sabato 12 luglio 2014

Maria Sofia Wittelsbach Una vita difficile


                                     
                                                       





                                                               Maria Sofia Wittelsbach
                                                                    Una vita difficile
                                                                    IV parte

 

Prima di proseguire credo sia opportuno  una breve conoscenza della famiglia bavarese di Maria Sofia, un approfondimento anche se superficiale delle vicende familiari.   

Il duca Max, padre di Sofia, che come abbiamo visto era un tipo abbastanza singolare, lasciava grande libertà ai figli, sia maschi sia femmine, insegnava loro a cavalcare, a nuotare a sparare, a suonare, ad amare gli animali e a rispettarli-. Nel cortile del suo palazzo neoclassico di Monaco, aveva fatto  anche erigere un piccolo circo in cui amava far esibire figli e figlie in spericolati giochi equestri, e un Caffé nel quale radunava poeti e pittori spiantati. Egli stesso amava scrivere poesie e commedie, che pubblicava in imponenti raccolte sotto lo pseudonimo di “Phantasus”, e suonare la cetra, strumento per il quale ebbe una vera e propria predilezione e compose numerose melodie.   I progetti matrimoniali per i figli e le figlie furono lasciati all'ambiziosa moglie Ludovica e a re Massimiliano II di Baviera a cui, come capo famiglia, spettava l'ultima parola a riguardo.
Ludovica di Baviera
Era La signora duchessa Ludovica, che invece, appartenendo alla famiglia reale bavarese, si occupava soprattutto di organizzare matrimoni idonei per  tutti i figli. Come già abbiamo visto aveva piazzato bene Sissi e Spatz, cioè Elisabetta e Sofia. Ma chi era Ludovica?
Ludovica Guglielmina di Baviera era nata a Monaco il 30 agosto 1808, la quinta figlia del re Massimiliano I di Baviera e della seconda moglie, Carolina di Baden. Una delle sorelle maggiore di Ludovica, Sofia sposò l' arciduca Francesco Carlo d’Austria, e diventerà la madre di Francesco Giuseppe.
Una curiosità relativa a questa Sofia. Era nata a Monaco nel 1805, poteva diventare imperatrice d’Austria nel 1848 ma convinse  il marito a rinunziare al trono a favore del Francesco Giuseppe. In gioventù, nel 1824, prima di sposarsi o nello stesso periodo, conobbe a Vienna il figlio di Napoleone Bonaparte,  Napoleone Francesco o Napoleone II, o come ormai lo chiamavano a Vienna, semplicemente Franz.Era nato a Parigi il 20 marzo 1811 da Napoleone imperatore dei Francesi e Maria Luisa d’Asburgo, figlia di Francesco I imperatore d’Austria. Dopo la sconfitta del padre a Waterloo, era andato con la madre a Vienna e lì avevano fatto tutto per fargli dimenticare chi era, in sostanza era prigioniero nel palazzo di Schonbrunn.
Dice Francesca Sanvitale in “Il figlio dell’impero”: “Sofia è la casalinga consolazione, le sue visite rappresentano un soffio di vitalità e di energia. I momenti passati con lei sono diversi dagli altri. Sofia è l’eccezione della Corte…...”. Abbandonato dalla madre, considerato anche come figlio illegittimo, nominato per pura formalità duca di Reichstadt, privato dei ricordi, della lingua madre e perfino del nome, spiato e sorvegliato,  ammalato di tisi, morirà triste nel 1832, a 21 anni.
Tornando a Ludovica, ella  fu data in sposa a Max,  duca in Baviera, cugino in quanto appartenente a un ramo collaterale della famiglia, il 9 settembre 1828.  Nei primi anni di matrimonio, la coppia viaggiò molto, soprattutto in Svizzera e Italia. Nel 1834 duca Max acquistò come residenza estiva per la sua famiglia in crescita, il castello di Possenhofen sul lago di Stamberg. A Monaco, invece, la famiglia viveva nella Herzog-Max Palais, costruito nel 1830. Le principali occupazioni di Ludovica, erano la direzione della casa e alla cura dei numerosi figli.
Di Elisabetta abbiamo già detto. Era innamorata del marito e ne era ricambiata, ma, appena giunta a Vienna, dovette accorgersi subito delle difficoltà che l'attendevano. Nata e cresciuta in una famiglia nobile ma di costumi semplici ed educata con la massima libertà, si trovò al centro della rigida corte asburgica, ancora legata a un severo "cerimoniale spagnolo", cui inizialmente la giovane imperatrice dovette sottostare.
Il 5 marzo 1855 partorì la sua prima figlia, chiamata Sofia, come la nonna. Questa si occupò personalmente della bimba, alla quale fu legatissima. Le stanze della bambina furono allestite accanto alle sue e fu lei a scegliere l'educatrice e la bambinaia. La cosa non piacque affatto a Sissi, ma non poteva far molto per cambiare le cose. E già poco più di un anno dopo, il 12 luglio 1856, Elisabetta partorì un'altra bambina, Gisella.
Con queste premesse, la crisi era in agguato. Privata dei suoi affetti e delle sue abitudini, Elisabetta cadde presto malata, accusando per molti mesi una tosse continua e stati di ansia. Il 21 agosto 1858  nacque l'arciduca Rodolfo, principe ereditario dell'Impero d'Austria, ma il parto portò gravi conseguenze alla madre, che oltre a febbre che andava e veniva, cadde in depressione. Iniziò a viaggiare e ad allontanarsi sempre più da Vienna, dove tuttavia doveva di tanto in tanto tornare.
Ma cosa accadde alla sorella maggiore Elena?, Ricordiamo che era la primogenita, quella che era stata rifiutata da Francesco Giuseppe a favore di Sissi.
 Elena  (a lato) era delusa e afflitta, si era sentita rifiutata dall'uno, Francesco Giuseppe,  e tradita dalla sorella. Era arrivata a 22 anni, a quella età si era quasi considerate una vecchia zitella e le speranze di trovarle marito si riducevano con il passare del tempo. La madre Ludovica però si mise in azione per cercarle un buon partito prima che fosse troppo tardi. Puntò su Massimiliano Antonio principe ereditario di Turn und Taxis. A Trieste questo nome fa sicuramente venire in mente qualcosa o qualcuno, i Signori di Duino, che appartengono a un ramo italiano della famiglia. Il casato proveniva da una famiglia nobile lombarda e aveva trovato la sua fortuna quando Massimiliano I° d’Asburgo li ammise nella nobiltà di diritto ereditario dell'impero. Nel 1615 un Taxis venne nominato maestro della posta imperiale; un incarico che dopo divenne ereditario. La duchessa Ludovica, madre di Elena, progettò, come aveva già fatto con Francesco Giuseppe, di far incontrare i due giovani a Possenhofen, la residenza estiva della famiglia e stavolta il suo piano riuscì. Massimiliano non era bello ma colto, e apprezzò le virtù interiori della ragazza. I genitori di Massimiliano, allettati dalla prospettiva di imparentarsi con l'imperatore, furono d'accordo per il matrimonio.  Le nozze vennero celebrate nella stessa località il 24 agosto 1858.  Si trasferirono poi a  Ratisbona, luogo di residenza dei Turn e Taxis..
Sembra che il matrimonio fu felice: dalla coppia nacquero 4 figli, due femmine e due maschi. L’unico problema era dovuto allo stato di salute del principe Massimiliano Antonio che soffriva di una malattia renale cronica. Né un ciclo di trattamento a Karlsbad, né i migliori medici poterono salvarlo. Massimiliano morì nel 1867 a soli 36 anni. Grande fu il dolore di Elena che, andata in depressione, assisteva ogni giorno ad una messa celebrata davanti la tomba del marito. Passò molto tempo prima che riuscisse a ritrovare la serenità.
Elena acquistò il castello Tutzing, sulle rive del lago Starnberg, per poter stare vicino alla famiglia che soggiornava a Possenhofen. Con la morte del marito e del suocero subito dopo, la famiglia Thurn und Taxis era in balia degli eventi: il ministro prussiano Bismarck aveva privato la famiglia del monopolio del servizio postale in Germania. Elena doveva quindi riuscire a gestire gli affari economici della famiglia almeno fino alla maggiore età dei figli.  Viaggiava spesso per l'Europa, come del resto facevano Elisabetta e Maria Sofia, ma facendo sempre ritorno a casa per dover badare agli affari. Diventò nonna, ma la figlia Elena, a causa del parto danneggiò ulteriormente la sua salute malferma e morì a soli 21 anni. Elena cercò conforto, ancora una volta, nella fede ma quando pochi anni dopo morì anche il figlio Massimiliano, la disperazione si tramutò quasi in pazzia e in un allontanamento dal resto del mondo. Il secondo figlio maschio, Alberto, nonostante la giovane età, diede impressione alla madre di essere un buon principe pertanto ritrovò maggiore serenità.
