martedì 17 maggio 2016

Il Piemonte e Napoli


Quanti sanno che c'è stata un' epoca in cui il Piemonte fu un possedimento napoletano? Cosa
c'entrava Napoli con il Piemonte ? Per saperne di più torniamo indietro nel tempo fino al XIII secolo.
L' Italia era divisa in vari Stati, grandi e piccoli, tutti dipendenti teoricamente dall'Imperatore del Sacro Romano Impero o dal Papa, divisi in fautori dell'uno, i Ghibellini, o dell'altro, i Guelfi. Lo Stato più grande e più forte era quello quello di Sicilia e di Napoli.
Più a Nord, si era consolidato lo Stato pontificio fino alle Romagne, e nel nord-est c'era la Serenissima Repubblica di Venezia. A ovest, nella pianura padana, in Lombardia e anche in Piemonte, c'erano stati i liberi Comuni come Milano e altre città, Piacenza, Novara, Asti, Torino e tanti altri più piccoli, ma nel XIII secolo quel modello politico era in crisi, e si stava arrivando lentamente alla instaurazione delle cosiddette Signorie, come quella dei Visconti a Milano.
In Piemonte erano molto attivi, e volevano allargarsi, i Marchesi di Saluzzo e del Monferrato, e iniziava la carriera di una famiglia che arrivava dalle Alpi, i conti di Savoia. Sul mare si affacciava la Repubblica di Genova.

Carlo I d'Angiò
Confinante con questi territori c'era la Provenza, dipendente da Luigi IX, Re di Francia. Nel 1246 Luigi fece sposare la dodicenne contessa Beatrice con il suo ventenne fratello Carlo d'Angiò, che divenne perciò Conte di Provenza. Carlo si diede da fare per aumentare i suoi domini, e tra il 1258 e il 1264 arrivò nella zona meridionale del Piemonte. Ma non ebbe bisogno di conquistarla militarmente. Fu il conte di Ventimiglia che, per l'aiuto prestato contro Genova, gli fece dono delle contee di Tenda e Briga vicino a Nizza. Gli Angioini furono accolti bene dalla popolazione: la loro presenza garantiva una grande facilità e redditività dei commerci tra Piemonte e la costa, con benefici per tutte le popolazioni dell'area. Per questo, riconobbero la signoria di Carlo d'Angiò i Comuni di Cuneo (1259), Alba, Cherasco, Savigliano, i Marchesi di Ceva, i Conti di Biandrate. Nel frattempo, nel 1264, Carlo d'Angiò fu invitato dal Papa ad impossessarsi del Regno di Sicilia, per contrastare il potere dell'Impero. Come sappiamo nel 1266 Carlo d'Angiò conquistò il regno di Sicilia, fece decapitare il sedicenne Corradino, nipote di Federico II, in piazza Mercato a Napoli, e diede inizio alla dinastia angioina di Napoli.
Altri Comuni piemontesi, intanto come Torino, Alessandria, Vercelli e Ivrea gli fecero atto di dedizione. Da quel momento quella zona divenne un possedimento del Re di Napoli.
La politica degli Angioini in quell'area fu molto accorta – stranamente in quanto Carlo e i suoi, alla conquista di Napoli e Palermo, si comportarono da crudeli e sanguinari -, essi non stravolsero gli ordinamenti delle città, ma lasciarono continuare l'amministrazione secondo le tradizioni e gli statuti precedenti, limitando al massimo la loro interferenza e traendone reciproco vantaggio.
In quegli anni l'interesse di Carlo, era volto al Regno dell'Italia meridionale, al suo consolidamento e anche alla sua possibile espansione: gli Angiò persero la Sicilia ma si allargarono oltre l'Adriatico occupando l'Albania con Durazzo e se ne proclamarono Re, e nel 1300 giunsero fino in Ungheria, furono poi principi d'Acaia e Re di Gerusalemme e altro. Il Papa Gregorio X, che, al contrario del suo predecessore, riteneva gli Angiò molto pericolosi per il suo potere, organizzò una Lega alla quale si aggregarono anche nemici Piemontesi e dopo alterne vicende, nel 1275 riuscirono a sconfiggere i presidi angioini e gli alleati, che abbandonarono la regione.
Ma non era finita.
Dopo qualche anno, Carlo II d'Angiò, lo zoppo, Re di Napoli e di Albania, riprese in Piemonte tutto ciò che il padre aveva perso.
Giovanna I d'Angiò
Restaurò perciò il dominio angioino con il passaggio dalla sua parte di numerose città della regione. Nel 1305 Carlo II, re di Napoli, unì la contea di Piemonte a quelle di Provenza, e da allora si intitolò anche Conte di Piemonte. Il titolo fu ereditato poi dai successori, ad iniziare dal figlio Roberto che ottenne la dedizione di Alessandria e Alba.
I rapporti degli Angiò di Napoli con i possedimenti piemontesi erano frequenti e costanti ed essi vi si recavano personalmete o mandavano membri della famiglia reale. I problemi vennero fuori dopo, alla morte di Re Roberto, con Giovanna I, regina chiacchierata e anche sfortunata: sposatasi ben cinque volte dovette affrontare nemici di ogni genere, anche in famiglia, pestilenze e guerre continue per mantenere il trono.
Si recò anche in Provenza ma per trovare il Papa ad Avignone e non ebbe il tempo di pensare alle terre piemontesi, se non quando dovette donare come dote alla sorella Maria, per il suo matrimonio con Carlo di Durazzo, la contea di Alba( V.Gleijeses, La regina Giovanna d'Angiò, Marotta Ed.1990). Il regno era andato allo sbando, l'ultimo marito di Giovanna, Ottone di Brunswick mentre stava combattendo in Piemonte per difendere quei territori, fu richiamato a Napoli, assalita da Carlo di Durazzo; la Sicilia non era stata riconquistata ed era occupata dagli Aragona, Giovanna non aveva avuto eredi diretti.
Il Piemonte perciò fu abbandonato a se stesso, i possedimenti angioini furono occupati dai Signori del Monferrato, Saluzzo,Visconti e dai Savoia, senza alcuna reazione da parte di Giovanna. Anche i successori, gli Angiò-Durazzo furono presi da altri impegni e problemi interni ed esterni al Regno, per cui finì così, lentamente e per abbandono, il governo angioino in Piemonte. Era durato circa ottanta anni.





