sabato 16 agosto 2014

Maria Sofia Wittelsbach, una vita difficilie


                                                                       
                                                                   Quinta parte

                                                                                    La guerra civile


Bronte,storia di un massacro
Con l'appoggio del governo borbonico in esilio e dello Stato pontificio, la ribellione fu condotta principalmente da elementi del proletariato rurale ed ex militari borbonici (oltreché da renitenti alla leva, disertori ed evasi dal carcere) che, spinti da diverse problematiche economiche e sociali, si opposero alla politica del nuovo governo italiano. Secondo alcuni storici, fu la prima guerra civile dell'Italia.   Sul cosiddetto brigantaggio meridionale e post unitario molto di si è scritto da parte di autori, storici di ogni tendenza e solo da poco si è dato risalto alle motivazioni sociali e ideologiche, perché prima erano solo briganti e banditi da fucilare sul posto, senza alcun processo. Ma non è questo il luogo per poterne parlare a fondo. Già nel 1860, mentre era in corso l’occupazione della Sicilia, proteste rivolte e morti si erano verificati in alcuni paesi, come  quella più famosa di Bronte, ma non erano  né briganti né borbonici, erano solo contadini che chiedevano la distribuzione delle terre comuni, come era stato promesso dallo stesso Garibaldi. La causa scatenante fu la privatizzazione delle terre demaniali a vantaggio dei vecchi e nuovi proprietari terrieri, che così ampliarono legalmente i loro possedimenti in cambio di un maggior controllo del territorio e della fedeltà al nuovo governo. Tutto ciò danneggiava i braccianti agricoli più umili, cioè quelli che lavoravano a giornata con lavoro precario e senza un rapporto di radicamento nel territorio, che con la sottrazione delle terre demaniali da loro utilizzate si ritrovarono a dover vivere in condizioni economiche ancora più disagiate e precarie rispetto al passato. A tutto ciò si aggiunse l'entrata in vigore della leva militare obbligatoria, che non c’era prima.  Le vere ribellioni contro gli occupanti si erano verificate dopo l’annessione, in Calabria, in Puglia, in Abruzzo e in Campania, bande composte da centinaia di persone e comandate da personaggi in genere ex- militari borbonici, Già nell'ultima fase della occupazione i borbonici, avevano deciso di fare ricorso a formazioni armate irregolari a supporto delle truppe regolari   ancora attive tra il Sannio e l’Abruzzo, al fine di coprire il fianco rispetto all'avanzata verso sud dell'esercito Sardo.  Questa guerra civile interessò quasi tutte le regioni dell'entroterra del regno borbonico annesso al nuovo regno sabaudo italiano, tuttavia il fenomeno fu del tutto assente in quelle regioni del meridione in cui le condizioni economiche erano decisamente migliori, come ad esempio nelle aree urbane e industrializzate, nelle zone agricole più produttive e nell'amplissima fascia costiera del Mezzogiorno e della Sicilia.
Francesco II°, ma soprattutto la moglie Sofia, entrò in contatto con i ribelli fomentandola e favorendone l'azione; essi davano filo da torcere ala guardia nazionale e all’esercito di occupazione.  Briganti nel regno ce ne erano sempre stati ed erano stati spesso usati dai Borbone come nel 1799, ( ricordiamo fra’ Diavolo, Michele Pezza ), ma stavolta il fenomeno aveva assunto dimensioni diverse, era diventata una vera guerra partigiana e civile, alla quale si rispondeva con leggi eccezionali e il il sistematico ricorso ad arresti in massa, esecuzioni sommarie, distruzione di casolari e masserie, vaste azioni contro interi centri abitati: fucilazioni sommarie e incendi di villaggi erano frequenti, e non era opera dei briganti che essendo tali potrebbe trovare una sua giustificazione, ma invece quelle effettuate dai bersaglieri italiani e per rappresaglia è stata paragonata alle rappresaglie naziste dell’ultima guerra.
Si ricordano gli eccidi della popolazione civile dei paesi Casalduni e Pontelandolfo nell'agosto 1861 messi a ferro e fuoco dai bersaglieri, per rappresaglia dopo il massacro di oltre 40 militari regolari perpetrato da briganti con l'appoggio di elementi attivi della popolazione locale.