 Matilde Ludovica,  nata nel 1843, anche lei al solito Possenhofen, dove trascorse gran parte dell'infanzia insieme ai suoi fratelli e alle sue sorelle, crescendo in quel clima libero e disteso, lontano dal cerimoniale della corte bavarese.
Le sorelle Elisabetta e Maria Sofia, diventata regina delle due Sicilie nel 1859, presero il posto della madre e organizzarono il matrimonio di Matilde con Luigi di Borbone, il conte di Trani, fratello del re Francesco II° di Borbone. Luigi era fratellastro di Francesco, perchè figlio della seconda moglie, Maria Teresa d’Austria, di Ferdinando II° di Borbone. Era nato a Napoli nel 1838, aveva un carattere allegro e vivace e insieme ai fratelli Alfonso e Gaetano, vivacizzavano un poco l’austera corte napoletana. Si disse ce la madre voleva metterlo sul trono al posto dell’erede legittimo Francesco, ma il complotto fu scoperto.
Ritiratasi la famiglia reale da Napoli nel 1860, per l’avanzata di Garibaldi, Luigi combattè con coraggio in prima linea al fianco di Francesco e Alfonso nella battaglia del Volturno contro garibaldini e piemontesi.  Come sappiamo e come vedremo si batté anche sugli spalti di Gaeta e, alla resa,  a febbraio 1861, Luigi con i fratello re e tutta la corte si trasferirono a  Roma.  Malgrado la fine del regno, il 5 giugno 1861, a Monaco di Baviera, Luigi sposò la fidanzata, Matilde Wittelsbach. L'unione con Matilde non fu però molto felice: ebbero una figlia, che già dall'infanzia soffriva di sclerosi multipla, malattia che la portò poi alla morte. Matilde, per consolarsi, ebbe alcuni amanti, il più noto dei quali fu Bermudez de Castro, ambasciatore spagnolo presso il regno delle due Sicilie.
Luigi, esule, senza più uno scopo nella vita o una propria identità, iniziò a bere, a frequentare bordelli e a condurre una vita di stravizi che gli procurarono molti debiti. Con la mente annebbiata dall'alcool e con la consapevolezza dell'inutilità della sua vita, decise di farla finita gettandosi nel lago di Zugo, presso Zurigo, nel 1878. 
Con la vita che conduceva e come accadeva ad altri membri della sua famiglia, Matilde soffriva episodicamente di crisi depressive. La vita di Matilde era in fondo quella comune di tanti nobili senza un incarico ben preciso: viaggiava, si recava in località termali o dai genitori e parenti. Sua compagna di viaggio era Maria Sofia, esiliata come lei, con la quale viveva, condividendo i pochi risparmi e i pochi soldi rimasti. Tra il 1923 e il 1924 Matilde ebbe un incidente e il ricovero in clinica. Qui le venne applicato un apparecchio e fu sottoposta ad esercizi riabilitativi per le gambe. Matilde fu l'ultima, tra tutti i fratelli, a morire, pochi mesi dopo la morte di Sofia, nel 1925.
Anche Sofia Carlotta nacque, nel 1847, a Possenhofen, nona di dieci figli partecipò alla vita e alla educazione  libera di tutti i fratelli e sorelle. Sofia Carlotta suonava il piano e cantava molto bene, La sua bellezza era quasi pari quella della sorella imperatrice, per questo vantava numerosi pretendenti. Anche il cugino, re Ludwig II  iniziò a farle la corte: le mandava enormi mazzi di fiori e lettere e l'andava a trovare con il suo battello.
 Ludwig II era considerato un individuo eccentrico, si dice che fosse omosessuale, dava segni di squilibrio mentale, ma lo fidanzarono ufficialmente con la cugina, per dare un erede al trono e sembrò all’inizio che vi fossero subito le premesse per un matrimonio felice e vantaggioso per entrambi. Passava il tempo però e Luigi non si decideva a fissare una data per il matrimonio. Delusa dall'attesa, Sofia Carlotta si infatuò per un fotografo Edgar Hanfstaengl. Con l'aiuto della sua dama di compagnia, Sofia riusciva a incontrarsi segretamente con lui. La tresca non fu mai scoperta dal fidanzato.
Trascorso un bel po’ di tempo, a ottobre 1867, Luigi scrisse un'affettuosa lettera alla cugina per poter sciogliere il fidanzamento. Sofia Carlotta, pur ferita nell'orgoglio, ne fu  contenta, ritenendo  che il matrimonio con quell'uomo bizzarro non  sarebbe stato  molto felice.
I segni dello squilibrio mentale del sovrano lo accompagnarono per tutta la vita, la sua fine è misteriosa, era veramente folle o solo un eccentrico, come sostenne la cugina Elisabetta, o si trattò di un complotto?  Fatto sta che, nel 1886, fu dichiarato malato di mente, incapace di governare e deposto dal trono. Qualche giorno dopo la deposizione, il 13 di giugno 1886, Ludwig chiese di poter fare una passeggiata con il suo medico, il dottor Gudden. Questi accettò l’invito e disse alle guardie di sicurezza del re di non seguirli. Non tornarono più, i loro corpi furono ritrovati a mezzanotte nel lago di Starnberg. La morte fu classificata come suicidio, ma sono state fatte anche altre ipotesi come quella di un assassinio.
La più delusa di non vedere la figlia sul trono di Baviera fu la solita Ludovica, la madre di Carlotta.Ma non per questo si fermò, il suo scopo nella vita era quello di sistemare al più presto le figlie e i figli con buoni accoppiamenti, anche se non regali. Ludovica  scelse perciò un nuovo pretendente per Sofia, Ferdinando d’Orleans (1844-1910)), duca d’ Alencon, nipote di luigi Filippo, ex re di Francia: il matrimonio fu celebrato nel 1868 nel solito posto della famiglia Wittelsbach, cioè Possenhofen.
Il primo periodo di matrimonio trascorse felicemente, Sofia Carlotta, come tutte le sorelle, era un'esperta amazzone e si divertiva ad andare a caccia cacciare. Tuttavia, come tutte le sorelle, bastò poco, un cambiamento di clima, per farla cadere in uno stato di profonda depressione. Non guarì neanche quando il 19 luglio 1869 diede alla luce la figlia Luisa Vittoria.
La coppia si recò in visita a Palermo, al palazzo d’Orleans, dove Sofia sembrò riacquistare il buonumore, ma essendo i duchi d'Alençon appartenenti alla casata dei Borbone, il popolo siciliano non gradì la loro presenza. La partenza improvvisa aggravò di nuovo lo stato mentale di Sofia. Si recarono allora a Roma, ospiti della sorella, regina Maria Sofia, in esilio a Roma. Successivamente soggiornarono a Merano, dove nacque l'atteso figlio maschio. Malgrado i tentativi del marito di farla soggiornare in posti il più possibile accoglienti, i continui viaggi crearono soltanto un peggioramento.
In Austria, Carlotta si innamorò del dottor Glaser di Graz, ce era sposato. Quando la moglie  lo venne a sapere, i due fuggirono insieme a Merano, ma vennero scoperti e divisi per sempre.
Carlotta venne rinchiusa, per un periodo, nella clinica per malattie nervose del dottor Krafft-Ebing di Graz, psichiatra e neurologo,. che all’epoca era diventato famoso soprattutto per la sua operaPsycopathia sexualis”, pubblicata in tedesco nel 1886.
Apparentemente guarita, uscita dalla clinica, Carlotta  decise che si sarebbe dedicata a iniziative di carità. Si accostò alla religione con grande fervore, entrando nel terzo ordine delle domenicane con il nome di Suor Maria Maddalena.
Era il 1897, ai primi di maggio, si svolse a Parigi una fiera di beneficenza organizzata dalle domenicane presso un edificio industriale che si adattava all'allestimento degli stand. Erano stati invitati anche i fratelli  Auguste e Louis Lumière, gli inventori del cinema, che esposero il loro  materiale usato per le pellicole, che  era altamente infiammabile. Dal nulla, non si sa perché,  infatti iniziarono a divampare le fiamme. Sofia Carlotta, mentre tutti scappavano presi dal panico, si preoccupò invece di salvare le ragazze che erano con lei dietro il bancone. Soltanto quando ebbe salvata l'ultima, decise di correre via. Ma le fiamme furono più veloci di lei. Tra i tanti morti carbonizzati, fu difficilissimo poter riconoscere la duchessa, che fu identificata solo grazie alla dentatura.

