La mattina del 14 febbraio 1861, una piccola nave, una corvetta battente bandiera francese con a fianco un vessillo bianco con uno stemma dorato al centro, navigava lentamente nella foschia del mar Tirreno, diretta a Terracina. Non c’era vento, l’aria era fredda, umida e immobile, stagnante, il mare calmo. A bordo, non era una giornata come le altre: comandante, ufficiali e marinai avevano indossato le uniformi di gala, ma non c’era nessuna festa. La” Mouette “, - il Gabbiano, questo il nome della nave -, sarebbe passata alla storia per gli ospiti che conduceva: Francesco II di Borbone, re – ultimo - delle due Sicilie, e la moglie Maria Sofia Wittelsbach di Baviera.
Foto del 1867
Essi avevano da poco lasciato la fortezza di Gaeta, dove avevano resistito, per tre mesi, all’assedio da terra e da mare, delle truppe piemontesi. Entrambi giovanissimi, lui 25 lei 21 anni, il re indossava una semplice uniforme blu, priva di ogni decorazione, Maria Sofia portava un semplice abito scuro e un cappellino con una piuma verde. Francesco e Sofia erano sul ponte, in silenzio guardavano verso quella terra, la propria terra, che stavano abbandonando.
Era la fine di uno Stato, dello Stato delle due Sicilie, il regno secolare fondato nel 1130 da Ruggero II, il normanno, il più grande territorio della penisola italiana. Francesco aveva detto a tutti che sarebbe tornato presto, ma non ci credeva, era solo apparenza.
(Francesco II di Borbone, fotografia del 1860)
Ripensava a quanto era successo, con Garibaldi, dalla Sicilia fino a Napoli il 7 settembre 1860, con il cugino Vittorio Emanuele, che non gli aveva mai dichiarato guerra,e tradimenti, corruzione, incapacità. Il “caro” cugino si era già preso, senza alcuna dichiarazione di guerra, la Toscana, con zio Leopoldo Lorena, che se ne era scappato senza sparare un colpo, poi Parma e Piacenza con Maria Luisa Borbone e il figlio piccolo di pochi anni, e Francesco di Modena, e l’Emilia-Romagna e le Marche.. Eh, ma qui aveva dovuto aspettare e combattere. Di questo Francesco era soddisfatto. Ma come era stato possibile che le sue truppe, quelle truppe, quei soldati che si erano battuti bene sul Volturno e poi a Gaeta, non erano riusciti a buttare a mare una banda di disperati in camicia rossa? E tutti quegli altri che non aveva potuto accogliere nella fortezza, e che aveva mandato oltre i confini dello stato pontificio, e che alimentavano la resistenza, e che ancora resistevano nelle fortezze di Messina e Civitella del Tronto. Si sentiva tranquillo, come liberato da un peso, gli dispiaceva più per Sofia che per lui stesso.
Sofia, la moglie, a Gaeta era diventata una eroina, era stata vicina a lui, e a tutti i soldati che l’avevano apprezzata.
Ma quanti pensieri si affollavano nella mente: la sua vita, la madre che non aveva conosciuto, Cristina di Savoia, il padre Ferdinando,quello si che era”nu’ rre”, avrebbe potuto prendersi tutta l’Italia se solo avesse voluto. E il palazzo di Portici, dove aveva trascorso l’adolescenza e i suoi precettori, e poi Sofia, bellissima quando l’aveva vista la prima volta a Brindisi, e poi gli ultimi fatti…. Avrebbe potuto restare a Napoli? Avrebbe dovuto far sparare sulla città? Traditori e incapaci quei generali ai quali si era affidato: Nunziante un traditore, Lanza un incapace, che aveva ceduto Palermo, e Landi, a Calatafimi, dove stava vincendo e si era ritirato, e anche suo zio Leopoldo, il conte di Siracusa che faceva il liberale, e i capitani della flotta che si erano consegnati ai piemontesi? E Filangieri, troppo vecchio per intervenire,….e tutti gli altri dalle Calabrie agli Abruzzi, qualcuno era stato anche ammazzato dalle truppe arrabbiate. E la Costituzione, data ormai troppo tardi. E quel fetente di Liborio Romano, che, come gli avevano riferito, aveva arruolato i camorristi e guappi nella polizia, per mantenere l’ordine pubblico in città. Se lo ricordava quel giorno del 6 settembre del ’60, quando prima di partire da Napoli, tutti i ministri andarono a salutarlo e a don Liborio, con quella sua aria tronfia e arrogante, aveva detto” don Libò, guardat’ o cuollo”, cioè bada alla tua testa, che se torno….. e ricordava il ministro Michele Giacchi al quale aveva detto:” voi sognate l’Itala e Vittorio Emanuele; ma non vi resteranno neanch’ ll’uocchie pe’ chiagnere” - purtroppo sarete infelici -.