martedì 26 aprile 2016

Costanza d' Altavilla


Costanza d' Altavilla



Dopo Giovanna d'Angiò, dopo Isabella del Balzo e dopo Maria Carolina d'Asburgo, torniamo indietro fino al XII secolo, in Sicilia, nel “regno del sole” ( John Julius Norwick, il regno nel sole, ed. Mursia 1970).
Andiamo presso la raffinata e colta Corte di Palermo, istituita da Ruggero II, il Normanno, fondatore del regno di Sicilia e Napoli.
Tutto ebbe inizio con Ruggero I°, Conte di Sicilia, e il fratello Roberto il Guiscardo, duca di Puglia e di Calabria. Gli Hauteville, italianizzati in Altavilla, venivano dalla Normandia, una famiglia numerosa, arrivati nel sud della penisola, in Puglia, verso il 1040, vagabondi e mercenari, e trasformatisi presto in conquistatori.
Approfittando delle guerre intestine tra impero d'oriente e staterelli italiani e Arabi in Sicilia, soli contro tutti, i Normanni combatterono contro cinque o sei bandiere, cambiandole spesso, come in un film di avventure, fu un' epopea iniziata come banditi e finita come Re, duchi e principi. La Sicilia , Ruggero I, l’aveva conquistata nel 1061 con la forza delle armi, togliendola agli Arabi, che erano lì da circa un paio di secoli, si era autonominato “gran Conte”, e l’aveva lasciata ai figli.
Costanza d'Altavilla
Ruggero II era appena il terzogenito: succeduto al padre per la morte prematura dei fratelli, dopo anni di lotte, aveva posto fine al Ducato autonomo di Napoli nel 1140, era riuscito a unificare sotto il suo governo tutto il meridione della penisola, ed era diventato Re di Sicilia. La capitale fu fissata a Palermo, il regno ben presto assunse la supremazia navale nel Mediterraneo, e fu la base di partenza per le crociate, invidiato e desiderato da tutti.
Ruggero, come era normale, si preoccupò della successione al trono ed ebbe, in prime nozze, sei figli di cui i primi quattro maschi morti prima del padre, in seconde nozze, un figlio morto alla nascita insieme alla madre, e infine, in terze nozze, nel mese di novembre 1154, una figlia femmina che egli non conobbe perché morto prima, a febbraio dello stesso anno. Alla bambina fu imposto il nome di Costanza.
A Ruggero successe il quinto figlio maschio, Guglielmo, nato nel 1131, che fu detto il Malo: sotto il suo regno fu costruito a Napoli castel Capuano. A lui successe nel 1166 il figlio chiamato anche Guglielmo ricordato come uno dei monarchi normanni più benvoluto dai sudditi, per la correttezza nell'esercizio delle funzioni ed il rispetto per le leggi ed il popolo, per l'istruzione e la mitezza d'indole: per questo fu chiamato il Buono.
Egli sposò il 13 febbraio 1177 Giovanna Plantageneto, che aveva appena dodici anni, sorella di Riccardo cuor di leone.
Viveva nella raffinata corte palermitana, anche se un pò in disparte, la principessa Costanza, l'ultima figlia di Ruggero, sorella di Guglielmo I e zia del Guglielmo il buono. A trent'anni non erano previste per lei ipotesi o possibilità matrimoniali né alcuna possibilità di una successione al trono.
Molti storici si sono chiesti come mai, in una epoca in cui le donne si sposavano a dodici anni, diventavano madri a quindici e a venti erano già morte o rottami, Costanza non si sia sposata prima, malgrado l’alto rango e il fatto di essere comunque un buon partito. Si disse che la donna aveva interesse per la vita monastica, e ci credettero in molti compreso Dante Alighieri che la include nel canto III del Paradiso, ma l'ipotesi non è comprovata però da alcun riscontro.
La sua vita comunque cambiò quando per porre fine ai contrasti da anni esistenti tra Impero, rappresentato da Federico Barbarossa e Regno di Sicilia rappresentato da Guglielmo, si arrivò nel 1184 a un trattato di pace, e fu richiesta in garanzia la mano di questa solitaria Principessa.
Fu perciò deciso il fidanzamento tra il giovane Enrico, figlio del Barbarossa, di 20anni, e la trentunenne Costanza d'Altavilla. Due anni dopo, il 27 gennaio 1186, a Milano fu celebrato il matrimonio.
La principessa normanna così, dalla calda Palermo dovette trasferirsi nelle barbare langhe tedesche, e si trovò proiettata verso una vita diversa da quella vissuta fino ad allora. Nessuna possibilità di successione al trono di Sicilia era ipotizzabile, finché invece nel 1189 si verificò l'impensabile e l'incredibile.
Quell'anno Guglielmo morì, aveva 36 anni e non aveva eredi, e anche la moglie, Giovanna non visse molto più di lui, morì nel 1199 a trentaquattro anni.
Il Regno era in pericolo per la mancanza di un erede, ma ci si era dimenticati di Costanza, l'ultima figlia di Re Ruggero,
La morte del nipote apriva a lei, e al marito diventato intanto Imperatore, - Barbarossa era morto nel 1190 – l' imprevista strada del trono di Sicilia. Costanza in quel momento era l'unica erede legittima e diretta vivente, di Ruggero II.
Ma l' aristocrazia e il clero siciliano, appoggiati anche dal Papato si opposero per la presenza del marito tedesco; essi non amavano i tedeschi e la loro politica, si ribellarono alla sola idea e elessero Re Tancredi, cugino di Guglielmo II, nipote di Ruggero II, unico discendente maschio, per quanto illegittimo, di stirpe normanna.
Ovviamente Costanza, ora Imperatrice. ma soprattutto il marito Enrico, si oppose a questa elezione, rivendicando il proprio diritto ereditario. Perciò, nel 1191, partìrono per la conquista della Sicilia, attraversando l'Italia, L'esercito tedesco, ingrossato da altre truppe di Stati italiani ghibellini, fu fermato davanti alle mura di Napoli, che erano imprendibili e ben difese. Per giunta, a causa di una pestilenza, fu decimato e si fermò nei pressi di Salerno e da lì dovette far rientro in Germania.
Preso da questioni tedesche, l'imperatore abbandonò momentaneamente il problema siciliano, fino a quando nel 1194 il re Tancredi morì e gli successe un bambino di nove anni, Guglielmo III, con la reggenza della madre, Sibilla di Medania.
Quell'anno Costanza era incinta, erano trascorsi ben nove anni di matrimonio, aveva ormai 40 anni, una età all'epoca molto avanzata, ed era già molto se era ancora viva, visto che i suoi fratelli e nipoti erano morti giovani, Molti non credevano alla gravidanza di Costanza. Nacquero voci, dicerie e dubbi sia sulla reale madre che sul padre. Il nascituro sarebbe stato addirittura l'Anticristo
Ciò nonostante, ella si mise in viaggio per raggiungere la Sicilia. Lungo il cammino però Costanza dovette fermarsi per evitare problemi per il prossimo parto.
Enrico, che era un violento e sanguinario, con il grosso dell'esercito proseguì l'avanzata, massacrando e uccidendo tutti quelli che si opponevano, conquistò finalmente Napoli e ne abbattè le mura, si imbarcò e arrivò a Palermo già fiaccata e sottomessa, il 20 novembre.
Costanza con il figlio Federico
Il 25 dicembre del 1194 Enrico, abusando della sua posizione, fu incoronato re di Sicilia nella cattedrale di Palermo, e Costanza se pur lontana divenne Regina di Sicilia, alla presenza di Sibilla e il piccolo re Guglielmo, ultimo della stirpe d'Altavilla, che dopo pochi giorni saranno prima deportati in Germania e poi barbaramente uccisi. Costanza in quei giorni aveva altro da pensare, stava partorendo, ma dopo non mosse un dito né sprecò una parola per tentare di salvare suo nipote e la madre. Secondo Pasquale Hamel, storico e saggista palermitano ( La fine del regno, Nuova Ipsa editore 2012), Costanza “ appare una donna per nulla debole, affascinata da suo sposo giovane e a lui devota al punto da approvarne le ignominiose feroci repressioni”.. e non solo, Costanza sopportò anche che Enrico si facesse incoronare Re di Sicilia, mentre era solo lei a poter essere incoronata Regina legittima e il marito al massimo poteva essere principe consorte.
Giovanni Villani storico del secolo successivo scriveva: “Quando la 'mperatrice Costanza era grossa di Federigo, s'avea sospetto in Cicilia e per tutto il reame di Puglia, che per la sua grande etade potesse esser grossa; per la qual cosa quando venne a partorire fece tendere un padiglione in su la piazza di Palermo e mandò bando che qual donna volesse v'andasse a vederla; e molte ve n'andarono e vidono, e però cessò il sospetto»
Ci sono alcune imprecisioni, come il fatto che non era Palermo, ma Jesi, nelle Marche , mentre sembra vero l'episodio relativo all'allestimento di un tendone al centro della piazza di Jesi, dove Costanza partorì pubblicamente, sotto gli sguardi delle donne maritate per dimostrare la propria maternità al fine di fugare ogni dubbio sulla nascita del figlio. Il maschietto fu chiamato Federico Ruggero.
Costanza regnò dal 1194 insieme al consorte, ma da sola dal 1197 alla morte di Enrico: fu la prima donna, Regina legittima del regno del sud, per trovare un’altra donna al comando del regno passeranno quasi duecento anni.
Si trovò con un figlio di soli 4 anni ed una corte disunita ed infida, nella quale non era ben vista poiché considerata da molti come traditrice del proprio popolo e della famiglia degli Altavilla.
Essendo ormai vecchia, da madre intelligente, assunse il ruolo di tutrice del piccolo Federico e reggente del regno e comprese che per garantire il trono di suo figlio era necessario scendere a patti con la Chiesa per averne la protezione dopo la sua morte. ,Mise perciò il figlio sotto la tutela di Papa e rinunciò al titolo di imperatrice del Sacro Romano Impero. Morì a quarantaquattro anni, il 27 novembre del 1198, e fu sepolta nella cattedrale di Palermo.
.Donna forte e combattiva secondo alcuni,, cosciente del proprio ruolo e dei suoi il suo potere alla Sicilia. Secondo altri traditrice del proprio popolo e della famiglia. Secondo me, più che traditrice, fu succube del marito finche questo fu in vita. E.Horst, scrittore tedesco sostiene ( Federico II di Svevia Rizzoli Ed. 1981) che morto Enrico, Costanza procedette contro i tedeschi e li bandì dal regno e altri li fece arrestare. Secondo questo autore “ Costanza aveva un unico obiettivo: ricostruire la Sicilia come regno normanno, assicurarne l'indipendenza conservandone l'eredità al figlio”.
Il piccolo Federico diventò da grande uno dei più importanti personaggi dell' epoca. Ciò che non era riuscito al padre, l'unione delle corone di Sicilia e di imperatore, riuscì a lui, Federico II di Svevia.


