I fratelli

Ludwig Guglielmo  era nato a Monaco il 21 giugno 1831, era il figlio primogenito. Era alto, snello e affascinante, gli piaceva frequentare gli ambienti del teatro, passando molto tempo in quel mondo che all’epoca era considerato poco raccomandabile e non idoneo alla nobiltà. In quell’ambiente Ludwig conobbe e si innamorò di una attrice, Henriette Mendel, ma non si sposarono. Luigi,  per sposare l'attrice doveva rinunziare al diritto di primogenitura. Intanto nel 1858 gli diede la prima figlia: Maria Luisa, sulla quale bisogna dire due parole perchè  ebbe un suo ruolo nella vicenda di Mayerling. Maria Luisa,  era nipote di Sissi, essendo figlia del fratello, ed  ebbe modo di stringere amicizia con la baronessa Elena Vetsera e con la figlia Maria. Come si sa tra questa e  Rodolfo, figlio di Sissi, c’era una storia d’amore. Maria Luisa divenne l'intermediaria tra i due e favorì e coprì i loro incontri segreti. Era la stessa Maria Luisa infatti ad accompagnare la giovane amica agli incontri col principe. E l'accompagnò anche il 28 gennaio 1889 prima della fuga per Mayerling: qui i due amanti, nel casino di caccia, furono ritrovati morti suicidi. A Maria Luisa, rea di aver favorito il rapporto tra i due, fu vietato di partecipare al funerale di Rodolfo e fu allontanata dalla corte di Vienna.
Il 9 maggio 1859  Ludwig e Henriette ebbero un altro figlio, Carlo Emanuele. A quel punto per legittimare i figli il matrimonio si imponeva. Il re Massimiliano  I, cugino di Ludwig, concesse a Henriette  il titolo di baronessa di Wallersee, e quindi il l matrimonio si celebrò il 19 maggio 1859. Ludwig era ufficiale nel IV reggimento cavalleggeri Konig ad Augusta. Nel 1891, Heriette morì. Un anno dopo Ludovico sposò Antonie Barth, scelta sempre nell’ambito teatrale, era infatti un'allieva del balletto dell'Hoftheater, lui aveva sessantun anni e la sposa ventuno. Morì a Monaco il 6 novembre 1920.
L’altro fratello era Carlo Teodoro, (a fianco) nato , come le sorelle, a Possenhofen il 9 agosto 1839.  Come tutti crebbe in una condizione di notevole libertà, rispetto alla rigida educazione di solito imposta ai giovani membri delle famiglie nobiliari. Nel 1857 iniziò la carriera militare, come tradizione per un membro della casa Wittelsbach. Alloggiò nei dormitori comuni come soldato semplice. Divenne poi capitano di cavalleria e comandante di uno squadrone di corazzieri. Nel 1866 prese parte alla guerra tra Austria,  Prussia e Italia( che in Italia è conosciuta come terza guerra di indipendenza).
Dopo che il fratello Ludwig, per sposare,come abbiamo visto, l’ attrice Henriette Mendel, aveva rinunciato al suo diritto alla primogenitura, tali diritti si trasferirono a Carlo Teodoro, che ne ricevette notevoli benefici finanziari.
Tanto per non cambiare anche Carlo nel 1865 sposò una cugina di primo grado, la principessa Sofia di Sassonia, (anche i nomi si ripetono), figlia del re Giovanni e di Amalia, sorella di Ludovica, la madre di Carlo. La moglie Sofia, a 22 anni, nel 1867, moriva lasciando una figlia. la sua morte moglie produsse in Carlo Teodoro un profondo turbamento interiore. L'aver assistito, impotente, alla morte di Sofia gli suggerì la carriera medica. La famiglia si oppose ad una tale decisione in quanto non era degno per un principe avere un lavoro. Incoraggiato dai professori universitari, riuscì a conseguire la laurea in medicina nel 1874. Due anni dopo si sposò, finalmente non con una parente, ma con Maria Josè di Braganza, figlia di Michele di Portogallo, che aveva conosciuto mentre era ospite della sorella Maria Sofia e del cognato Francesco II delle due Sicilie. Carlo morì a Kreuth il 30 novembre 1909.
E veniamo all’ultimo dei fratelli e sorelle, il più giovane, Massimiliano Emanuele, nato questa volta a Monaco nel 1849, il 7 dicembre. Da come appare nelle fotografie dell’epoca, era il più somigliante alle sorelle. Visse anche lui, come i fratelli e sorelle, un'infanzia di notevole libertà a Possenhofen, dimora estiva della famiglia, al quale tutti,da adulti, restarono sempre molto legati. Anche Max si diede alla carriera militare, come da consuetudini della nobiltà bavarese. Egli si innamorò non di una cugina per fortuna, ma della principessa Amalia Di Sassonia Coburgo. La principessa era però fidanzata con il principe bavarese Leopoldo.
Qui inizia un racconto da  commedia in costume, un intreccio  da filmetto rosa o da operetta. Perché di  questo Leopoldo, era innamorata l'arciduchessa Gisella, la figlia di Elisabetta,  la sorella di Massimiliano,l’imperatrice. E fu proprio Elisabetta, con i suoi interventi personali sulle coppie, mischiando le carte, facendo incontrare i vari protagonisti.  a risolvere il problema: cosicché, poco tempo dopo, riuscì a far fidanzare Gisella con Leopoldo e Massimiliano con Amalia. Organizzò poi lei stessa il matrimonio del fratello.
 Il matrimonio fu felice ma Massimiliano morì nel 1893 a soli 42 anni. Amalia lo compianse molto e lo seguì nella tomba un anno dopo.
Nel racconto degli avvenimenti familiari, ritroviamo alcune parole ricorrenti:
Prima di tutto i nomi delle persone, sono quasi sempre gli stessi, a cominciare proprio da Sofia. Sofia la mdre di Francesco Giuseppe, Sofia non una ma due nipoti, Maria Sofia e Sofia Carlotta, Ludwig, al maschile al femminile, e poi Max, Massimiliano.
“libertà” riferito alla educazione ricevuta da fratelli e sorelle, che ne condizioneranno la vita e gli atteggiamenti
“Cugini” di primo grado soprattutto da parte di madre, le varie sorelle che fanno sposare i loro figli tra loro.
 “ Matrimonio” è un ‘altra parola ricorrente, in un guazzabuglio di matrimoni combinati, difficilmente si trova un matrimonio per amore, se si eccettua uno solo, quello di Sissi con Francesco Giuseppe e quello dei fratelli, mentre le donne della famiglia sono tutte votate alla disperazione e alla depressione
L a parola fondamentale che segna tutto il destino della famiglia poi è “ DEPRESSIONE “, che prende quasi tutti,  soprattutto le sorelle,.
Una certa stravaganza o comunque comportamenti fuori dalle righe o da quelle che erano considerate le giuste regole  o la normalità, considerato l’ambiente e la rigidità dei cerimoniali delle Corti europee, erano di casa  nella famiglia Wittelsbach: il re LUDWIG II era definito benevolmente “eccentrico”. La depressione di tutti i figli di Ludovica e di altri esponenti della famiglia sembra, invece, essere ereditaria, e, si dice,  i numerosi matrimoni non solo tra consanguinei ma combinati con sconosciuti spesso sgradevoli, ne aumentarono l'incidenza. Le ragazze soprattutto sognavano l’amore romantico, il principe azzurro, non dimentichiamo che siamo in pieno Romanticismo.  
L’unica che non soffrì la depressione come tutta la famiglia, fu  proprio Maria Sofia, che invece appare decisa, battagliera, risoluta, determinata energica pur nelle avversità che dovette affrontare.