(Litografia,Palazzo Doria d’Angri,Napoli 1860, ospitò Garibaldi appena giunto a Napoli)
Francesco in quel momento non poteva saperlo, ma mai previsione fu più azzeccata.
Poi aveva trovato a Ritucci,” nu brav’ommo”, fedele ai Borbone, un gentiluomo all’antica, al contrario di quel nano di Cialdini, quel piemontese arrogante, e quel vigliacco cialtrone di Persano, l’ammiraglio. Forse, in tutto questo schifo, era meglio Garibaldi, almeno era onesto ed era stato pure licenziato dal Savoia. Bravo Ritucci, mai avrebbe tradito e si era comportato bene sia al Volturno sia a Gaeta. E Beneventano del Bosco, irruento, audace, forse troppo, e fedele, e tutta la truppa, ripulita da traditori, corrotti, incapaci e vigliacchi.. In effetti aveva sbagliato, doveva “montare a cavallo”, come gli suggerivano la moglie e i fratelli e fermare l’avanzata garibaldina, prima, forse nella piana a sud di Salerno e non scappare dalla capitale. Sarebbe cambiata qualcosa? Chissà! Quel Napoleone, un doppiogiochista, l’Inghilterra non ne parliamo, mai fidarsi di un inglese, ce l’avevano già con papà, per quegli affari che volevano combinare in Sicilia, e i siciliani fissati con l’autonomia da sempre, e mi dispiace di mio cognato Francesco Giuseppe, che ha solo minacciato, ma non ha mosso un dito. Intanto, c’erano già rivolte in tutto il sud, si erano accorti che i fratelli del nord, i liberali, non erano poi tanto fratelli e neanche tanto liberali, a cominciare da quello che era successo a Bronte.
E Sofia? Una eroina per i soldati, sarà ricordata sicuramente.
Ridotti a vivere sotto i bombardamenti in una casamatta con tre stanzette condivise con altri,,vi restarono per tutta la durata dell’assedio. Lì, pensava Francesco, aveva vissuto i giorni più intimi e più intensi della sua unione con Sofia. Chi sa se qualcuno sta leggendo quel messaggio che aveva firmato prima di partire, diretto ai soldati:
“La fortuna della guerra ci separa:Dopo cinque mesi nei quali abbiamo combattuto insieme per l’indipendenza della Patria, dividendo gli stessi pericoli, soffrendo le stesse privazioni, è giunto per me il momento di mettere un termine ai vostri eroici sacrifici……. Grazie a voi è salvo l’onore dell’Armata delle due Sicilie; grazie a voi può alzare la testa con orgoglio il vostro sovrano…..” Concludeva dicendo: ” Non vi dico addio, ma arrivederci. Conservatemi intatta la vostra lealtà, come vi conserverà eternamente la sua gratitudine e la sua affezione il vostro Re Francesco”. Belle parole, ma, ormai quel che è fatto e fatto, chi ha avuto ha avuto, e chi ha dato ha dato, il regno è finito.
“ Francois, nous sommes arriveè - gli stava dicendo Sofia,-” comment te porte-tu, Francois? Ca va?”, si preoccupò la regina notando l’intenso pallore del marito. “ Maestà, disse poi il marchese Pietro Ulloa -, simm’ arrivate”. “ sto’ bbuono, Marì, jamme”, rispose il Re. Erano a Terracina, territorio dello Stato pontificio e ospiti del Papa Pio IX. Prima di scendere dalla nave, l’equipaggio e il comandante resero gli onori militari e il re, da persona civile quale era, ringraziò il comandante per la tranquilla navigazione e per le cortesie ricevute. Quindi,dando il braccio alla regina, sbarcò.”..La giornata era fredda e perciò il re portava sulla divisa un gran mantello bianco – così si espresse un testimone, il cronista francese Garnier -…sembrava addormentato e camminava come un sonnambulo, in un sogno. Invece la regina era “ ..irrequieta e curiosa”. Ad aspettarli sulla banchina, oltre al delegato del Papa e agli zuavi francesi che rendevano gli onori, essi videro una folla di soldati napoletani, di quelli che non avevano trovato posto a Gaeta, sbandati, e anche civili che urlavano: “Evviva ‘o RRe nuosto!, Vulimmo vedè ‘o Rre !”. Un breve saluto e partirono per Roma, dove arrivarono dopo le otto di sera e furono ricevuti, al Quirinale, dal cardinale Antonelli, Segretario di Stato. Iniziava così l’esilio; i sovrani e l’intera famiglia si installarono in quel palazzo, assumendo – secondo P.G. Jaeger – “ l’atteggiamento esteriore di chi ritiene di non poter restare assente dalla patria più di qualche mese”. Non sarebbero più tornati.