Carmine Crocco
Tra i briganti più famosi spicca il nome di Carmine “ Donatello “ Crocco, operativo in Basilicata e sul Vulture, che conduceva un  esercito di 2.000 unità, e poi anche Ninco Nanco, Chiavone e Giuseppe “Zi Peppe” Caruso, Giovanni "Coppa" Fortunato, il sergente Romano, e altri. Per non parlare poi delle donne “briganti”, madri, sorelle, mogli, amanti dei ribelli e ribelli anche loro: consiglio per l’argomento di leggere “Il bosco nel cuore” di Giordano Bruno Guerri, edito da Mondadori.
 Il governo napoletano in esilio mandò, in aggiunta, alcuni agenti legittimisti, come il generale spagnolo José Borjes e il francese Augustin De Langlais, per organizzare e disciplinare le bande. E c’erano anche molte donne.  Secondo le stime di alcuni giornali stranieri che si affidavano alle informazioni ufficiali del nuovo Regno d'Italia, in un solo anno, dal settembre del 1860 all'agosto del 1861, vi furono nell'ex Regno delle Due Sicilie: migliaia di morti fucilati e feriti, uomini, donne e bambini                                                                                        

                                                                                  L’amore 

Nel frattempo, e in questa situazione disperata, sembra che accadde anche qualcosa altro, di molto personale: Maria Sofia si innamorò di un ufficiale di origine belga della guardia pontificia, e rimase anche incinta. In verità questa storia fu avvolta da segreto, poiché il nome di questo ufficiale non compare mai nelle varie chiacchiere ed elenchi di molti amanti attribuiti a Sofia. Evidentemente la cosa fu tenuta ben nascosta e fu l’unica vera.  Armand de Lawayss, questo il nome dell’ufficiale, era stato assegnato dal Papa come “ cavaliere d’onore” di Maria Sofia. E qui, poiché si vedevano tutti i giorni, “ l’amore non tardò ad esplodere, e per Maria Sofia fu certamente la prima volta e, forse, anche l’ultima” ( Arrigo Petacco, la regina del sud, ed. Mondadori),.  Sofia restò incinta, si ritirò, con una scusa, a casa dei genitori in Baviera dove partorì in segreto, dando alla luce due gemelle. Le bambine furono separate, e affidate a famiglie del posto.  P.G. Jaeger afferma che, quando la regina partì improvvisamente per la Baviera nel ’62,” si disse ( e il pettegolezzo  fu diffuso in realtà, anche in ambienti aristocratici ), che fosse andata a partorire un figlio della colpa, anzi, nella specie, una figlia”.  Intanto il giovane Armand aveva deciso di andare a trovare Sofia e vedere le sue figlie. Qui inizia una specie di romanzo popolare o un film romantico: ad Armand viene negato l’ingresso in Baviera altrimenti lo arrestano, il giovane invece insiste, va avanti si perde tra le montagne  coperte di neve, e comunque riesce ad arrivare a casa del fratello di Sofia che gli concede solo di scriverle una lettera. Egli morirà nel ’70, consunto dalla tisi.  Sofia cadde in depressione e decise di confessare la relazione a suo marito. La rivelazione, è ovvio, non giovò al rapporto tra i due, anche se Francesco aveva riconosciuto che una parte della colpa in tutta la vicenda era sua e che si era rassegnato. Solo dopo molto tempo, la situazione migliorò fino al punto che, come vedremo, Francesco si decise a consumare il matrimonio.