 

 

 

 

sabato 7 giugno 2014

Maria Sofia Wittelsbach, una vita difficile



                                                   Terza parte

 
                                              

                                                                                         L’ eroina di Gaeta

Gaeta, batteria S.Maria
E’ a Gaeta che Sofia avrebbe mostrato, al mondo intero, di che stoffa era fatta. E sarebbe nata la sua leggenda   quando  i bombardamenti su Gaeta si fecero più insistenti e cruenti, arrivando a colpire non solo obiettivi militari, ma anche obiettivi civili, come ospedali, chiese e case, allo scopo di abbattere il morale degli assediati e facilitare la caduta di Gaeta. La regina  iniziò a vedersi continuamente sui bastioni della città, accorrendo in aiuto dei soldati combattenti, prodigandosi a soccorrere i feriti e a dare conforto ai soldati che resistevano nonostante i bombardamenti,  divenendo col suo coraggio il simbolo dell'assedio, meritandosi il soprannome di "eroina di Gaeta".  Dice di lei Amedeo Tosti, uno dei suoi biografi: "Fin dal giorno del suo arrivo a Gaeta, la Regina Maria Sofia aveva preso ad esplicare una grande, inconsueta attività: visita ai reparti delle caserme, sopraluoghi sui lavori di rafforzamento, predisposizioni per le cure ai feriti ed agli ammalati, contatti con la popolazione, tra la quale la giovane Sovrana non tardò a diventare popolarissima.” .
 Nei momenti più gravi Maria Sofia non si perdeva d'animo, affrontava ogni rischio con sprezzo del pericolo,quasi a sfidare il destino. Quando  l’assediante Cialdini , pensando di fare una gentilezza, mandò a dire di segnalare con una bandiera nera più grande delle altre – erano tre sistemate sugli ospedali per farli risparmiare dalle artiglierie - , per lo stesso motivo, il luogo dove la regina abitava, Sofia gli fece rispondere: “ sebbene la maestà della regina sia stata sensibilissima alla cavalleresca cortesia dell’ E.V., pure vorrà Ella permettere che invece di porre la quarta bandiera nera sul palazzo della M.S., si possa innalzarla sul tempio di S. Francesco, edificio monumentale……”( Pier Giusto Jaeger, Francesco II di Borbone, Ed. Mondadori, 1982).
Per questo i soldati l'adoravano ed anche in punto di morte invocavano il suo nome.
  Quando a Gaeta la situazione diventerà sempre più tragica a causa dell'epidemia del tifo, del terribile freddo di quell'anno, della scarsità di cibo, la Regina risponderà sempre no all'invito del marito di lasciare la roccaforte. Cercò in tutti i modi di incoraggiare i soldati borbonici distribuendo loro medaglie con coccarde colorate da lei stessa confezionate, prese ad indossare un costume calabrese di taglio maschile affinché pure la popolazione civile la sentisse più vicina, come una di loro, partecipò personalmente ai combattimenti incitando alla lotta i soldati e recandosi in visita dei feriti negli ospedali. La vita in quell’ambito ristretto produsse anche una intimità nella coppia, che meravigliò lo stesso Francesco. Quando, poi, a Gaeta la situazione peggiorò sempre più a causa della scarsità del cibo, del tifo e del freddo Francesco II la invitò ancora a lasciare la roccaforte ma la regina fu irremovibile nella sua decisione di restare accanto al popolo.  Così, infatti, riferiva Francesco II in una lunga lettera a Napoleone:  dopo aver detto che “ è raro che un re ritorni sul suo trono se un raggio di gloria non illumina la sua caduta..”, egli aggiungeva a proposito della moglie:”… ho fatto tutto il possibile per convincere Sua Maestà la regina a separarsi da me! Sono stato vinto dalle sue tenere preghiere, dalle generose sue decisioni. Ella vuole dividere la mia sorte  sino alla fine, dedicandosi a organizzare negli ospedali i soccorsi ai malati e ai feriti. Da questa sera, Gaeta avrà una suora di carità in più”.  Grande fu l'ammirazione che ebbe verso Sofia il giornalista francese Carlo Garnier, testimone diretto, presente sul posto, l’esuberanza e il coraggio  la portavano dove il pericolo era maggiore, visitava le postazioni di artiglieria più esposte e avanzate, portando un sorriso e un incoraggiamento ai soldati.

 Ma anche Francesco dimostrò grande valore; così  scriveva  infatti un giornale, al tempo dell'ammirazione che cresceva all'estero verso il Re: "L’ammirazione, e son per dire l’entusiasmo, che desta in Francia il nobile contegno del Re di Napoli, vanno crescendo ogni giorno in proporzione dell’eroica resistenza del giovane monarca, assediato dalla rivoluzione sullo scoglio di Gaeta”.

                                                                                     L’assedio continua

Il generale Cialdini (a fianco), comandante delle truppe assedianti non rispettava alcuna regola di guerra  neanche verso i civili, oggi sarebbe considerato un criminale di guerra, E tale ingiustificato accanimento contro le difese della piazzaforte provocava ulteriori distruzioni di una città allo stremo e inutili lutti tra militari e civili assediati.
Ai primi di dicembre all'interno della piazzaforte si diffuse un'epidemia di tifo che aggiunse vittime  militari e civili,  a quelle dei bombardamenti piemontesi. Il tifo , sviluppatosi in modo notevole tra i difensori alla fine di dicembre, aumentò sempre più, fino a raggiungere gli  oltre novanta casi e tredici decessi al giorno. Si diffuse ovunque, nella stessa casamatta abitata dalla famiglia reale, dove morirono l’aiutante di campo del re e alcuni ufficiali.  Come se non bastasse c’era il problema degli animali, soprattutto cavalli, e muli, per i quali non c’era niente da mangiare, tanto che erano stati offerti agli assedianti, che avevano rifiutato di soccorrerli.” …si incontravano muli e cavalli ridotti a scheletri, ( G. Buttà cappellano militare a Gaeta),  prossimi a morir di fame. Quelle povere bestie, non trovando da mangiare sulla montagna di Gaeta, perché solcata e ricoperta di schegge, se ne erano scese in città, ed andavano pietose da porta a porta come se domandassero l’elemosina. I soldati qualche volta davano loro un pezzetto di pane….”.   Dal mare, Gaeta fu protetta dalla flotta francese comandata dall’ammiraglio  Barbier de Tinan che, però, aveva anche consegnato almeno due  messaggi da parte dell'imperatore francese  Napoleone  al re Francesco II per indurlo a trattare la resa, altrimenti avrebbe tolto la sua protezione ordinando alle navi da guerra francesi di abbandonare la rada di Gaeta, ma le proposte vennero respinte.
 Oltre che a Gaeta le truppe borboniche resistevano nelle Fortezze di Messina e di Civitella del Tronto, anche senza paga e senza cibo. Non c’erano più soldi per pagare soldati e ufficiali, che perciò si battevano solo per fedeltà e onore militare,e non si potevano più pagare neanche fornitori: tutto il denaro era rimasto a Napoli, nel Banco, ed era stato incamerato e rubato dai vincitori.
 Dall’altra parte non c’era più Garibaldi, sicuramente l’unico comandante competente in tutta la guerra, e lo si era già visto nel ’48 e nel ’59, e lo si vedrà anche nelle successive guerre, ad esempio quella del 1866, dove sia Cialdini sia l’ ammiraglio Persano faranno pessime figure, contribuendo alla sconfitta del neonato regno d’Italia.
Le batterie di Gaeta spararono, finché ci furono proiettili, sulle batterie piemontesi, incoraggiati dalle bande musicali militari borboniche che suonavano l'inno nazionale, ed avevano un tiro molto preciso, tanto che i piemontesi furono costretti ad arretrare le proprie batterie per evitare che venissero distrutte. In una occasione fu centrata la loro polveriera sul colle dei Cappuccini.
Andata via la flotta francese e le altre navi estere, la flotta sarda era intervenuta bombardando la piazzaforte dal mare, ma senza avvicinarsi troppo per paura di essere colpita. I borbonici, per indurre in errore la flotta nemica e farla avvicinare a distanza utile di fuoco schernivano con sfottò i marinai piemontesi, e, così avvicinatesi alcune navi sotto i bastioni di Gaeta,  vennero centrate e danneggiate gravemente dagli artiglieri di Gaeta.
Mentre la flotta assediante riceveva rinforzi, senza comunque combinare niente di buono, il Ministro della marina francese informava il Re  Francesco che nel porto di Napoli era all'ancora la nave "Mouette", messa a disposizione della famiglia reale per qualsiasi evenienza.  I bombardamenti sugli assediati, militari e civili, vennero intensificati, saltavano polveriere e morivano a centinaia, non c’era più cibo né possibilità di curare i feriti, le condizioni igieniche e sanitarie erano pessime, la truppa ridotta a pezzi.  Ai primi di febbraio tra gli schieramenti veniva concordata una tregua di 48 ore per consentire di seppellire i morti, soccorrere i feriti ed evacuare 200 soldati borbonici feriti e malati. Francesco si espose inutilmente alla morte sugli spalti, assistito da Sofia, sempre in prima linea.   Stava nascendo il “mito” di Gaeta, che si identificava nelle persone dei sovrani: “ da un momento all’altro, la regina scoprì di essere divenuta oggetto di leggenda e di una infiammata esaltazione popolare. Le gazzette di mezzo mondo le dedicavano articoli e  poesie: la sua immagine, con la spada al fianco, in mezzo ai cannoni, veniva riprodotta ovunque”( P.G.Jaeger, opera citata).