lunedì 28 marzo 2016

Maria Carolina d' Asburgo


Maria Carolina d'Asburgo

Dopo Giovanna d'Angiò e Isabella del Balzo, ecco un'altra donna, diventata per caso regina di Napoli e di Sicilia, moglie peraltro di un Re per caso.
Come si spiegano questi “casi” ? Lo capiremo leggendo questo breve racconto.
Andiamo nel XVIII secolo, siamo in piena epoca dei “lumi”: era iniziato in tutta Europa quel movimento culturale e filosofico che fu chiamato “illuminismo” per indicare ogni forma di pensiero che "illumina" la mente degli uomini, ottenebrata dall'ignoranza e dalla superstizione, servendosi della ragione e dell'apporto della scienza. Esso si diffuse soprattutto in Francia e presto in Europa, con Voltaire, Montesquieu, Diderot e altri, e arrivò poi anche negli Stati italiani.
Ferdinando I Due Sicile
Dopo più di due secoli di Viceregno – prima spagnolo e poi austriaco - , dal 1734 era rinato il regno autonomo e indipendente di Napoli e di Sicilia, con don Carlos di Borbone. Egli restò a Napoli venticinque anni, facendone una capitale europea alla pari di Parigi e Vienna. Nel 1759, Carlo andò ad assumere la corona di Spagna, come Carlo III , perché il fratello Ferdinando VI, re di Spagna, mori senza eredi. A Napoli lasciava il figlio Ferdinando di otto anni, che diventava Ferdinando IV di Napoli, e Ferdinando III di Sicilia. Ferdinando, napoletano, era il terzo figlio maschio. Prima di lui, oltre a cinque femmine, erano nati Filippo, erede designato al trono napoletano, e Carlo Antonio. Non essendo destinato a assumere incarichi di governo, Ferdinando passò una giovinezza spensierata e non condizionata dal rigore educativo applicato agli eredi al trono. La sua educazione fu affidata peraltro a un pessimo soggetto, il napoletano Domenico Cattaneo, principe di San Nicandro un uomo rozzo, anche se amante delle arti, dai modi plebei, che influì negativamente sul carattere e l’educazione del Principe. Il destino di Ferdinando fu cambiato da due importanti eventi: il primogenito Filippo era stato escluso dalla successione perché “demente”,; il secondogenito Carlo Antonio seguì il padre in Spagna, quale erede e successore, ( l’attuale re di Spagna, Filippo VI di Borbone è diretto discendente di Carlo III di Napoli e nipote di Ferdinando). Per puro caso quindi Ferdinando si ritrovò sul trono di Napoli a soli otto anni. Data la minore età gli si affiancò un Consiglio di reggenza, presieduto dal toscano marchese Bernardo Tanucci. Il giovane re non s'interessò quasi per niente della politica del regno, lasciando la maggior parte dei compiti al Tanucci e agli altri componenti del Consiglio. Gli anni della giovinezza furono spesi dedicandosi alla caccia, agli amici e alle donne, e non si applicò particolarmente allo studio. Tutto quello che accadeva a Napoli veniva regolarmente riferito a Carlo III in Spagna, che continuava perciò a governare indirettamente anche quel regno. Ferdinando era diventato intanto grande, era alto più di un metro e ottantacinque, un fisico magro ma robusto per la vita all'aria aperta, un gran naso che gli costò il soprannome di Re Nasone. In continuità del lavoro di suo padre, egli incrementò gli scavi di Pompei e la produzione delle ceramiche di Capodimonte, protesse gli artisti e si atteggiò a principe illuminato. Era un periodo pacifico, non c’erano grandi guerre in Europa e nel Mediterraneo. Per Ferdinando venne il tempo di pensare a un erede al trono e quindi a un idoneo matrimonio. Ovviamente fu il padre a pensare e a decidere sulla utilità di legare la propria famiglia a quella asburgica d’Austria. Iniziò una fitta serie di contatti con Vienna, con l'Imperatrice Maria Teresa, anche perché li la scelta era facilitata dal numero esorbitante di figlie femmine. Maria Teresa d’Asburgo, granduchessa consorte di Toscana, sposata con Francesco I°, governava Austria, Ungheria, Boemia, Slovenia, Croazia, Friuli e Lombardia. Oltre alle riforme promosse nei suoi regni, in linea con le idee illuministe, come una brava madre, si occupò di trovare un buon partito alle figlie. Maria Antonietta l' aveva data al Delfino di Francia, Maria Cristina al principe Alberto di Sassonia, Maria Amalia a Ferdinando di Borbone duca di Parma. C'erano ancora altre figlie femmine disponibili per il Borbone di Napoli, come Maria Giuseppina, che però si ammalò di vaiolo, e poi Maria Giovanna cui toccò la stessa sorte. Furono entrambe sfortunate. Dopo questi due tentativi andati male restava una terza possibilità, Maria Carolina, tredicesima figlia. Era nata a Vienna il 13 agosto 1752, più grande di tre anni della sorella alla quale fu molto legata, Maria Antoinette. Carlo III accettò questa terza scelta per il figlio, ma Carolina non fu affatto d'accordo e fu solo per obbedienza alla madre che si rassegnò ad andare a Napoli, da quel volgare Nasone. Sono molte le notizie che abbiamo di Maria Carolina, e molte le descrizioni fisiche, oltre ovviamente ai dipinti che la ritraggono nelle varie fasi dell’età. Non è una grande bellezza, ma non mancava di attrattive, scioltezza dei movimenti e la grazie del portamento conferivano un fascino particolare. 
Carolina d'Asburgo
Sua maestà è una bella donna, ha il colorito più fine e trasparente che io abbia mai visto;….occhi larghi, brillanti, di un azzurro cupo, sopracciglie ben delineate e più scure dei capelli – che sono castano chiaro - , naso piuttosto aquilino, bocca piccola, labbra molto rosse, bellissimi denti bianchi… è abbastanza grassottella per non sembrare magra, ha il collo lungo e sottile..” ( Harold Acton, I Borbone di Napoli, Giunti Ed. 1974).
Il matrimonio, come da consuetudine, fu celebrato per procura, nel 1768, malgrado gli sposi non si fossero mai visti prima. Quando Carolina incontrò il marito che l' aspettava a Caserta, lo trovò "molto brutto". A Maria Carolina non piaceva suo marito, Alla Contessa di Lerchenfeld, scrisse, "Lo amo solo per dovere....". Anche Ferdinando non fu attirato da lei, dichiarando, dopo la loro prima notte insieme, "Dorme come un morto e suda come un maiale”. Questo non impedì ai due ragazzi, - Ferdinando diciassette anni e Carolina sedici - , di generare diciotto figli. Il primo fu Maria Teresa, nata nel 1772, poi nacquero Maria Luisa nel 1773, Carlo Tito nel 1775 , Maria Anna nel 1775, Francesco nel 1777,principe ereditario e futuro re, Maria Cristina e Maria Cristina Amalia gemelle del 1779, Gennaro nel 1780, Giuseppe nel 1781, Maria Amalia nel 1782, Maria Cristina nel 1783, Maria Antonietta nel 1784, Maria Clotilde nel 1786, Maria Enrichetta nel 1787, Carlo nel 1788, Leopoldo nel 1789, Alberto nel 1792 e Maria Isabella nel 1793. . Ma per tutti questi figli, c’era anche una ragione politica: con la nascita del primo figlio e ovviamente degli altri, Carolina poteva, secondo gli accordi matrimoniali, entrare a far parte del Consiglio della corona e quindi partecipare alle decisioni politiche.