                                                                           Maria Cristina

Francesco si  sottopose ad un'operazione che gli consentì di consumare il matrimonio, e Maria Sofia rimase incinta. Entrambi erano felicissimi per l'evento e pieni di speranza per l’erede al trono. Il 24 dicembre 1869, dopo dieci anni di matrimonio, Maria Sofia diede alla luce una figlia, Maria Cristina, come la madre di Francesco, e Sissi, l'imperatrice Elisabetta, ne divenne la madrina. La gioia fu breve, i dolori per Sofia e per Francesco, non erano finiti: la bambina morì di lì a tre mesi: la sera del 28 marzo, la piccola principessa, già di gracile costituzione, morì per improvviso malore.  Dopo questa tragedia Maria Sofia non fu più la stessa.

                                                                    La situazione europea


Nel 1866 ci fu una nuova guerra contro l’Austria, il neonato regno d’Italia si era alleato con la Prussia, e fece una pessima prova con il nuovo suo esercito unitario, sconfitto sia a Custoza, sia per mare a Lissa  dalla flotta austriaca.  Tra i generali sconfitti e che fecero un pessima figura, c’erano quel tale che aveva diretto l’assedio di Gaeta, Cialdini e per mare l’ammiraglio Persano che aveva bombardato Gaeta dal mare. Tra le file austriache c’erano anche soldati dell’ex regno borbonico e tra gli ufficiali, i fratelli di Re Francesco: inutile sottolineare per chi parteggiava Sofia, che fu molto soddisfatta della sconfitta dei Savoia e che  sperava sempre in una eventuale rinascita del ex-reame.
Cammarano: la presa di Porta Pia
Nel 1870 cadeva anche Napoleone III°, il vecchio Luigi Napoleone , figlio di Luigi Bonaparte, fratello più giovane di Napoleone I, che era al governo della Francia dal 1848 e si era atteggiato a protettore del papa e dei Borbone di Napoli. Egli, in guerra con la Germania unificata dal cancelliere prussiano Bismark, fu sconfitto a Sedan e fatto prigioniero. I Savoia non mossero un dito per aiutare chi li aveva aiutati nel ’59, e l’unico che andò a combattere contro i prussiani  per la Repubblica francese, fu il solito Garibaldi. A Parigi, infatti, si era formata la repubblica e poi la Comune, una esperienza rivoluzionaria di tipo socialista che durò, assediata dalle truppe tedesche e altre legittimiste, per circa un anno e si concluse con un massacro a maggio 1871.
Intanto in Italia, il governo, approfittando della sconfitta francese e del ritiro delle truppe francesi dallo Stato pontificio, invadeva i territori pontifici, ovviamente, come d’abitudine, senza una dichiarazione di guerra, sconfiggeva il piccolo esercito del Papa, e a  settembre 1870 entrava a Roma.  Cessava finalmente il potere temporale dei papi e giungeva a compimento l’ obiettivo di Roma capitale.

                                                                                             Parigi


 A quel punto, Francesco e Maria Sofia abbandonarono Roma e si trasferirono a Parigi, in una villetta da loro acquistata in Saint Mandé, dove vissero privatamente senza grandi mezzi economici perché Garibaldi aveva confiscato tutti i beni dei Borbone.  il Governo italiano ne aveva proposto la restituzione a Francesco II°, ma solo al patto di rinunciare ad ogni pretesa sul trono del Regno delle Due Sicilie, cosa che egli non accettò mai, rispondendo sdegnato: "Il mio onore non è in vendita".
Egli, oramai si faceva chiamare  semplicemente “sig. Fabiani” o qualche volta” duca di Castro”,                         
insieme alla moglie ripensava spesso, con quel fatalismo tipico dei napoletani, ma anche dei meridionali in generale, alla sua vita e ai fatti che avevano portato all’esilio: la sua vita, la madre che non aveva conosciuto, Cristina di Savoia, il padre Ferdinando, quello si che era”nu’ rre”, avrebbe potuto prendersi tutta l’Italia se solo avesse voluto.