                                                                                            La resa

L'11 febbraio 1861, Francesco, dava mandato al Governatore della piazzaforte di negoziare la resa. Normalmente durante le operazioni della resa, veniva interrotta ogni operazione militare. Il “cortese” generale Enrico Cialdini, invece, fece continuare il bombardamento di Gaeta, affermando che, pur contento di iniziare le trattative di resa, non poteva accogliere una richiesta di tregua essendo “sua” abitudine continuare le ostilità finché non veniva firmata la capitolazione.
Il 13 febbraio 1861 nella villa reale dei Borbone a Mola (Formia), venne firmata la resa della piazzaforte e solo allora entrò in vigore il cessate il fuoco.
Il 14 febbraio alle ore 07,00 circa, il re Francesco II di Borbone e la regina Maria Sofia seguiti da principi e ministri, dopo aver ricevuto gli ultimi onori militari dalle truppe borboniche schierate sul lungomare di Gaeta ed un caloroso saluto dalla popolazione civile sopravvissuta ai bombardamenti, si imbarcarono sulla nave da guerra francese "Mouette" diretti a Terracina, nello Stato pontificio.  Le batterie di Gaeta esplodevano 20 colpi di cannone, come estremo saluto al Re che partiva per l’ esilio, e da terra si sentirono per l'ultima volta le grida dei soldati borbonici "viva 'o rre!".  
Subito dopo, la guarnigione, lacera e stanca, ma inquadrata dagli ufficiali sopravvissuti,  usciva dalla piazzaforte con l' onore delle armi.
                                        
                                                                                     Il viaggio

In mare, La Mouette – il gabbiano - , a fianco della bandiera francese, aveva innalzato anche il vessillo bianco con lo stemma borbonico al centro; la nave si avviava lentamente nella foschia, diretta a Terracina. Poche ore di viaggio, non c’era vento, l’aria era  fredda, umida e immobile, stagnante, il mare calmo. Il viaggio per Terracina sarebbe durato forse tre ore.  A bordo, non era una giornata come le altre: comandante, ufficiali e marinai avevano indossato le uniformi di gala, ma non c’era nessuna festa. La corvetta, fino ad allora sconosciuta, sarebbe passata alla storia per gli ospiti che conduceva: Francesco II di Borbone, re – ultimo - delle due Sicilie, e la moglie Maria Sofia Wittelsbach di Baviera, ultima regina del sud..
Lui 25 anni, lei 21, il re indossava una semplice uniforme blu,  priva di ogni decorazione, Maria Sofia portava un semplice abito scuro e un cappellino con una piuma verde.
Francesco e Sofia erano sul ponte, in silenzio guardavano verso quella terra, la propria terra,  che stavano abbandonando, e guardavano la fine di uno Stato, dello Stato delle due Sicilie, il regno secolare fondato nel 1130 da Ruggero II, il normanno, il più grande territorio della penisola italiana.
Francesco aveva detto a tutti che sarebbe tornato presto, ma non ci credeva, era solo apparenza.
Ripensava a quanto era successo, con  Garibaldi,che dalla Sicilia era arrivato fino a Napoli, al cugino Vittorio Emanuele,  che non gli aveva mai dichiarato guerra, e   ai tradimenti, corruzione, incapacità.
Il “caro” cugino Savoia si era già preso, senza alcuna dichiarazione di guerra, la Toscana, con  zio Leopoldo Lorena, che se ne era scappato senza sparare un colpo, poi Parma e Piacenza con Maria Luisa Borbone e il figlio piccolo di pochi anni, e Francesco di Modena, e l’Emilia-Romagna e le Marche.. Eh, ma qui aveva dovuto aspettare e combattere.  Di questo Francesco era soddisfatto.
Ma come era stato possibile che le sue truppe, quelle truppe, quei soldati che si erano battuti bene sul Volturno e poi a Gaeta, non erano riusciti a buttare a mare una banda di disperati in camicia rossa?
E tutti quegli altri che non aveva potuto accogliere nella fortezza,  e che aveva mandato oltre i confini dello stato pontificio, e che alimentavano la resistenza, e che ancora resistevano nelle fortezze di Messina e Civitella del Tronto.
i sentiva tranquillo, come liberato da un peso, gli dispiaceva più per Sofia che per lui stesso.
Sofia, la moglie, a Gaeta era diventata una eroina,  era stata vicina a lui  e a tutti i soldati, che l’avevano apprezzata. Fu interrotto proprio dalla moglie.
Francois, nous sommes arriveè - gli stava dicendo Sofia,-” comment te porte-tu, Francois? Ca va?”, si preoccupò la regina notando l’intenso pallore del marito. “ Maestà,  disse poi il marchese Pietro Ulloa -, simm’ arrivate”. “ sto’ bbuono, Marì, jamme”, rispose il Re.
rano a Terracina, territorio dello Stato pontificio e ospiti del Papa Pio IX.
Prima di scendere dalla nave, l’equipaggio e il comandante resero gli onori militari e il re, da persona civile quale era, ringraziò il comandante per la tranquilla navigazione e per le cortesie ricevute.
Quindi, dando il braccio alla regina, sbarcò.”..La giornata era fredda e perciò il re portava sulla divisa un gran mantello bianco – così si espresse il cronista francese Garnier, presente ai fatti  -…sembrava addormentato e camminava come un sonnambulo, in un sogno. Invece la regina era  ..irrequieta e curiosa”.
Ad aspettarli sulla banchina, oltre al delegato del Papa e agli zuavi francesi che rendevano gli onori, essi videro una folla di soldati napoletani, di quelli che non avevano trovato posto a Gaeta, sbandati, e  anche civili  che urlavano: “Evviva ‘o RRe nuosto!, Vulimmo vedè ‘o Rre !”. 
Un breve saluto e partirono per Roma, dove arrivarono dopo le otto di sera e furono ricevuti, al Quirinale, dal cardinale Antonelli, Segretario di Stato.
                                                  
                                                                                             L’esilio

Iniziava l’esilio; i sovrani e l’intera famiglia si installarono al Quirinale, assumendo – secondo P.G. Jaeger – “ l’atteggiamento esteriore di chi ritiene di non poter restare assente dalla patria più di qualche mese”.
Invece, non sarebbero più tornati. Giunto a Roma Francesco II°, dopo la prima ospitalità al  Quirinale, si trasferì poi a palazzo Farnese,  proprietà di famiglia, perché ereditato dalla sua ava Elisabetta Farnese. Lì, Re Francesco istituì un governo in esilio, che godette del riconoscimento diplomatico.
Da parte piemontese, fu  subito avviata una vera e propria “damnatio memoriae”, oggi diremmo una gigantesca macchina del fango, con l’obiettivo di cancellare i Borbone dalla memoria delle popolazioni meridionali. Il minimo era farli passare per oppressori stranieri,  al contrario dell’ italianissimo  “Savoia”, quello che parlava solo in dialetto torinese e in francese, e non gli riusciva di dire due parole in italiano!
Furono utilizzati tutti i mezzi disponibili, anche il ridicolo: “la messa in ridicolo di tutto quanto riguardava Francesco II  – dice P.G.Jaeger, non un meridionalista né un filo-borbonico, ma storico triestinoe il suo regno,  riuscì, sotto il profilo della propaganda, più efficace della denunzia che riguardava la ”brutalità” di suo padre Ferdinando. E lo dimostra la circostanza secondo la quale ancora oggi, la figura di Franceschiello,  è ricordata con ironia e disprezzo”.
Basti pensare alla caricatura di questo giovane re nello stesso diminutivo del nome, che non era assolutamente vero e comunque usato solo per affetto, dal momento che il vero soprannome in famiglia era “lasa”, poiché il suo piatto preferito erano le la lasagne.
Basti pensare al modo di dire ”l’esercito di Franceschiello”, per indicare con disprezzo soldati che non si battono, ma scappano e si sciolgono subito, quando basta vedere non solo come questi soldati si erano battuti sul Volturno, a Gaeta, a Messina e altre fortezze, ma anche i risultati conseguiti dall’esercito italiano dopo il 1861. Il “generalissimo” Cialdini, il duca di Gaeta, che oggi sarebbe ricercato e giudicato come criminale di guerra, si dette molto da fare nel napoletano, come luogotenente, dopo pochi mesi, contro gli insorti, fece quasi 9000 morti, 7000 prigionieri e 13000 deportati, come e peggio dei nazisti. Ma contro un esercito attrezzato come quello austriaco nel 1866, fu battuto a Custoza, facendo una pessima figura, e così anche quel super ammiraglio Persano, che perse tutta la flotta a Lissa fu condannato per incompetenza, degradato e mandato a casa senza neanche la pensione.
Basti pensare all’ uso improprio del termine  “borbonico”, per indicare retrogrado, lento, farraginoso a tutto ciò che non funziona nella pubblica amministrazione, quando in realtà leggi e regolamenti imposti a tutto il paese unito furono quelli piemontesi, cioè dei conquistatori.
E con Sofia fu ancora peggio: contro di lei fu avviata una incredibile campagna scandalistica, e fu oggetto di calunnie mirate a screditarla pubblicamente.
Nel febbraio 1862 apparvero alcune foto oscene che la ritraevano nuda, e che fecero il giro di tutte le corti d'Europa. Lo scandalo fu grande, ma  quasi subito  si rivelarono essere degli abili montaggi nei quali la testa della regina era stata montata sul corpo di una giovane prostituta. Le indagini svolte portarono la polizia pontificia all'arresto di Antonio Diotallevi e di sua moglie Costanza Vaccari, autori del misfatto.
Intanto, soprattutto Sofia, compiva alcuni tentativi di organizzare una resistenza armata nel Regno, molti legittimisti si recavano ad ossequiarla, avendone sentito parlare e aumentandone il mito, personaggi romantici che credevano di combattere per ideali e per amore di una dama, nello spirito dell’antica cavalleria, come cavalieri del medio evo. allora si formarono interi corpi di volontari legittimisti, provenienti da ogni parte d’Europa e persino Tra questi  spiccava Emile De Christen (1835/ 1870)), cadetto di una nobile famiglia dell'Alsazia francese. A venticinque anni raggiunse il grado di colonnello dell'Esercito Francese. Nel 1860, si congedò dall'Esercito Francese per partire alla volta di Roma ed  entrò a far parte dell’ Esercito delle Due Sicilie, quando ormai era già tardi. de Christen si recò a Napoli, volendo prendere parte alla sollevazione contro il Regno d'Italia, ma  fu imprigionato, condannato a 10 anni di galera. A causa di pressioni internazionali, il conte alsaziano fu liberato dopo 2 anni.  