Nell’anno dei 150 anni dell’unità d’Italia, oltre alle normali esaltazioni e alla esagerata retorica dei festeggiamenti, sono stati pubblicati molti saggi e storie sui vinti del risorgimento. Non fa male, senza voler mettere in discussione l’ unità, e senza aver paura di essere tacciati per nostalgici o revisionisti, ricordare persone e fatti preunitari e riscoprire storia, identità e verità per troppo tempo nascoste. Francesco II di Borbone era diventato Re alla fine di maggio 1859, il suo trono era già traballante e isolato dal punto di vista internazionale. Nel Nord Italia c’era già la guerra con l’Austria – la 2° guerra di indipendenza -, il Piemonte si stava prendendo la Lombardia e poi le regioni dell’Italia centrale. C’era molto fermento anche in Sicilia, un re accorto e esperto con ministri decisi, avrebbe potuto e saputo come intervenire, Francesco no. A maggio 1860 l’avventura di Garibaldi aveva dato inizio allo sfacelo totale. Con la fine del regno delle due Sicilie, iniziava per l’Italia la questione meridionale, ma era già iniziata quella guerra, che fu definita superficialmente il brigantaggio meridionale,le rivolte di legittimisti contro l’occupazione militare del sud, represse con fucilazioni sommarie, e violenze d’ogni genere, da ogni parte combattente, una guerra senza quartiere, e soprattutto senza speranza,dei vinti contro i vincitori .
(La fortezza di Gaeta,dipinto di C.Bossoli,1861)
Tutti i soldati del disciolto esercito borbonico erano stati arrestati e imprigionati in lontane fortezze del Piemonte, veri e propri campi di concentramento, mentre gli sbandati e quelli liberi fomentavano e partecipavano alla rivolta che durò per anni. Cosa ci si poteva aspettare dal luogotenente, mandato a Napoli da Cavour, tal Luigi Carlo Farini, che già aveva dato pessima prova di se a Modena, che così scriveva al suo capo:” altro che Italia, questa è “Affrica!” I beduini a riscontro di questi” caffoni”, sono fior di virtù civile. Napoli è tutto, la provincia non ha popoli, mandre: qualche barone o di titolo o di gleba, le mena……, con questa materia, che cosa vuoi costruire?”. Con questo signore, era difficile pensare di unificare l’Italia e gli italiani. Stranamente un popolo conquistato e vinto, una “mandra”, è oggi più italiano e unitario di altri, e non si sogna neppure di pensare a una secessione, come invece fanno quei barbari, i caffoni di quel paese che non esiste, come ha recentemente ricordato il Presidente della repubblica, i nipoti di quelli che scesero in “Affrica”, proclamando di essere fratelli d’Italia. E, visto che erano fratelli e avevano anticipato tanti soldi per “liberarli”, svuotarono le ricche banche meridionali, le regge, i musei e anche le case private, rubando tutto perfino le posate. E questo era solo l’inizio.
Quello che era stato scritto a carico dei Borbone di Napoli – e riconosco che, qualche volta, a ragione -, descrivendoli come il male assoluto, da parte di liberali italiani e stranieri, non era niente rispetto alla propaganda negativa successiva.