 E il palazzo di Portici, dove aveva trascorso l’adolescenza e i suoi precettori, e poi Sofia, bellissima quando l’aveva vista la prima volta a Brindisi, e poi gli ultimi fatti…. Avrebbe potuto restare a Napoli? Avrebbe dovuto far sparare sulla città?
 Traditori e incapaci quei generali ai quali si era affidato: Nunziante un traditore, Lanza un incapace, che aveva ceduto Palermo,  e  Landi, a Calatafimi, dove stava vincendo e si era ritirato, e anche suo zio Leopoldo, il conte di Siracusa che faceva il liberale, e i capitani della flotta che si erano consegnati ai piemontesi? E Filangieri, troppo vecchio per intervenire,….e tutti gli altri dalle Calabrie agli Abruzzi, qualcuno  era stato  anche ammazzato dalle truppe arrabbiate. E la Costituzione, data ormai troppo tardi.

E quel Liborio Romano, che, come gli avevano riferito, aveva arruolato i  camorristi e guappi nella polizia, per mantenere l’ordine pubblico in città.
 Se lo ricordava quel giorno del 6 settembre del ’60, quando prima di partire da Napoli, tutti i ministri andarono a salutarlo e a don Liborio, con quella sua aria tronfia e arrogante, aveva detto” don Libò, guardat’ o cuollo”, cioè bada alla tua testa, che se torno….. e ricordava il ministro Michele Giacchi al quale aveva detto:” voi sognate l’Italia e Vittorio Emanuele; ma  non vi resteranno neanch’ ll’uocchie pe’ chiagnere” - purtroppo sarete infelici -.
Mai previsione fu più azzeccata, Francesco lo sapeva, i proprietari e i ricchi erano sempre gli stessi a agli altri non era stato dato niente, stavano meglio quando pensavano di stare peggio.  Poi aveva trovato a Ritucci,” nu brav’ommo”, fedele ai Borbone, un gentiluomo all’antica,  al contrario di quel bifolco di Cialdini, quel piemontese arrogante, e quel vigliacco cialtrone di Persano, l’ammiraglio. Forse, in tutto questo schifo, era meglio Garibaldi, almeno era onesto ed era stato pure licenziato dal Savoia, senza neanche un grazie.   Bravo Ritucci,  mai avrebbe tradito e si era comportato bene sia al Volturno sia a Gaeta. E Beneventano del Bosco, irruento, audace, forse troppo, e fedele, e tutta la truppa, ripulita da traditori, corrotti, incapaci e vigliacchi..
In effetti aveva sbagliato, doveva prendere il comando diretto dell’esercito, come gli suggerivano la moglie e i fratelli e fermare l’avanzata garibaldina, prima, in Sicilia anche, o forse  nella piana a sud di Salerno e non scappare dalla capitale.
Sarebbe cambiata qualcosa? Chissà!  Quel Napoleone, un doppiogiochista, ora anche lui aveva perso la Francia a Sedan, e nessuno gli aveva dato una mano, neanche quei fetenti dei Savoia. l’Inghilterra non ne parliamo, mai fidarsi di un inglese, ce l’avevano già con papà,  per quegli affari che volevano combinare in Sicilia, e i siciliani fissati con l’autonomia da sempre, e  mio cognato Francesco Giuseppe, che aveva solo minacciato,  ma non aveva mosso un dito. Anche lui, ora, stava in cattive acque.
Le rivolte contadine e i suoi ex soldati non avevano combinato niente, ma la sua previsione fatta quel giorno di settembre a Napoli prima di andarsene, si era avverata: a Napoli, nelle provincie e in Sicilia si erano accorti che i fratelli del nord, i liberali, non erano poi tanto fratelli e neanche tanto liberali.  I Siciliani che volevano essere autonomi da Napoli, si erano ritrovati con uno Stato ancora più accentrato e per giunta molto più lontano, a Torino. E le rivolte non si contavano più.