Fine terza parte, continua……….

 




sabato 31 maggio 2014

AVANZI di Galera


                                                              AVANZI di Galera
                                    Storie, storielle , ricordi, fatti e documenti
( tutti i nomi e altri dati che potrebbero far identificare persone e luoghi sono cancellati o di fantasia)

 


Letteratura poliziesca:

La nominata in oggetto per la parte di competenza risulta di buona condotta morale e civile , senza precedenti o pendenze penali agli atti di questo Comando .Non consta soffra o abbia mai sofferto di malattie ledenti le facoltà mentali . Non è dedita all’alcool o a sostanze stupefacenti.
Non ha vizzi – (2 Z in originale) – e non frequenta compagnie disdicevoli ed in pubblico gode di stima e considerazione. La stessa convive in via… n..   di  X  con la propria famiglia come da allegato stato di famiglia “.

II°

 Letteratura penitenziaria

 “La  informo di quanto segue: Comandatto di servizio di8/16 in officina alle ore 16 circa ritornando dalla sez. FEMMINILE per il fissaggio di alcune piastrelle intorno al tubo di scarico; difronte la caldaia A-B notto che la porta era socchiusa e in quel momento stava uscento un detenuto che non ho potuto riconoscerlo dato che si e nascosto dentro le doccie con altri detenuti. Cercando il XY che aveva lasciato incustodita  le caldaie si trovava nei tratti con altre persone. Alle ore 15,25 circa entravo nelle caldaie per accertarmi che era tutto a posto notavo il XY sulla caldaia adiacente a una finestra nel cortile donne si era sdraiato che parlava con una donna e con le mani si masturbava in presenza della suddetta donna che non mi e stato possibile vederla perche lui era in alto il fatto e durato circa 5 minuti in mia presenza endrando in punta di piedi. Per dovere …”.
 
 
III°

Letteratura ministeriale
 
Il particolare  momento che sta attraversando l’Amministrazione ………… non deve in alcun modo alimentare lo sviluppo di suggestioni negative e sentimenti di demotivazione che, altrimenti vanificherebbero il prezioso contributo sinora fornito alla società nel corso degli anni. L’ulteriore impegno che si chiede potrebbe, tra l’altro, consentire il perseguimento di adeguati livelli di efficienza che sorreggono gli emanandi provvedimenti governativi. Per evitare il ricorso a soluzioni di matrice squisitamente burocratica, occorre proseguire nell’azione congiunta tra tutte le diramazioni dipartimentali, anche attraverso una serie di incontri all’interno delle strutture penitenziarie che produrrebbero sicuro giovamento al morale di tutto il personale che vi opera. ….

 IV°

 Voglia di maternità

 Da un quotidiano:   Tentano di rimanere incinte con il seme donato dai detenuti”. Sottotitolo:

Gli uomini lo lanciano dalle finestre, racchiuso in un guanto, alle donne in attesa durante l’ora d’aria”.

Dall’articolo: il cortile dove, in orari diversi maschi e femmine fanno “l’ora d’aria, sul quale affacciano le finestre dei distinti reparti. Orbene, quando le donne sono nel cortile, l’uomo lancia dalla finestra un guanto di gomma o un altro piccolo involucro, di quelli in uso, contenente il proprio liquido seminale diretto alla detenuta interessata, che grazie alla collaborazione delle altre che distraggono le agenti di sorveglianza, lo recupera e corre in bagno per introdurre il materiale organico nel loro corpo”. Da quanto si è appreso, sarebbe stato trovato anche un apposito manuale con le istruzioni, predisposto da due detenuti, un uomo e una donna, ovviamente, già individuati, e distribuito in tutte le camere.  Ma sarà vero?

        

 Amori difficili

 
La informo che la guardia N. V., di servizio 16/24, come già in altre occasioni non ha raggiunto il posto di servizio perché colto da una forte crisi nervosa.L’appuntato C. A.  di servizio in portineria, alle ore 15,30 circa, mi rapportava che il predetto agente, al rientro della libera uscita, si era fermato in portineria e, piangendo, gli aveva detto di aver litigato con la sua ragazza e che in un momento d’ira le aveva dato uno schiaffo. Alle ore 17 circa, due agenti della P.S. si presentavano nel mio ufficio e mi confermavano il litigio avvenuto tra la guardia N. V. e la signorina T. P., nata a Z. il ….. - fidanzata del N. V. -  e che avrebbero segnalato il loro intervento al dr. M. della locale Questura.
Alle ore 17,30 la guardia N. V. si presentava dallo scrivente e dichiarava testualmente : “ La mia fidanzata si chiama T. P. ed è stata ristretta in questo istituto ed io l’ho conosciuta prima che venisse in carcere.” Da informazioni assunte la signorina TTPP è stata detenuta in questo istituto per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, dal 20 /5 al 20/6….giorno in cui  è stata scarcerata per concessione della libertà provvisoria. La predetta T. P. risulta essere ( notizia da confermare) stata anche la moglie o convivente del detenuto Y., più volte ristretto in questa casa circondariale.
La guardia N. V. presta servizio in questa sede dal …..  Tanto per dovere e per i provvedimenti che riterrà opportuno adottare.

VI°

 Carceri sovraffollate

Poi dicono che le carceri sono sovraffollate. Per forza, se si continua così.

Da un quotidiano: “In cella per un coprivolante.  Arrestato per rapina impropria un cittadino russo, N.M., 27 anni: Ha rubato un coprivolante da 14 euro al bazar….., ma il titolare se ne è accorto e gliene ha chiesto conto. Il russo ha reagito: ne è nata una breve colluttazione, il negoziante ha riportato lesioni lievi guaribili in 5 giorni. La polizia ha bloccato il russo che è finito in carcere, a disposizione del magistrato.”.

Maria Sofia Wittelsbach, una vita difficile


                                                            
                                            

