice-capo del Dipartimento, facendo però, qualche volta, rimpiangere quelli che c’erano prima..... Nel cambio,infatti, non si è guadagnato, la mentalità e il modo di lavorare è sempre lo stesso, ma almeno i nuovi dirigenti, provenendo dalle fila del personale direttivo, portano avanti alla politica antiche istanze irrisolte e promuovono iniziative per la loro soluzione. E’ rimasta comunque una ignoranza della geografia della penisola, nel senso che da Roma ti mandano da Trieste a Trento, ad esempio, pensando che sono vicinissime e ignorano che tra le due città ci sono circa 4oo Km., oppure che quando dissi a un collega che avrei gradito una sede vicino Napoli, mi propose di andare a ….Matera!

Nel 1998 si faceva strada una ipotesi di assegnare a quei direttori, più anziani, che già percepiscono stipendi dirigenziali, in base ala legge dell’87 e all’art.40 della 395/90, qualifica e funzioni dirigenziali e attuare una forma di mobilità di questi, verso istituti di maggiore livello. L’ipotesi era da condividere, dal momento che avrebbe risolto almeno in parte quelle confusioni di ruolo e di funzioni, ma soprattutto sarebbe avvenuta a costo zero. Ovviamente le riforme a costo zero trovano consensi solo a parola, ma scontentano molti e perciò non se ne fece nulla, anzi, nel 1999 l’art 40 della legge 395/1990 fu abrogato con la legge finanziaria, e il personale direttivo e dirigente rientrò nel comparto statali e quindi contrattualizzato, pur mantenendo quegli stipendi maturati. I tempi tuttavia sembravano maturi per una riforma globale che partendo dal basso e coinvolgendo tutto il personale sia di polizia penitenziaria , sia amministrativo, potesse arrivare a una conclusione, i nuovi contratti nazionali prevedevano anche scivolamenti verso livelli superiori e quindi altre spese.

Si susseguono perciò provvedimenti urgenti tesi a migliorare e modificare l’assetto organizzativo e amministrativo del Dipartimento, dal 1999 il D.Lgs del 30 luglio, nel 2000, il n. 146 del 21 maggio, i D.M. 22/1/2002, la Legge, cosiddetta Meduri, n.154 del 27/7/2005, che fa rientrare tutto il personale direttivo nell’ambito pubblico e li parifica di nuovo alla P.S.: la creazione del ruolo dei commissari della polizia penitenziaria, corsi di riqualificazione e passaggio a livelli superiori per tutto il personale fermo al 7° e 8° livello, con relativi aumenti di stipendio. Per buttare via soldi, inoltre, e trovare posto a qualche funzionario, vene inventata una rivista mensile: “Le due città”, alla quale era fatto obbligo al personale di sottoscrivere l’ abbonamento. La rivista celebrava, e continua a farlo, il DAP e mostra galere bellissime, dove tutti appaiono motivati e felici, compresi i detenuti.

Nel 2000 , con il governo di centrosinistra, veniva emanato un decreto ministeriale che prevedeva l’istituzione di sedi dirigenziale di 1° livello, mentre il successivo governo di centro destra, dovendo dimostrare di essere migliore, estendeva a tutti gli istituti la qualifica di sede dirigenziale.

Nel 2005, la politica di centrodestra regalava la legge n.154 del 27 luglio , che è veramente un regalo ed anche molto costoso, perché tutti, ma proprio tutti, venivano promossi dirigenti di primo o secondo livello, anche quelli che non hanno mai diretto niente. Le conseguenze di questa legge sono quelle di parificare tutti i dirigenti penitenziari ai funzionari delle prefetture e della polizia di stato sia nel trattamento economico sia giuridico, con contratto separato. Va bene lo stipendio e gli straordinari, va bene anche i giorni di ferie, di più rispetto agli altri statali, ma quando si è trattato di applicare la norma che prevede il trasferimento per i funzionari che si presentano alle elezioni, e non sono eletti, il DAP ci ha solo provato facendo marcia indietro alla prima protesta.

Attualmente il DAP è organizzato in appena 5 Direzioni generali, oltre all’ufficio del Capo e all’istituto superiore di studi penitenziari, poi le Scuole della polizia penitenziaria – in via di Brava-, tutte strutture per le quali sono stati ricevuti e spesi miliardi - a capo delle direzioni generali vengono posti dirigenti generali o magistrati, i quali non intendono ancora rinunziare a incarichi dirigenziali. Magistrato è ancora il capo del Dipartimento, mentre dei due vice capi, uno è dirigente amministrativo. L’attuale capo del DAP è anche commissario per le emergenze, che non mi sembra siano risolte. Si era fatta l’ipotesi delle carceri galleggianti, ma a mio parere, è una vera cavolata. Sembra comunque che ci sia un “piano carceri” che prevede la chiusura di alcuni istituti piccoli, fatiscenti e inutilmente costosi.

La verità, a conclusione di questo intervento, è che le galere sono state e continuano ad essere, salvo brevi periodi, le cenerentole dello Stato. I fondi destinati alla giustizia sono stati sempre gli avanzi, in particolare poi, quelli per l’area penitenziaria sono gli avanzi degli avanzi. L’amministrazione penitenziaria ha dovuto e deve fare i conti con l’ opinione comune delle persone cosiddette per bene, che ragionano con la pancia , che vogliono stare tranquilli e “ chi se ne frega di quelli che se stanno dentro hanno fatto qualcosa e che hanno anche la televisione, e guadagnano soldi, mentre fuori ci sono i disoccupati”. Le stesse persone ci hanno ripensato quando in galera ci sono finiti , e ci finiscono ancora, loro, i politici, gli imprenditori, i colletti bianchi, sia ai tempi di tangentopoli sia oggi, quando questi, che mai si erano occupati di carcere, hanno cominciato a scrivere le lettere e hanno illustrato come si sta.

Oggi il DAP è chiamato a risolvere il problema del sovraffollamento, di cui si parla, ma solo d’estate quando la politica è in ferie, e solo per merito dei soliti radicali. Il sovraffollamento non è una novità, ma una costante periodica, risolta spesso con amnstie e indulti, l’ ultima del 2006 se non sbaglio e ha, come per il passato, solo alleggerito provvisoriamente il problema. Forse non è ancora chiaro che, da punto di vista tecnico, il sovraffollamento dipende dal funzionamento della giustizia penale, che come è noto, è lento e farraginoso: più del 50% dei detenuti presenti è in attesa di giudizio e non è chiaro, per anni, se saranno condannati a una pena definitiva. Altri, molti, invece di essere associati alle carceri, dovrebbero essere trattenuti, al momento dell’arresto, in camere di sicurezza presso questure e comandi di forze dell’ordine, che spesso non ci sono. La commistione, poi, nella stessa casa circondariale, di detenuti in attesa di giudizio e condannati, crea affollamento e soprattutto disparità di trattamento: sarebbe perciò necessario una netta separazione tra le due categorie. Parlare infine di nuove carceri- quando ce ne sono tante da chiudere e altre nuove e mai utilizzate -, e addirittura di quelle “galleggianti”, non risolverebbe nulla, la soluzione spetta alla politica e a un serio programma di interventi legislativi.

Ma l’argomento richiede più spazio e non rientra in questo intervento, forse se ne potrà parlare un’altra volta.

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