E Sofia? Una eroina per i soldati, sarà ricordata sicuramente..Ridotti a vivere sotto i bombardamenti in una casamatta con tre stanzette condivise con altri per tutta la durata dell’assedio: lì aveva vissuto i giorni più intimi e più intensi della sua unione con Sofia.
                                       


                                                                  Morte di Francesco e altri lutti

 
Altre tragedie di carattere familiare attendevano Sofia: il marito si era ammalato di diabete, nel 1878, la sorella Matilde era rimasta vedova del marito, Luigi di Borbone, conte di Trani – fratello di Francesco – suicidatosi.
Nel 1886 era morto in circostanze misteriose, classificate come suicidio, il cugino Ludwig di Baviera, due anni dopo moriva il padre, il duca Max, per un colpo apoplettico. Nel 1889, a Mayerling, il nipote Rodolfo, figlio della sorella Sissi e di Francesco Giuseppe, l'erede al trono austriaco, moriva, forse suicida insieme all'amante, la baronessa Maria Vetsera. Elisabetta non si riprese mai interamente da questo dolore, portando fino all'ultimo giorno della sua vita un lutto strettissimo e, sempre in preda a esaurimenti nervosi, continuò a viaggiare per l'Europa, fino alla sua morte.
Nel 1890, a Ratisbona, moriva la sorella maggiore Elena, principessa Turn und Taxis, in seguito ad una infiammazione alla gola che le impedì di nutrirsi. Le forze l'abbandonarono in più fu colta da febbre alta e da delirio. L'imperatrice Elisabetta rimase accanto alla sorella fino alla fine.

Francesco II anziano
 Nel 1892 moriva la duchessa Ludovica, la madre di Sofia, a 83 anni per gli effetti di bronchite, e nel 1893 se ne andava il più giovane dei fratelli, Massimiliano a soli 42 anni.
L’anno successivo moriva invece suo marito, Francesco II°, ex re delle due Sicilie.
Nell'autunno del 1894 Francesco, che soggiornava nella località termale di Arco, in Trentino, ospite dell’arciduca Alberto d’Asburgo, in territorio austriaco, già sofferente di diabete, si aggravò. Subito raggiunto da Maria Sofia, dopo pochi giorni, il 27 dicembre 1894, morì. Aveva 58 anni: le fotografie che lo ritraggono mostrano però un uomo che sembra molto più vecchio.
La notizia della morte dell’ex-re raggiunse anche Napoli. Sul  giornale “Il Mattino”, Matilde Serao, dando la notizia e commentando l’esilio del re scrisse: .” galantuomo come uomo, gentiluomo come principe, ecco il ritratto di don Francesco di Borbone”.
Trascorrono solo tre anni, nel 1897, moriva in un incendio a Parigi, la sorella più giovane Sofia Carlotta, dopo aver salvato altre ragazze tra le fiamme, solo quando ebbe salvata l'ultima, decise di correre via. Ma le fiamme furono più veloci di lei.opo solo un anno, ecco per Maria Sofia, una ulteriore tragedia familiare: nel 1898, nel mese di settembre la sorella Sissi, sempre in viaggio e sempre vestita di nero dopo il suicidio del figlio Rodolfo, mentre doveva imbarcarsi per la frazione di Montreux Territet, fu pugnalata al petto con una lima dall'anarchico italiano Luigi Lucheni. L'imperatrice che correva verso il battello si accasciò per effetto dell'urto, ma si rialzò e riprese la corsa, non sentendo apparentemente nessun dolore. Arrivata sul battello,  impallidì e svenne. Il battello fece retromarcia e l'Imperatrice fu riportata nella sua camera d'albergo, dove spirò un'ora dopo, senza aver ripreso conoscenza.