                                                                                                        Seconda parte
 

                                                                                                                        Regina

Mentre al nord infuriava la guerra, il 22 maggio 1859 moriva a Napoli, il re Ferdinando II di Borbone, e Maria Sofia, a 18 anni, diventava Regina delle due Sicilie, come consorte di Francesco II°.  Non era il momento adatto per assumere la corona del regno, soprattutto in quei momenti difficili, con il regno sabaudo che si stava allargando al nord e soprattutto nel privato, con quella moglie dal temperamento del tutto opposto al suo. Sofia dovette subire tutto ciò, il carattere fatalista e pio del marito la spinsero a tentare di prendere la direzione degli affari del regno, entrando così in aperto contrasto con la matrigna del re, la regina madre, l’austriaca Maria Teresa.  Come la sorella Elisabetta, Sofia era solita uscire da sola, cavalcare, tirare di scherma. Praticava il nuoto, la danza e il tiro con la carabina. E amava fumare sigaretti. E continuò a farlo anche a Napoli, scandalizzando la Corte borbonica, soprattutto la regina madre. Dal padre aveva ereditato l’amore per gli animali: in particolare cavalli, cani e pappagalli, riempendo la reggia di tutti questi animali. Rinnovò tutto il guardaroba, cambiando toeletta almeno quattro volte al giorno e si fece fotografare nelle pose più diverse: a cavallo e a piedi, seduta, con il marito o con i cognati, sul trono e con la corona in testa.   Ma ciò che scandalizzò più di tutto fu “ ‘o zumpo” ( il salto), il bagno a mare, osò tuffarsi nelle acque, all’epoca pulitissime, del porto militare, sotto gli occhi di marinai e soldati.  Tuttavia, Sofia non era solo questo, ma nei pochi mesi del soggiorno napoletano,  seppe anche imporre la sua personalità e dimostrare  risolutezza e determinazione, che compensavano la debolezza e le incertezze del Re. 
G.Fattori: Magenta, campo piemontese
Palazzo reale di Napoli
Nel nord della penisola intanto, l’esercito austriaco stava subendo una serie di sconfitte in battaglie cruente, che portarono all’armistizio di Villafranca, il 12 luglio, alla cessione della Lombardia e alla ribellione e alla successiva annessione al regno sardo dei ducati di Toscana, Parma e Modena, e della Romagna pontificia.
 A Napoli queste notizie producevano per i liberali piacere e manifestazioni di gioia, per la Corte preoccupazione e problemi; Sofia  era in ansia anche per la sorella che sapeva essere caduta in un profondo stato di disperazione.  Elisabetta, infatti,  piangeva in continuazione, aveva chiesto all'imperatore di poterlo raggiungere in Italia, ma le era stato negato il permesso;  si dedicò a drastiche cure dimagranti e a sfiancanti cavalcate; disertò tutti gli impegni sociali organizzati dalla suocera, l'arciduchessa Sofia, attirandosi le critiche della Corte.  Stava crollando tutto il sistema imperiale austriaco voluto a suo tempo dal Congresso di Vienna, la crisi non era solo politica ma si allargò anche alla vita privata della coppia imperiale.
Quello che accadeva nel Nord Italia avrebbe dovuto indurre il governo napoletano a serie riflessioni sulle alleanza con gli Asburgo d’Austria, e a qualche concessione in senso liberale, onde togliere agli oppositori  ogni possibilità di lamentela e di protesta. Ma non ci fu verso, né a Napoli c’erano politici  come Cavour, ma solo vecchi ministri ormai sorpassati. L’unico poteva essere Carlo Filangieri, ( a lato), generale dei tempi di Murat, liberale ma fedele, per giuramento di soldato, ai Borbone.   Il sovrano borbonico aveva in precedenza ricevuto offerte da parte di  Cavour, per la costituzione di un'Italia federale, offerte da lui rigettate per non far torto al papa, al quale avrebbe dovuto essere tolto una parte del territorio di sua pertinenza, ma soprattutto perché del ministro piemontese non c’era da fidarsi. All’interno del regno, malgrado la situazione italiana, Francesco II   favorì alcune piccole riforme, come ad esempio una maggiore autonomia ai comuni, emanò amnistie, nominò commissioni aventi lo scopo di migliorare le condizioni dei carcerati nei luoghi di detenzione, dimezzò l'imposta sul macinato, ridusse le tasse doganali. Fece inoltre ripartire i progetti di ampliamento della rete ferroviaria, che si interruppero però nel 1860. Non ne volle sapere però, di appoggiare e approvare un progetto di Statuto predisposto dal primo ministro Filangieri.
Il regno però era ormai già condannato dalla politica internazionale; isolato dalle maggiori potenze, chiuso nel suo piccolo mondo, senza alcuna capacità e anche volontà di inserirsi nel gioco politico europeo, per un falso e superato senso autonomistico, e  facile preda di politiche più  esuberanti e attive, in linea con i tempi, come quelle di Cavour. Si avvicinava il fatidico 1860: i Borbone erano informati fin dall'inizio dell'impresa dei Mille, sia sul giorno che sul luogo della loro partenza, nonché su quello del presunto sbarco. Intanto, mentre il cugino Vittorio Emanuele II ( a fianco) giurava amicizia a Francesco II e condannava formalmente l'impresa di Garibaldi, di nascosto l’appoggiava.  In politica estera la situazione era difficile, l’ Austria era da poco stata sconfitta, anche se avrebbe voluto intervenire militarmente contro i piemontesi dal nord, la Russia le aveva prese in Crimea nel 1855, mentre il regno era isolato diplomaticamente. L’unica potenza  reale dell’epoca l’Inghilterra aveva grossi interessi economici in Sicilia e nel Mediterraneo ed era contro i Borbone; Napoleone III in Francia si comportava come sempre in maniera ambigua e doppiogiochista e non capiva assolutamente cosa stava accadendo, che Cavour lo stava prendendo in giro, da una parte conservava una guarnigione francese a Roma a tutela del papa, da un’altra aiutava il regno sardo contro l’Austria convinto di poter gestire la situazione italiana, istituendo un ipotetico regno dell’Italia centrale con a capo un napoleonide, e ancora verso i Borbone agiva formalmente  come amico ma sottobanco nulla faceva per impedire gli avvenimenti siciliani.                                         
                                                    
                                                                                          La conquista  

A maggio 1860, Garibaldi sbarcò a Marsala, protetto dalle navi inglesi nel porto e ignorato dalle navi borboniche, e diede inizio alla conquista che sappiamo. La Sicilia era la spina nel fianco del regno, e lo era sempre stata fin dai tempi antichi, dagli Angioini e dai Vespri siciliani, con le secolari mire autonomiste e secessioniste dal continente.  Per questo motivo fu scelta l’ isola  per attaccare il regno e perché l’Inghilterra era interessata a impossessarsene, per i suoi commerci.
 Pur disponendo di una flotta di 14 navi militari che incrociavano lungo le coste del Regno, i Mille non furono fermati. Probabilmente il re si illudeva di poter fermare a terra quella che considerava una banda di avventurieri, ma sappiamo come andò a finire. Tanto per fare un esempio, a  Calatafimi  ben 3.000 soldati borbonici si ritirarono inspiegabilmente, dopo un'accanita battaglia che li aveva quasi condotti a rigettare i garibaldini in mare, a causa degli ordini del generale Landi, di anni settantadue, che andava in battaglia con la carrozza. Landi, dopo Calatafimi, fu accusato di tradimento e corruzione, e soprattutto incapacità, (si racconta che gli furono promessi 15.000 o 20.000 ducati da pagarsi a guerra conclusa, ma quando andò ad esigerli, ricevette solo un rifiuto e così restò “ cornuto e mazziato”), fu degradato e condannato all’esilio.
Sofia reagiva diversamente dalla sorella Elisabetta, non andò in depressione né si perse in piagnistei; come racconta R. De Cesare:” continuava la sua vita di prima, e faceva i suoi bagni, e relativo “zumpo” nelle acque del porto militare. Alcuni anni dopo, donna Nina Rizzo ( la marchesa Rizzo, dama di compagnia della Regina), diceva ai suoi intimi che la sola  a non aver paura in quei momenti fu la regina”.
Tra le regine del periodo – sostiene Renata de Lorenzo, in "Borbonia Felix", Salerno editrice, 2013) – è la sola, anche per la delicata fase che gestisce, ad avere un ruolo politico da reale protagonista”.      Ella non si stancava di incitare il Re a mettersi a capo dell'esercito e passare all'azione, sicura che tutto il popolo l'avrebbe sostenuto e seguito.
      Dopo la perdita della Sicilia e la dissoluzione dell'esercito in Calabria, tutti infatti, a Napoli furono presi dallo scoramento.  Si sperava nell’appoggio della Russia, della Prussia e soprattutto nell’intervento armato dell’Austria, che avrebbe potuto bloccare l’esercito piemontese in Lombardia. Ma Francesco Giuseppe, cognato di Sofia, era stato sconfitto pesantemente l’anno prima e aveva altri problemi da affrontare in casa; si era per questo attirato le ire della moglie  Elisabetta.      La tragedia era ormai incombente, e il Re non riusciva a prendere l’unica decisione possibile cioè quella di prendere il comando e combattere. “ Se il re avesse il temperamento di sua moglie, venderebbe più cara la pelle” dice A. Ghirelli ( Storia di Napoli, ed. Einaudi,1973).  Sofia, con pochi altri, incitava inutilmente il marito a “ montare a cavallo” e a dirigere personalmente le operazioni, ma non ci fu verso di convincerlo. Francesco non era fatto per la guerra, nella sua educazione non era stata contemplata l’ ipotesi di fare il condottiero militare: si sarebbe svegliato solo più tardi, come vedremo, quando ormai aveva abbandonato la capitale.   Per Garibaldi, in Calabria, e fino a Napoli fu una passeggiata, mentre alcuni generali borbonici si arrendevano senza neanche provare a combattere, tanto che in alcuni casi - come a Mileto, in Calabria, il generale Briganti - la truppa si ribellò e ammazzò il proprio comandante. Il 6 settembre 1860, Francesco e Sofia abbandonarono la capitale, senza neanche portare via neanche i depositi personali, né opere d’arte, né denaro, che  subito furono sequestrati e incamerati da Garibaldi e poi dai Savoia. Il banco di Napoli aveva depositi per centinaia di milioni che fecero comodo al Piemonte per risanare il proprio debito pubblico: il regno di Sardegna infatti  era indebitato fino al collo con banche di mezza Europa e non disponeva che di qualche migliaio di lire.
Secondo me fu un grande errore abbandonare Napoli, Francesco avrebbe dovuto e potuto difendere la città e bombardare il nemico dai castelli, invece di ritirarsi sul Volturno; avrebbe anche potuto attestarsi a sud della città, verso Salerno e sul Sarno.  La storia insegna che difficilmente un re che ha abbandonato la propria capitale, poi ritorna; ne sapranno qualcosa anche i Savoia dopo ottantanni, quando fuggiranno davanti ai tedeschi.