Nei primi anni di regno, Carolina, insieme al marito, si mostrò favorevole alle idee illuministe come sua madre e suo fratello, i suoi primi venti anni di regno furono incentrati sul rinnovamento dell'apparato politico - economico. Napoli divenne centro di dibattito illuminista, culturale e artistico, con i pittori, Philip Hachert, nominato poi pittore di corte, e anche direttore dei lavori della reggia di Carditello, e Angelika Kauffmann, e con gli accademici economisti e giuristi Gaetano Filangieri, il medico Domenico Cirillo, poi anche Elenonora Pimentel Fonseca, che fu bibliotecaria di Corte. Al dispotismo illuminato di Carolina e del Re si deve la nascita di S. Leucio, un esperimento di socialismo utopico, di industria della seta: nella Real Colonia di San Leucio, vicino Caserta, in un grande edificio adattato a industria , con vari grandi telai e allevamenti di bachi da seta, e case per gli operai e le operaie, dal 1789, fu emanato uno Statuto, una serie di regole, in cui donne e uomini vissero da uguali, ebbero pari compensi, stesse prerogative, la possibilità di studiare e alle donne erano riconosciuti gli stessi diritti degli uomini, e tra questi quello alla eredità, alla proprietà, all'educazione scolastica dei figli e alla scelta del compagno e addirittura l’avanzamento sociale per merito. La seteria funziona ancora oggi, Fu lì che i due si riposavano lontano dalla politica e dalla capitale. Nell'edificio fu costruita una immensa vasca da bagno poiché la regina teneva molto all' igiene personale e alla salute della persona; per questo nella Reggia di Caserta, negli appartamenti privati realizzò, per prima, un “Gabinetto a uso del bagno” e una toilette all’avanguardia in cui introdusse pure l’innovazione dell’allacciamento della vasca alle condotte d’acqua corrente e i rubinetti miscelatori caldo/freddo, tanto da fare a meno degli inservienti di corte, un po’ guardoni e un po’ pettegoli. In quel “bagno” fu sistemato anche uno strano oggetto che ancora più di un secolo dopo, all’indomani della conquista militare del Sud, i funzionari sabaudi addetti all’inventario del palazzo rimasero sconcertati: si trovarono davanti un articolo curioso, mai visto, e di cui non conoscevano l’esistenza (A. Forgione,Made in Naples). Non sapendo come classificarlo nel pubblico registro, lo archiviarono con una semplice descrizione che oggi ci fa certamente sorridere : «Oggetto sconosciuto a forma di chitarra». Era solo il bidet. Ci fu poi Carditello, che fu invece una fattoria con allevamenti di bufali per la produzione della famosa mozzarella, dove i sovrani vivevano a stretto contatto con contadini. Carolina fu inoltre sostenitrice per decenni della Massoneria più progressista e illuminata, si circondò di donne e uomini che avevano idee di cambiamento. Ferdinando, non voleva saperne di governo, c’erano i ministri, lui andava a caccia, anche di donne di qualsiasi ceto sociale: malgrado ciò, il ritratto che se ne fa è quello comunque di un uomo di buon senso, che amava il proprio popolo, forse troppo, poiché ne assumeva spesso gli atteggiamenti e comportamenti. Più intelligente e volitiva del marito, ma soprattutto più vogliosa di potere e governo, Carolina si impose come figura di comando costringendo il Re a licenziare i vecchi ministri lasciati da Carlo, a promuovere come primo ministro il favorito di Carolina l’inglese John Acton, e a sganciare Napoli dall'influenza spagnola e avvicinandosi invece all'Austria..
Tutto l’idillio illuminista cessò con la Rivoluzione francese nel 1789, e soprattutto con la decapitazione di Luigi XVI e della sorella di Carolina, Marie Antoinette. Carolina fu letteralmente scioccata dal trattamento riservato alla sorella alla quale era legatissima, andò in escandescenze alla notizia, e poi in depressione, sviluppò un forte sentimento antifrancese, promuovendo una alleanza con l ‘ Inghilterra, favorita dalla vicinanza dell’ambasciatore inglese lord Hamilton e da sua moglie, la chiacchierata e bellissima Emma Hamilton, che divenne sua intima amica, e dalla presenza dell’ammiraglio Nelson. Iniziarono pertanto le vicissitudini: nel 1799 a Napoli e in tutto il territorio peninsulare fu proclamata la Repubblica, gli eserciti rivoluzionari si avvicinavano alla capitale. Carolina con il Re e tutta la famiglia, abbandonarono la città, protetti dalla flotta inglese di Nelson e si ritirarono a Palermo, difesa dagli inglesi. Anche Ferdinando dovette svegliarsi e prendere coscienza di essere il re e di dover reagire, anche se lui a Palermo si trovava molto bene, al contrario di Carolina che, invece di mettersi tranquilla e attendere periodi più calmi, odiava a morte i francesi, si immischiava sempre più negli affari di Stato, favorendo qualsiasi iniziativa diretta alla riconquista di Napoli. Questo attivismo esagerato tuttavia, mentre fu all’inizio sopportato e ben visto, alla fine , come vedremo, finirà per rovinarla. 
La Repubblica Partenopea durò circa sei mesi. Abbandonata dalle forze francesi, fu abbattuta dalle bande sanfediste del cardinale Ruffo, coadiuvate da truppe russe e turche; la vendetta di Ferdinando e Carolina fu terribile, aiutati anche dall’ l'ammiraglio Nelson, promosso a duca di Bronte, e gli Hamilton. Essi non vollero avallare gli accordi presi dal cardinale Ruffo e fecero giustiziare molti sostenitori della repubblica, tra i quali Mario Pagano, Francesco Caracciolo, ammiraglio napoletano impiccato sulla nave di Nelson, il medico Domenico Cirillo e la scrittrice Eleonora Pimentel Fonseca, impiccata in piazza Mercato. Pochi soltanto furono graziati, più di duecento persone vennero condannate all'ergastolo, molte pene anche minori, più di trecento alla deportazione e all'esilio. Fu l’inizio della fine: con queste condanne, Carolina e Ferdinando scavarono la fossa al regno, anche per il futuro. Nel 1806, essi persero nuovamente il regno, avendo Napoleone messo sul trono di Napoli suo fratello Giuseppe, e poi il cognato Gioacchino Murat. Maria Carolina e Ferdinando si rifugiarono di nuovo in Sicilia, sempre più in mano agli inglesi. A Palermo restò insieme al marito e alla famiglia fino al crollo di Napoleone e di Murat. Ma ormai era passata dalla depressione alla fase isterica, e fu il suo crollo: gli Inglesi che presidiavano l’isola con la segreta, ma neanche tanto, intenzione di impadronirsene, la tolsero di mezzo, costringendola ad allontanarsi. Ormai anziana, ultima figlia di Maria Teresa ancora in vita, provò ad opporsi alla partenza, ma dovette cedere agli ordini inglesi. Decise perciò di andare a Vienna, scelse di viaggiare per mare e il viaggio durò otto mesi. Andò prima a Costantinopoli, poi si mosse con il suo seguito attraverso l’Ungheria e la Polonia. “ Era piccola, curva, invecchiata dalla sventura prima che dall’etàscriveva il conte di Saint-Piest che aveva il compito di accompagnarla durante il viaggio. Arrivò a Vienna il 2 febbraio 1814 e trovò che l’imperatore d’Austria, suo genero. era al momento alleato di Murat, che sedeva al posto dei Borbone sul trono di Napoli. A Vienna morì, all'età di 62 anni, poco dopo, senza rivedere il marito e Napoli. Ferdinando non pianse molto anzi, da li a poco, il 27 novembre dello stesso anno, sposò morganaticamente, la siciliana Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia, alla quale poi donò quella splendida villa sulla collina del Vomero, che ancora oggi porta il suo nome, la Floridiana.