Fu avviata una vera e propria “damnatio memoriae”, oggi diremmo una gigantesca macchina del fango, con l’obiettivo di cancellare i Borbone dalla memoria delle popolazioni meridionali. Il minimo era farli passare per oppressori stranieri, al contrario dell’” italianissimo” Savoia! Furono utilizzati tutti i mezzi disponibili, anche il ridicolo: “la messa in ridicolo di tutto quanto riguardava Francesco II – dice P.G.Jaeger, che non è un meridionalista né un filo-borbonico – e il suo regno, riuscì, sotto il profilo della propaganda, più efficace della denunzia che riguardava la”brutalità”di suo padre Ferdinando. E lo dimostra la circostanza secondo la quale ancora oggi, la figura di Franceschiello è ricordata con ironia e disprezzo”. Basti pensare alla caricatura di questo giovane re nello stesso diminutivo del nome, che non era assolutamente vero e comunque usato solo per affetto, dal momento che il vero soprannome in famiglia era “lasa”, poiché il suo piatto preferito erano le la lasagne. Basti pensare al modo di dire ” l’esercito di franceschiello”, per indicare con disprezzo soldati che non si battono, ma scappano e si sciolgono subito, quando basta vedere i risultati conseguiti dall’esercito italiano dopo il 1861. Il “generalissimo Cialdini, il duca di Gaeta, che oggi sarebbe ricercato e giudicato come criminale di guerra, si dette molto da fare nel napoletano, come luogotenente, dopo pochi mesi, contro gli insorti, fece quasi 9000 morti, 7000 prigionieri e 13000 deportati, come e peggio dei nazisti. Ma contro un esercito attrezzato come quello austriaco nel 1866, fu battuto a Custoza, facendo una pessima figura, e così anche quel super ammiraglio Persano, che perse la flotta a Lissa. Basti pensare al termine “borbonico”, per indicare retrogrado, lento, farraginoso a tutto ciò che non funziona nella pubblica amministrazione, quando in realtà la burocrazia imposta in tutto il paese unito fu quella piemontese, cioè dei conquistatori, come accade in tutte le guerre, anche odierne.
E con la regina fu ancora peggio, contro di lei fu avviata una incredibile campagna scandalistica; a Maria Sofia furono attribuite varie nefandezze ed amanti, arrivando anche a realizzare un osceno e pessimo fotomontaggio, peraltro subito scoperto e che non pubblico per rispetto. Nei confronti dei Borbone erano già da anni state messe in atto quelle che oggi chiamiamo strategie di comunicazione di massa, propaganda per “inventare” un nemico, lo “straniero”, anche se è vero quel che afferma Fabio Cusin, cioè che “ Granduca( di Toscana), Borbone e papalini fecero di tutto per rendersi più malvisti”.Nei libri scolastici i Borbone venivano dipinti come i classici mangiatori di bambini e i fatti del Volturno e di Gaeta trattati con due parole, mentre si calcava la mano sui briganti. Ancora oggi storici di nome, come Lucio Villari, trattano in quattro righe l’assedio di Gaeta e lo declassano “ alla storia personale dei sovrani napoletani e alla fedeltà e al sacrificio eroico di quanti restarono con loro”, come se non si trattasse, comunque, della storia d’Italia e di migliaia di morti, italiani di entrambe le parti combattenti.. La realtà, nascosta per anni, era stata ben diversa e solo da poco si è iniziato a squarciare il velo- e in quest’anno in occasione dei 150 anni dell’unità - non si può aver paura di una verità diversa da quella raccontata. Molte erano già state le voci che si erano levate a favore di una riabilitazione del giovane re, almeno per liberarlo dalla disonesta ma propagandata fama di una sua “imbecillità”. “mitezza di carattere – Giuseppe Campolieti in una completa biografia -, signorilità, bontà non significano ingenuità o dabbenaggine”.
Arrigo Petacco, nella “ Regina del sud” scrive:” se come vuole la migliore retorica, almeno un raggio di gloria deve illuminare il tramonto di una dinastia, Francesco II e Maria Sofia se lo guadagnarono sugli spalti di Gaeta. Perché se è vero che un re e una regina devono mostrarsi tali nei momenti decisivi, gli ultimi sovrani di Napoli si rivelarono in quella occasione degni di ammirazione e di rispetto. Oggi, alla luce della Storia, il loro comportamento a Gaeta acquista addirittura il significato di un presagio. Nessun raggio di gloria, infatti, illuminerà il pronipote del “re invasore” quando, ottantasei anni dopo, sarà anche lui costretto a prendere la via dell’esilio”. Si riferisce a Umberto II, cacciato dalla volontà popolare e al padre, a quel Vittorio Emanuele III che scappò di notte, abbandonando tutto e tutti al loro destino. E che dire, poi, degli attuali discendenti?