                                               
                                     La fine

La notizia del crollo del  regno delle due Sicilie, intanto, era arrivata a anche a Vienna e a Monaco. Nessuno  Stato intervenne. I governi di Prussia, Austria e Russia fecero solo pressioni sull'imperatore Napoleone III  per aiutare il re Francesco, mentre il governo inglese faceva esattamente il contrario. Napoleone III si comportava, come al solito, in modo ambiguo e imprevedibile, da una parte proteggeva il Borbone così come proteggeva il Papa subendo l’influenza della moglie, supercattolica e legittimista, dall’altra,  segretamente si faceva convincere da Cavour, ma soprattutto dalla bella Virginia Oldoini, più nota come contessa di Castiglione ( a fianco), a favorire l’intervento del Piemonte, anche attaccando i territori papali.   La preoccupazione per la sorella  Sofia ebbe su Sissi un'influenza negativa, rovinando anche i suoi rapporti col marito. Elisabetta lasciò improvvisamente Vienna e si diresse a Possenhofen in Baviera,  a casa sua  Nell'ottobre del 1860,, mentre sul Volturno sui combatteva la battaglia decisiva per il regno delle due Sicilie, la salute dell'imperatrice subì un tracollo, dovuto a numerose crisi nervose e cure dimagranti. I medici interpellati non ci capivano molto, qualcuno consigliò una cura presso un paese dal clima caldo: a suo parere la sovrana non sarebbe riuscita a superare l'inverno a Vienna.
A sud intanto Sofia e Francesco, abbandonata Napoli il 6 settembre, si erano rifugiati a Gaeta, mentre le truppe rimaste fedeli, prendevano posizione intorno alla fortezza e sulla piana del Volturno, secondo una precisa strategia che prevedeva una linea di difesa sul fiume, con il supporto delle due fortezze di Capua e Gaeta. Resistevano inoltre le fortezze di Messina e di Civitella del Tronto.  La maggior parte della flotta borbonica, al comando della quale era Luigi di Borbone, conte di Aquila e zio di Francesco II, presente all'ancora nella rada di Napoli, rifiutò di seguire il re.. Ma molti dei semplici marinai delle navi ammutinate, visto l'atteggiamento dei loro ufficiali, si tuffarono in mare per raggiungere il re, rifiutando di partecipare al tradimento. Così, due sole navi seguirono il re a Gaeta, insieme a una nave spagnola con a bordo l’ ambasciatore di Spagna, Bermudez  de  Castro.
Francesco finalmente si era svegliato e  deciso a “montare a cavallo” come da tempo gli aveva suggerito la regina, e a partecipare alle operazioni militari, assistito dal meglio dell’esercito rimasto e da generali meno incapaci.
Sul Volturno, la situazione si presentò subito diversa e più difficile allo stesso Garibaldi: i garibaldini si trovarono davanti a un esercito regolare di gente arrabbiata e pronta a tutto, e non c’erano quei comandanti che si erano arresi al primo sparo.
La battaglia, infatti, volgeva a favore dell’ esercito borbonico e si narra che lo stesso Garibaldi stesse per finire prigioniero nella zona di S. Angelo in Formis (vedi su questo blog: S.Angelo in Formis ). Si racconta, infatti, che egli, mentre cercava di raggiungere le sue linee, percorrendo in carrozza  la strada tra S. Maria Capua Vetere e S. Angelo, fu attaccato dai soldati borbonici che abbatterono cocchiere e cavallo. A stento  era riuscito a salvarsi, correndo a piedi verso le proprie linee. “ ….L’esercito borbonico, composto da circa 50.000 uomini, si batté strenuamente e nella località di Caiazzo costrinse i garibaldini a ritirarsi…” (Lucio Villari, Bella e perduta, Ed. Laterza), tanto per smentire le malelingue che sparlarono e ancora oggi sparlano, con disprezzo dell’esercito di Franceschiello.   L’arrivo di rinforzi freschi e delle truppe sarde dal nord, capovolsero  le sorti della battaglia,  e  quello che restava dell’esercito si ritirò nella fortezza di Gaeta. Poiché non entravano tutti nella fortezza, alcuni reggimenti furono sciolti, i soldati furono mandati oltre il confine dello stato pontificio mentre  altri si prepararono alla estrema difesa. Dal lato mare Gaeta era protetta da poche navi rimaste fedeli e da alcune navi spagnole e francesi.

                                                                                         Gaeta

Oggi Gaeta è un Comune di circa 20.000 abitanti della provincia di latina, nel basso Lazio, subito dopo Formia, per chi viene da Napoli, da cui dista circa 80 km. Nel 1860 Gaeta era parte dell'antica provincia di Terra di lavoro del regno delle due Sicilie. Città antica, sulla cui origine si sono espressi il geografo Strabone, ma più conosciuto di lui, Virgilio, nell’Eneide (Eneide, VII, 1-4), che diede una sua spiegazione del origine del nome: “Caieta”, dal nome della nutrice di Enea, da lui sepolta in quel sito durante il suo viaggio verso le coste laziali. “Ed ancor tu, d’Enea fida nutrice Caieta, ai nostri liti eterna fama desti morendo; ed essi anco a te diero sede onorata…..”.
La città, dopo la fine dell'impero romano, subì vari saccheggi e dominazioni. Per la sua posizione su una penisola naturale, facilmente difendibile,  fu fortificata con cinte murarie e sulle pendici di Monte Orlando, sulla zona alta dell'antico borgo medioevale sorse il castello di Gaeta a difesa dell'abitato, e le popolazioni delle zone limitrofe si trasferirono all'interno delle mura per trovare ospitalità, rifugio e protezione.  Le prime notizie del castello risalgono al VI secolo d.c., ma notizie certe della sua esistenza si hanno nel XIII, durante la dominazione Sveva.  Alla nascita del regno normanno, con  Ruggero II, Gaeta divenne città di confine  con lo Stato della Chiesa. Durante il periodi successivi furono costruite aggiunte al castello e nuovissime fortificazioni, aggiornate contro le ultime e più potenti armi da fuoco.  L'ala angioina fino a pochi anni fa è stata sede del Carcere Militare di Gaeta, attualmente è di proprietà del Comune.  La fortezza aveva subito nei secoli molti assedi, gli ultimi erano  stati nel 1806, da parte delle truppe napoleoniche comandate dal generale Massena, e aveva resistito per 5 mesi,  e nel 1815 il generale Begani tenne testa agli Austriaci coi resti dell'esercito di Gioacchino Murat.
L'assedio ebbe inizio il 13 novembre 1860 e fu condotto in modo aspro, e contro ogni convenzione militare , dalle truppe dell'esercito  sardo, guidate dal generale Enrico Cialdini( a lato).   Da sottolineare che nessuna dichiarazione di guerra era stata effettuata dal governo  piemontese a quello delle due Sicilie, contro ogni legge internazionale.  Oggi l’aggressione a uno stato sovrano da parte di un altro, avrebbe provocato l’intervento dell’ONU, della Nato,  e i capi dello Stato aggressore sarebbero stati ricercati, arrestati e giudicati dal tribunale internazionale dell’Aia.
L’esercito sardo si stava ammassando intorno alla fortezza, oltre il Borgo della città, oltre Mola (oggi Formia), sui monti e i colli circostanti. ” Da Monte Cristo ai colli di Tortano – (Gigi di Fiore, Gli ultimi giorni di Gaeta, ed. Rizzoli) - , Lombone, Sant’Agata e i Cappuccini,  per arrivare alla spiaggia di Serapo ( bellissima e con un mare caraibico ancora negli anni ’60 del XX sec.), sul lato sinistro della piazzaforte; ma anche tra la valle Arzano e Monte Conca sulla destra”. Una tenaglia formidabile e uno schieramento incredibile di truppe e artiglierie.

Fine seconda parte, continua…