lunedì 7 marzo 2016

Isabella del Balzo, regina di Napoli


Isabella del Balzo

presunto ritratto di Isabella del Balzo
Isabella del Balzo visse a cavallo tra il XV° e il XVI° secolo e fu la classica Regina per caso ( Cesarina Casanova, Regine per caso, donne al governo in età moderna, Ed.Laterza, 2014).Isabella del Balzo d’Aragona (1468 –1533), fu regina di Napoli per brevissimo tempo. Contrariamente a molte sue contemporanee, fu moglie felice e fedele, non ci furono chiacchiere o voci di tradimenti, o altri comportamenti particolari, da parte nessuno storico, e dovette cedere il trono solo davanti alla resa del marito, ultimo Re aragonese, e al suo esilio. Siamo nel regno di Napoli, dal 1440 è governato dagli Aragona: fu conquistato da Alfonso I°, già re di Sicilia.. Ma il regno non trovava pace, aggredito da ogni parte dalle potenze dell’epoca, Francia e Spagna, il sacro romano Impero, Papato, Repubblica di Venezia che costituivano leghe e alleanze per abbatterlo e conquistarlo, salvo poi a litigare tra loro per la divisione delle spoglie, come i peggiori briganti. Gli Aragonesi, con i re Ferrante ( diminutivo di Ferdinando), figlio di Alfonso I°, Alfonso II° e Ferrandino, ( Ferdinando II°), come fecero i Normanni prima di loro, combatterono contro tutti, ma non potevano farcela, erano circondati non solo da nemici esterni, ma anche e soprattutto interni, dai baroni che si schieravano ora con uno ora con altri, ma insieme contro il trono. La capitale comunque non era una preda facile da prendere, ben protetta dalle alte mura, dai castelli che controllavano gli accessi alla città sia da terra che da mare. Ne sapeva qualcosa anche Alfonso I°, che aveva preso la città solo con l’inganno, attraverso cunicoli e fogne. Isabella era pugliese, figlia di Pietro del Balzo, duca di Andria e principe di Altamura, morto ucciso nel 1491, e di Maria Donata del Balzo Orsini, duchessa di Venosa. Pietro era Gran Connestabile del Regno di Napoli. Non ci sono descrizioni sull’aspetto fisico di Isabella, ma il dipinto che la raffigura ci mostra un volto dai lineamenti regolari, capelli neri raccolti, una tranquilla bellezza dell’epoca. Il 28 novembre 1486 Isabella aveva sposato Federico, fratello di Alfonso, duca di Calabria e erede al trono, e perciò non era destinato a regnare. Il matrimonio appariva felice, dall’unione erano nati cinque figli, mentre Federico aveva avuto già una figlia da un precedente matrimonio. La guerra per conquistare quei territori continuava tra alti e bassi, già nel 1495 Carlo VIII re di Francia, aveva invaso il regno, ma davanti alle opposizioni di Spagna, Venezia e Papato, era tornato precipitosamente indietro, lasciando via libera a Ferdinando, il giovane sovrano aragonese. Se allarghiamo un po’ il nostro orizzonte, molte cose erano cambiate nel panorama internazionale: circa quarant’anni prima era finito l’altro impero millenario, quello romano d’Oriente, Costantinopoli era caduta in mano ai turchi, che avanzavano in Grecia e nei Balcani. La Spagna si era unificata e si avviava a diventare una grande potenza con Ferdinando il cattolico, aragonese, e Isabella di Castiglia, quella, per intenderci, delle tre caravelle a Cristoforo Colombo. Ma l’avvenimento più importante e che avrebbe cambiato la storia del mondo e che nessuno al momento non aveva ancora percepito, era proprio quello di Colombo: 4 anni prima, nel 1492, questo ignoto marinaio, con tre piccole navi, era sbarcato nelle Americhe. In Italia si continuava a combattere per il regno del sud. Ferdinando II, detto Ferrandino, morto nel ‘96 non aveva figli, e pertanto fu lo zio Federico, il marito di Isabella del Balzo, a succedere al nipote con il nome di Federico IV di Napoli ed Isabella divenne la Regina consorte. Isabella viveva in Puglia, si trovava nella provincia di Lecce quando apprese che il marito era diventato Re e di conseguenza lei Regina. Da Lecce, perciò, si mise in viaggio per raggiungere il marito che l’aveva convocata a Barletta per incontrarla. Si rifugiò poi nel castello di Bari con i figli e poi attese inutilmente il marito. Ma il re non venne, anzi, dopo quattro mesi, le mandò a dire di raggiungerlo nella capitale. Dovette abbandonare la famiglia, muoversi, sballottata da un paese all'altro, tra mille pericoli a causa della guerra in corso, prima di mettersi in viaggio per la capitale per l’incoronazione. Ma anche a Napoli dovette attendere molto tempo, poiché il re “guerreggiava lontano”, e sembrava che le sorti della guerra volgessero al meglio. Cosi il 16 febbraio del 1498, Federico entrò in Napoli dove trovo finalmente la moglie che lo aspettava in Castelnuovo. La capitale era percorsa da bande di mercenari, violenze e ruberie dappertutto, la popolazione era lacera e affamata, gli edifici distrutti. “ quando Isabella del Balzo nell’ottobre del 1497 entrò in Napoli, Regina, e alcuni mesi dopo, nel febbraio del 1498, potè a lei ricongiungersi il marito re Federico, quelle due anime, sbattute da tante tempeste, forse trepidavano ancora alle immagini dei passati pericoli e nel vago presentimento dei nuovi, che già si disegnavano in lontananza”. Così racconta in “ Storie e leggende napoletane”, Benedetto Croce, che descrive le vicissitudini di questa donna, regina per forza, esaminando un poemetto scritto da un contemporaneo della stesa regina , tal Ruggiero di Pazienza di Nardò, un paese in provincia di Lecce, che fu chiamato “Lo Balzino”. Il suo regno durerà poco, solo cinque anni: è considerata da alcuni storici la regina più sfortunata di ogni tempo. Il marito fu un re che stette sul trono di Napoli senza mai sedersi, per le tante battaglie a cui partecipò. Federico cercò anche, nei limiti del possibile, di mantenere buoni rapporti con tutti, anche con il Papato, retto all’epoca da Alessandro VI, un tal Rodrigo Borgia, che era meglio non inimicarsi. Nel 1498 era Re di Francia Luigi XII, che subito avanzò pretese al trono di Napoli. Si accordò con Ferdinando II di Aragona, cugino di Federico, noto con il nome di Ferdinando il Cattolico, per spartirsi il territorio del regno. Federico, nulla sapendo di questi accordi, si fidò dei cugini spagnoli e aprì loro le fortezze calabresi, pensando che sarebbero arrivati in suo soccorso: ma mai fidarsi dei parenti, perché gli Spagnoli erano d’accordo con i francesi. Federico e le truppe napoletane perciò si trovarono a combattere su due fronti, uno settentrionale contro i francesi che si erano già avvicinati a Napoli da nord, e uno meridionale contro i traditori spagnoli. Ovviamente Federico da solo non poteva farcela, le potenze francesi e spagnole ebbero la meglio. Si ritirò a Ischia, nel castello che aveva già dato prova di essere imprendibile, dove fu raggiunto dalla moglie Isabella e i figli. Nel 1501, non potendo più farcela, Federico pensò di arrendersi, ma non ai parenti spagnoli, egli preferì i francesi, dai quali fu trattato meglio: andò in esilio in Francia dove morì due anni dopo a Tours. Il patto tra Francesi e Spagnoli durò poco, ben presto si scontrarono come i peggiori banditi per la spartizione del bottino; gli spagnoli, comandati da Consalvo di Cordova furono assediati a Barletta, in Puglia. Fu qui, durate l’assedio, che si svolse la famosa disfida poi tramandata nei romanzi risorgimentali. Il 14 maggio 1503, il Gran capitano don Consalvo di Cordova entrò a Napoli e tutto il sud divenne una provincia spagnola. Isabella, ancora a Ischia, fu costretta anche lei all'esilio, insieme ai suoi figli Cesare, Isabella e Giulia e alcuni membri della sua corte si diresse prima a Sabbioneta (1507-1508) dalla sorella Antonia, moglie di Giovan Francesco Gonzaga, e poi a Ferrara, ospite del Duca Alfonso d'Este, dove morirà il 22 maggio 1533. L’erede al trono, Ferrando, fu condotto prigioniero in Spagna e lì sembra fu chiuso in un convento deve non si ebbero più notizie. Cosi finì la dinastia Aragonese di Napoli.