 
                                                                                  Gli anarchici e il mito

 
Intanto, il tempo passava, Sofia aveva un carattere forte e determinato, sperava, ma probabilmente non ci credeva, ancora nella restaurazione del Regno delle Due Sicilie, era animata da un grande spirito di vendetta, e odiava i Savoia.
Si ritirò nella villa di Neuilly, vicino Parigi, e “ ..quando fece riparlare di sé, fu per la notizia che si sparse al tempo dell’assassinio di re Umberto, che ella, nella sua casa di Parigi, accoglieva a colloquio socialisti e anarchici italiani…..” ( Benedetto Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, 1924).  A Parigi coltivò  la sua passione per i cavalli e seguiva le gare in varie località europee, come Londra, dove si appassionò anche alla caccia alla volpe.
Secondo la polizia dell’epoca nacque una intesa fra anarchici, rivoluzionari socialisti e legittimisti borbonici, e agenti del Vaticano, in quanto tutti speravano che un crollo del novello Stato unitario avrebbe determinato, insieme alla cacciata dei Savoia, un nuovo assetto politico in Italia e la possibilità per i borbonici di ricostituire l'antico Stato.
      E' facilmente intuibile come questo vento rivoluzionario rinfocolasse le speranze e rinnovasse gli ardori di Maria Sofia e della sua corte di Neuilly, allora sorvegliata dalla polizia italiana e francese.
 Il regno d’Italia si trovava ad attraversare una grave crisi economica e sociale, i primi scioperi agitavano tutte le piazze delle principali città: siamo nel 1898, a maggio, a Milano, il generale Bava Beccaris, incaricato di mantenere l’ordine pubblico, prese a cannonate i manifestanti, operai, contadini, donne e bambini, provocando centinaia di morti.
Il 29 luglio del 1900, il re Umberto I° fu ucciso a Monza dall’anarchico Bresci. 
I rapporti e le informazioni della polizia dell’epoca indicavano alcuni indizi che potevano ricondurre a Maria Sofia, come ispiratrice  dell'attentato, ma nulla fu possibile provare.
Umberto di Savoia
Sofia era evidentemente ancora presente nelle paure del traballante governo italiano: sebbene fossero trascorsi circa cinquant'anni dalla fine del regno meridionale e Maria Sofia avesse ormai settant'anni, con alle spalle una lunghissima serie di delusioni e angosce, non rinunciava affatto a tessere le sue trame contro i Savoia e a sperare nei mutamenti della politica europea.
Nel 1909 moriva il fratello Carlo Teodoro. 
   Alla corte di Vienna l’arciduca Francesco Ferdinando, nipote di Francesco Giuseppe  e suo erede, nipote anche di Sofia, in quanto figlio di sua cognata Maria Annunziata, nell'ottica di una politica anti-italiana, apertamente auspicava il ricongiungimento del Lombardo-Veneto all'Austria e, in un futuro riassetto della penisola, il ripristino del Regno delle due Sicilie.
l mito dell’eroina di Gaeta era tale che, ancora cinquant’anni dopo i fatti, il poeta Ferdinando Russo la ricordava nella sua: ” ‘O surdato ‘e Gaeta”.: “ E’ ‘a Riggina! Signò.. quant’era bella..! e’ che core teneva!...Steva sempe cu’ nuie….chella era na’ fata!...” ( la Regina, Signore come era bella. E che cuore aveva,  ..stava sempre con noi, era una fata!).  Marcel Proust ha parlato di lei come della “regina soldato sui bastioni di Gaeta”.
Soprattutto nel Mezzogiorno è diventato un “ mito: “Maria Sofia, giovane e bellissima regina, mai disposta ad accantonare la sua spregiudicata lotta per riavere il regno” ( R.De Lorenzo, Borbonia felix, ed .Salerno 2013).
alche anno dopo, anche D’Annunzio la ricordava come “ aquiletta bavara” ne “Le vergini delle rocce”, un romanzo ambientato nell’ex regno delle due Sicilie, ma la definizione non era piaciuta a Sofia.
   Fosche nubi si addensavano sui cieli d'Europa che preludevano alla prima guerra mondiale.
   


  
 


 

 

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