(Maria Sofia)
Di questo avrebbe gioito sicuramente Maria Sofia, che non si era mai arresa di fronte alla storia e che dopo la morte del marito continuò, e nessuno potè fermarla, una lunga battaglia contro gli odiati Savoia. Maria Sofia di Wittelsbach, sorella della più famosa Sissi, moglie di Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, è stata descritta come” principessa bellissima e giovanissima, ardita, fantastica e impulsiva come suo padre e sua sorella Elisabetta, - secondo Raffaele de Cesare, storico pugliese, deputato liberale -, e vivace come la madre, non era la più adatta a entrare nella Corte napoletana, immagine di tristezza, di vecchiezza e di pregiudizio; né a divenire moglie di un principe piuttosto insipido,soggiogato dagli scrupoli religiosi, inesperto della vita, e il quale non aveva conosciuto mai donne, anzi le fuggiva, facendosi rosso nel viso quando non ne poteva evitare gli sguardi”. Come si usava, aveva sposato Francesco di Borbone, erede al trono, per procura, e imbarcatasi a Trieste, lo aveva incontrato per la prima volta a Brindisi, pallido, magro, alto e serio, e timidissimo; Sofia aveva portato una ventata di aria nuova e di allegria.
A Gaeta aveva mostrato di che stoffa era fatta, l’esuberanza e il coraggio la portavano dove il pericolo era maggiore, visitava le postazioni di artiglieria più esposte e avanzate, portando un sorriso e un incoraggiamento ai soldati. “ Se Francesco- scrive Antonio Ghrelli – avesse il temperamento di sua moglie, venderebbe più cara la pelle …”. Nel periodo romano era nata Maria Cristina, morta però dopo appena tre mesi.
L’esilio durò 33 anni. Francesco II di Borbone, che si faceva chiamare semplicemente “sig. Fabiani” o qualche volta” duca di Castro” morì, malato di diabete, il 27 dicembre 1894 ad Arco di Trento, ospite dell’arciduca Alberto d’Asburgo,aveva 58 anni ma sembrava un vecchio. Maria Sofia di Wittelsbach, a Monaco il 18 gennaio 1925, a 83 anni
Alla notizia della morte del re, sul “Mattino” di Napoli, Matilde Serao, dando la notizia e commentando l’esilio del re scrisse: .” galantuomo come uomo, gentiluomo come principe, ecco il ritratto di don Francesco di Borbone”.
Il mito dell’eroina di Gaeta era tale che ancora cinquantanni dopo i fatti, il poeta Ferdinando Russo la ricordava nel suo:” ‘o surdato ‘e Gaeta”.: “ E’ ‘a Riggina! Signò.. quant’era bella..! e’ che core teneva!...Steva sempe cu’ nuie….chella era na’ fata!...”
Pochi anni dopo anche D’Annunzio la ricordava come “ aquiletta bavara” ne “Le vergini delle rocce”, un romanzo ambientato nell’ex regno delle due Sicilie.
(S.Chiara, chiostro)
Solo dopo 123 anni, nel 1984, dopo più di sessantanni di trattative tra eredi e Stato italiano, come se lo stato avesse ancora paura di quei nomi, di quel “mito” di Gaeta, e di quel che aveva tenuto nascosto, i resti di Francesco II e quelli di Sofia furono finalmente restituiti a Napoli, nella loro città, per essere sepolti nella chiesa di S. Chiara, nel Pantheon dei Borbone, nell’ultima cappella a destra, accanto a quelli degli altri sovrani delle due Sicilie.
Per saperne di più:
Raffaele de Cesare. La fine di un regno, ed. Longanesi
Pier Giusto Jaeger: Francesco II di Borbone, l’ultimo re di Napoli, ed. Mondadori
Lucio Villari: Bella e perduta, l’Italia del Risorgimento, ed. Laterza
Giuseppe Campolieti: Re Franceschiello, l’ultimo sovrano delle due Sicilie, ed. Mondadori
Angelo del Boca: Italiani, brava gente? Ed.Neri Pozza, Vicenza
Arrigo Petacco: la Regina del Sud, ed. Mondadori
Gigi di Fiore: I vinti del Risorgimento, ed. Utet
“ “ : Controstoria dell’unità d’Italia, ed. BUR saggi
“ “ : Gli ultimi giorni di Gaeta, ed. Rizzoli
Pino Aprile: Terroni, ed. Piemme
Ferdinando Russo: Poesie napoletane, ed. Newton.
Fabio Cusin: Antistoria d’Italia, ed. Mondadori