martedì 1 marzo 2016

Giovanna I d'Angiou


                      Giovanna I d'Angiò di Napoli

Giovanna era napoletana, nata a Napoli nel 1327: era la figlia terzogenita, o secondo alcuni, quartogenita di Carlo, duca di Calabria, che era morto trentenne, nel 1328 e nipote del re Roberto che si prese cura di lei.
Ad appena sei anni, era stata data in moglie al cugino Andrea d’Angiò del ramo di Angiò di Ungheria, ma erano quei matrimoni combinati per ragioni politiche e perciò assolutamente infelici.
 Era l’epoca della architettura gotica, che fece la sua apparizione a Napoli con la basilica di S.Lorenzo e di S. Chiara, mentre l’architettura militare trovò la sua massima espressione in Castel nuovo e forte di S. Elmo, nel campo della scultura Tino da Camaino, da Siena, mentre nella pittura era il tempo di Giotto e di Simone Martini.

Giovanna I Regina di Napoli
Il nonno Roberto, il re morì nel 1343, altri eredi non ce ne erano, tranne la sedicenne Giovanna e il marito Andrea di Ungheria.. La nuova regina ascese perciò al trono all'età di 16 anni, e fu una delle prime donne europee a regnare per proprio diritto ereditario. Giovanna non era una grande bellezza, viene descritta: “ Né grassa né magra, bella el vixo tondo, dotatta bene de la virtù divina d’animo grato, benigno et jocondo, prudente e saza”. Il Summonte la definisce " graziosa nel parlare, savia e attenta nel procedere".
Aveva ricevuto una educazione raffinata e colta, mentre Andrea era un tipo rozzo e ignorante.
Giovanna aveva da piccola iniziato ad intrattenere una relazione amorosa con un altro cugino, Luigi di Taranto. Andrea d’Ungheria non era ben visto a corte, e il 18 settembre 1345, fu assassinato ad Aversa. Pesanti sospetti furono gettati sulla regina stessa, che molti indicavano come la vera mandante dell'omicidio del marito. I responsabili, individuati in Roberto Cabano, gran siniscalco del regno e il Conte di Terlizzi,  furono tutti giustiziati in piazza Mercato.
Malgrado la cultura e l'arte, a Napoli come anche in altri Stati dell'epoca, i sistemi di esecuzione della pena di morte erano feroci e sanguinari: l'esecuzione era pubblica per comunicare a tutti i sudditi e cittadini, ricchi e poveri, l'avvenuta giustizia. Non ci si accontentava poi solo di uccidere, ma bisognava offrire unpo spettacolo al popolo radunato in pizza Mercato. Leggiamo il racconto della uccisione dei colpevoli (?) dell'assassinio di Andrea di Ungheria, come è descritto da B.Capasso in “ Masaniello, la sua vita, la sua rivoluzione, Luca Torre Editore, 1993, pag. 25/26 ): “Il supplizio era accompagnato da atti della più nefanda e inaudita barbarie. I rei dopo essere stati tormentati con tenaglie infuocate e frustati per le principali vie della citàà, giunti nella piazza, chi semivivo e chi morto venivan gittati nel fuoco. Allora il popolo accorso in gran numero all'atroce spettacolo, slanciandosi quasi tra le fiamme istesse, ne estraeva i corpi degli infelici, e con le accette li spaccava come legna, ed indi ritornava a gittarli nel fuoco......”.Poco tempo dopo, Giovanna metteva al mondo Carlo, figlio del defunto Andrea. Il fratello della vittima, Luigi, re d'Ungheria, decise di infliggere una punizione esemplare alla cognata Giovanna e perciò si preparò all'invasione del regno. A Napoli, Giovanna, giovane vedova, sposava l' altro cugino Luigi di Taranto, di cui sembrava innamorata. Davanti all’invasione ungherese, e al tradimento di molti baroni, Giovanna scappò da Napoli in nave, diretta ad Avignone presso il papa e dove fu raggiunta, poche settimane dopo, dal marito.
San Lorenzo
Il 1348 fu un anno pessimo per tutta l’Europa, l’anno della peste nera, l’epidemia che proveniente, sembra dal mar Nero e portata da marinai, colpì tutti gli Stati e le città europee, dal nord a sud, con centinaia di migliaia di morti. Nulla si poteva fare contro questo morbo, solo rassegnarsi e aspettarne la fine. Chi poteva scappava dalle città e si rinchiudeva nei castelli o nelle ville di campagna. Fu l’avvenimento che ispirò poi Giovanni Boccaccio a creare il Decamerone. Messer Giovanni aveva vissuto a Napoli circa 10 anni, da adolescente, capiva e parlava bene anche il napoletano. Ma la peste del ’48 portò bene a Giovanna: il nemico ungherese infatti si allontanò dal regno, lei insieme al marito tornò nella sua capitale e così, nel gennaio del 1352, furono solennemente incoronati sovrani di Napoli. Luigi restò sul trono insieme alla moglie, circa dieci anni, in pace e tranquillità fino alla sua morte. Giovanna invece, non trovava pace e nel 1363 tornò a sposarsi e scelse uno sconosciuto re del Regno di Maiorca, Giacomo IV. Ma tre anni dopo si separò dalla moglie (sebbene non richiese mai l'annullamento) e abbandonò la Corte napoletana, con l'obiettivo di riconquistare il regno di Maiorca e le altre sue contee, ma sconfitto si ritirò in Castiglia dove morì nel 1375.
 Nel frattempo Giovanna e i suoi ministri avevano provato anche a riconquistare la Sicilia ( abbandonata nel 1282 a seguito dei Vespri siciliani), ma nel 1372 l’ isola fu definitivamente persa e, con il solito intervento papale, le fu riconosciuto lo status di regno indipendente di Trinacria con il re Federico IV di Aragona, in cambio di un indennizzo di 15 000 fiorini annui a Giovanna e ai suoi successori. Tra altre varie vicende, Giovanna ormai quasi cinquantenne , il 28 marzo 1376, tornò a sposarsi, per la quarta volta, con Ottone IV di Brunswick.
  Rimasta senza eredi per la morte prematura dell'unico figlio Carlo, avuto dal primo marito Andrea, Giovanna designò suo erede il cugino e nipote Carlo di Durazzo. Nel 1380, Carlo di Durazzo venne in Italia per attaccare il regno senza aspettare il suo momento di erede. La regina reagì revocandogli la successione e nominando invece suo erede Luigi I° d’Angiò, fratello di Carlo V di Francia.
Nel luglio 1381 Carlo di Durazzo, dopo aver sconfitto le truppe napoletane entrò a Napoli e mise sotto assedio il castel nuovo, il Maschio angioino, dove la regina si era rifugiata e resistette a lungo, fino a quando dovette arrendersi. Giovanna fu quindi imprigionata prima a Nocera, fino a marzo del 1382, poi fu trasferita nella lontana fortezza di Muro lucano, dove, per ordine del nuovo re, il 12 maggio 1382, fu raggiunta dai sicari e assassinata.
Castel dell'Ovo
Nel giudizio degli storici, Giovanna I appare come una donna misteriosa e avvincente, la cui personalità sfugge, malgrado gli studi e le ricerche per chiarire pettegolezzi, leggende, voci, illazioni e supposizioni gratuite. Anche se definita “prudente e saza(saggia)”, per alcuni fu, invece, una Messalina crudele e viziosa, immorale e cinica, dalle torbide e sconce passioni, una ninfomane svergognata ecc…Secondo altri una disgraziata ragazza travolta da qualcosa di più grande di lei, senza esperienza, senza forza, senza appoggi, una povera donna che cercò invano – 4 matrimoni e amanti vari- per tutta la vita un amore vero, forse l’unico fu quello con Luigi, un amico disinteressato, passando di delusione in delusione. Probabilmente si è fatta anche molta confusione con l’altra regina Giovanna, la seconda, una Angiò Durazzo, che arriva al trono già quarantenne, ma darà spunti anche a illazioni, pettegolezzi ecc. come chi l’aveva preceduta. Nel dubbio si trova anche Benedetto Croce, filosofo, letterato e storico ne “ Storie e leggende napoletane”, quando riferisce che la storia della regina Giovanna lo “ atterriva con la figura di una maliarda, di una creatura perfida e mostruosa che seduceva gli uomini per perderli”.“ ma quale delle due Giovanne, entrambe regine di Napoli della casa d’Angiò, porse occasione alla lussuriosa e sanguinosa figurazione? ”.. dopo aver tracciato alcuni ritratti di entrambe le regine e riportato i commenti di alcuni autori contemporanei di entrambe”, egli dice – e io sono d’accordo -:” propendo a credere che le due immagini si sovrapposero in Napoli a formare l’unico tipo leggendario”. In “ Regine per caso”( ed. Laterza 2014, di Cesarina Casanova), le due Giovanne, sulla base del classico storico di F.Guicciardini del ‘500 sono “ degradate ad anomalie, in balia della colpevole debolezza del loro sesso, incapaci di governare e di decidere autonomamente da favoriti e amanti, dai quali anzi sarebbero state manipolate e subornate” 





domenica 18 ottobre 2015

La piscina





 

 

“…… si trovava al livello del pavimento della Piscina Mirabilis. L’acqua proveniente dal bacino defluiva sotto pressione superando una griglia di bronzo in una galleria ricavata nella parete, poi attraversava vorticosa la conduttura ai suoi piedi e infine veniva incanalata all’interno di tre tubatura disposte a ventaglio che scomparivano sotto i lastroni di pietra alle sue spalle, rifornendo la città e il porto di Miseno. Il flusso dell’acqua era controllato da una chiusa, incassata a livello della parte e azionata da un maniglione di legno attaccato a una ruota di ferro….”.   
 Questa breve descrizione è tratta da “ Pompei”, il romanzo di  Robert Harris, dove, con qualche piccola imprecisione e molta fantasia, si narra della famosa eruzione del 79 d.c. che distrusse le citta di Pompei, Ercolano  e quelle vicine:  Marco Attilio, “ aquarius ” – una specie di ingegnere idraulico -  responsabile del grande acquedotto Augusteo, giunto a Miseno, dove è ancorata la flotta del Tirreno, si rende conto che le sorgenti d’acqua vanno  esaurendosi e si mescolano allo zolfo; la sua indagine inizia proprio dalla Piscina, che all’epoca non era ancora “mirabilis”, ma una normale vasca di raccolta di acqua.  I fatti si svolgono nel mese di agosto del 79 d.c., sotto l’imperatore Tito. L’acquarius  dovrà convincere dell’imminente pericolo Plinio, il comandante di Miseno e altri personaggi. Tutti conoscono il finale di quegli avvenimenti, ma ovviamente, il protagonista e la sua ragazza forse si salveranno.
Questo racconto mi tornava in mente  quando, qualche tempo fa, visitavo la Piscina Mirabilis  di Bacoli.  Bacoli, chiamata anticamente Bauli,  è, oggi,  un Comune di quest’area,  a pochi chilometri da Pozzuoli e da Napoli; comprende le località di Baia, Fusaro, il lago Averno e Lucrino,  Miliscola e Miseno, e Cuma, antichi centri  greco-romani.




Miseno oggi

 

Per chi legge e non è nato e vissuto qui,  forse è necessaria qualche sommaria informazione sui luoghi e la loro storia.
Tutta l’area del golfo di Napoli, dal Vesuvio a Capo Miseno e alle isole di Procida e Ischia, è di origine vulcanica:  in particolare la zona di Pozzuoli e di Bacoli fa parte del sistema dei campi Flegrei, una serie di piccoli crateri, che vanno da Agnano alla più famosa “ Solfatara”, e più avanti il “ Monte nuovo”, chiamato così perché si è formato solo nel 1538. 
 Sui nomi dei luoghi sono fiorite, nell’antichità, storie e leggende:  Miseno il trombettiere – l’eolide Miseno, del quale nessuno più valido ad animare i guerrieri con il corno, e ad accendere Marte con il suono ( Virgilio, Eneide VI,163/165 ),  di Enea, il troiano;  Baia, da un ignoto Baios, un compagno dei viaggi di Ulisse,  Cuma,  sede della Sibilla, e il lago Averno dove era stato individuato uno degli ingressi all’Averno, il mondo dei morti, dove sarebbero scesi  Ulisse e Enea, per consultare l’indovino Tiresia.

Sui perché questi luoghi si rifanno alla guerra di Troia, all’ Iliade e all’Odissea, sono stati scritti libri su libri, formulate teorie e ipotesi che non posso qui raccontare, ma sembra sufficiente dire che tutti gli archeologi e gli storici concordano sul fatto che i racconti e l’individuazione di questi siti, nascono dai viaggi dei coloni greci nel Tirreno.
Tutta l ‘area è comunque  piena di siti archeologici, che ricordano non solo la colonizzazione greca – Pozzuoli, Ischia, Procida, Cuma, e la stessa Neapolis -  ma anche la conquista Romana, in ogni angolo e ogni località,  si trovano edifici, costruzioni,  sia civili, sia militari, religiosi di epoca greco-romana, ma tutti sono abbandonati, maltenuti, spesso sconosciuti dagli stessi residenti, e inaccessibili, senza una indicazione , una guida, nulla…
Baia, la città sommersa – ricordo una Torre in mezzo al mare, che era probabilmente l’ingresso del porto, oggi crollata - in realtà, fu  un luogo di villeggiatura alla moda, e di “ otium”, per i ricchi romani e i personaggi di rilievo dell’epoca imperiale, qui Nerone fece uccidere la madre Agrippina da Aniceto, comandante della flotta imperiale del Tirreno di stanza lì vicino, a Miseno,  e Miliscola deve il suo nome a “ militum schola”, la caserma dei soldati della flotta.

A Miseno, l’imperatore Ottaviano Augusto, circa nel 27 a. c., aveva istituito la base navale della “ Classis praetoria Misenensis”, sfruttando quella posizione geografica,  che  permetteva il controllo del Tirreno, e un rapido intervento nel mare nostrum.  L’altra base navale, per il controllo dell’Adriatico, era stata istituita presso Ravenna. Oltre alla posizione geografica, Miseno offriva un vero e proprio porto naturale, che poteva contenere almeno fino 250 imbarcazioni:  quinqueremi, quadriremi e triremi, liburne e altre ancora.  Il porto sfruttava un doppio bacino naturale, quello più interno di circa 3 km di circonferenza (detto Maremorto o Lago Miseno), in epoca antica dedicato ai cantieri e alla manutenzione navale, e quello più esterno, che era il porto vero e proprio. Gli storici, sulla base delle testimonianze d’epoca, calcolano che vi fossero non meno di 10.000 militari di stanza a Miseno, Bacoli e dintorni, se poi a questi aggiungiamo donne, bambini e schiavi, e quello che oggi chiamiamo indotto, fornitori vari, servizi e poi trattorie, taberne e popinae, e lupanari che, immagino, non potevano mancare, si può ritenere che  la zona fosse densamente popolata.
 Il comandante della flotta era il “Praefectus classis”, ovvero il comandante dell'intero bacino del Tirreno. Dalla sua residenza di Miseno, Plinio il vecchio, comandante della flotta nel 79 d.c., assistette alla eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei, Ercolano, Oplontis e Stabia, ed egli stesso vi trovò la morte, essendosi imbarcato per vedere da vicino il fenomeno e anche per portare aiuto alle popolazioni.
Fatta questa premessa, qualcuno potrà chiedersi: ma che c’entra la Flotta imperiale romana con la piscina del titolo ?
La parola latina “piscina” – che ancora conserviamo e usiamo in italiano – indicava una vasca con acqua, perciò anche serbatoio, cisterna. E questa era la funzione di questa Piscina di Bacoli, una cisterna di acqua potabile, si ritiene la più grande mai costruita dagli antichi Romani, ed aveva la funzione di approvvigionare le numerose navi e il personale addetto, della flotta ormeggiata nel porto di Miseno.


 L’aggettivo “mirabilis” – meravigliosa, straordinaria – fu aggiunto molti secoli dopo, dal poeta Francesco Petrarca, in visita al luogo, quando, anche se non più utilizzata e ormai in rovina, era ancora piena d’acqua e bisognava entrarci con una barca.
 La Piscina fu costruita in età augustea, in concomitanza con la decisione di stabilire in quel luogo l’ormeggio della flotta del Tirreno; venne interamente “ scavata” nel tufo della collina vicina al porto, a otto metri sul livello del mare. A pianta rettangolare, misura quindici metri di altezza, settantadue di  lunghezza e 25 di larghezza, e aveva una capacità di circa 12.000 metri cubi di acqua. La piscina era, ed è, sormontata da un soffitto con volte a botte, sorretto da 48 pilastri. a sezione cruciforme, ed è suddivisa in cinque navate longitudinali e in 13 trasversali. L’acqua veniva prelevata dai pozzetti realizzati su una terrazza sopra le volte, con macchine idrauliche e da qui, canalizzata verso il porto. Un’opera immensa, se ci si pensa, tutta scavata e costruita a braccia, con migliaia di schiavi.

 Tutta la struttura muraria e i pilastri erano ovviamente ricoperti da materiale impermeabilizzante. L’illuminazione e l’areazione dell’ambiente erano fornite dagli stessi pozzetti superiori, come ancora oggi vediamo, e anche da una serie di finestre poste lungo le pareti laterali. Sul fondo della piscina, nella navata centrale, abbiamo visto una “ piscina limaria”, una piscina nella piscina, di circa 20 metri per 5, abbastanza profonda, più di un metro, che era utilizzata come vasca di decantazione e di scarico, per la pulizia e lo svuotamento periodico della cisterna. La piscina era alimentata da uno dei principali acquedotti costruiti dai Romani, l’acquedotto Augusteo.
L’acquedotto era stato costruito  tra il 27 a. c, e il 14 d. c.,  iniziava dal fiume Serino, sull’altipiano Irpino – fino a pochi anni fa e ancora oggi a Napoli è conosciuta l’acqua di Serino -  era di circa 100 Km: scendendo con lieve pendenza,  riforniva le citta di Nola, Acerra, Atella, Pompei, Ercolano, Napoli – dove transitava sui cosiddetti Ponti Rossi a Capodimonte -, Pozzuoli, Baia, Cuma e terminava a Miseno.
 L’acqua scorreva in condutture di argilla, o più spesso di piombo,  materiali che potevano scoppiare in caso di pressione  troppo alta: Vitruvio, architetto, ingegnere e scrittore dell’epoca augustea, nel suo “De Architectura”, in 10 libri, nel libro 8° dedicato all’Idraulica, già a quel tempo metteva in guardia dai possibili rischi per la salute dovuti al piombo, e diceva che l’acqua dei tubi di argilla è più sana di quella dei tubi di piombo, e sconsigliava perciò di far passare l’acqua  attraverso i tubi di piombo.
Esterno Piscina
Gli acquedotti romani sono opere ancora oggi ammirate e ammirevoli, ancora oggi i resti di quegli acquedotti li troviamo un po’ dappertutto, a Roma imperiale, e anche altre città dell’impero, l’approvvigionamento idrico era eccezionale, sia nelle case private – privilegio di pochi ricchi -, sia nelle fontane pubbliche.
Plinio il vecchio, nella “ Naturalis historia”, studioso naturalista, e anche comandante della flotta di Miseno, affermava( XXXVI, 123): “ se ci si rende conto della sovrabbondanza di acque pubbliche, nei bagni, nei canali, in case, giardini e terreni fuori città, delle strade percorse dall’acqua, degli acquedotti costruiti, delle montagne scavate e delle valli spianate, si è costretti ad  ammettere che su tutta la terra non si è mai dato niente di più ammirevole”.
L’acquedotto Augusteo cessò di funzionare, come tante altre cose, con il decadere dell’impero, l’opera fu completamente devastata. Molti secoli dopo, nel XVI°, fu il vicerè don Pedro di Toledo, nella sua opera di ricostruzione, ristrutturazione e allargamento della città di Napoli e dintorni, che  ipotizzò un possibile restauro, ma restò solo un’ipotesi. Poi se ne riparlò alla metà dell’800, con i Borbone, ma il regno di Napoli finì nel 1860.
La visita alla piscina ha smentito, per quanto mi riguarda e, almeno in parte, i giudizi negativi:  l ‘ edificio  della  piscina mi è sembrato  abbastanza ben indicato e discretamente mantenuto, il che, in tempi di crisi come quelli attuali, non è poco: appositi cartelli indicano gli orari delle visite e le scale interne per la discesa, appaiono ben tenute. Le chiavi della piscina, si dice, sono tenute da una anziana signora che abita lì vicino, come unica custode del sito. Si dice anche che per questo motivo sono molte le difficoltà di rintracciarla, per poter effettuare una visita. Per superare queste difficoltà e garantire una migliore gestione, qualcuno già teme un accordo tra privati e Soprintendenza, che comunque, sembra, abbia provveduto al restauro.

pozzetto visto dall'interno

 La discesa è emozionante, camminare li dove c’erano, 2000 anni fa, litri e litri di acqua, immaginare  gli schiavi addetti alle pulizie, la sensazione di trovarsi, non in una vasca ma in un tempio, o in una cattedrale sotterranea, in puro stile  gotico, con la luce del sole che penetra dai pozzetti  superiori,  creando giochi di luci ed ombre e magiche e particolari atmosfere. E’ In questa cornice quasi surreale che l’attore- regista John Turturro ha inserito, nel film “Passione”, dedicato alla musica di Napoli  – che consiglio di vedere  - la scena con  il “ canto delle lavandaie del Vomero”, del XIII secolo, che con ”Jesce Sole”, sono i canti napoletani conosciuti, più antichi.