La situazione dell’Afganistan attuale mi ha fatto venire in mente un libro
che avevo letto circa venti anni fa, per caso scoperto in una libreria. Quel
libretto, che ho ritrovato nella mia biblioteca casalinga, narra la vita di un
napoletano del XIX secolo, un emigrante considerato particolare e diverso da
quello che è considerato in genere lo stereotipo del napoletano.
Il libro, edito da Neri Pozza nel 2002, ha un titolo significativo: ” Il
napoletano che domò gli afghani”, l’autore è Stefano Malatesta, romano,
giornalista e scrittore. Un bel racconto sull’Afganistan e dintorni del XIX
secolo, tra militari occidentali, regni orientali e tagliagole afgani, pastun e
sikh.
Chi era questo napoletano di cui nessun altro autore italiano, o napoletano,
aveva mai parlato, al contrario degli inglesi, come risulta dalla bibliografia
indicata nelle pagine finali del libro. Scarse sono le notizie anche sul web.
Cercherò ora di farne un breve ritratto.
Si chiamava Paolo Avitabile e non era di
Napoli, ma di Agerola, una
località situata sopra i monti Lattari a 600 metri sul livello del mare, tra la costiera
sorrentina e quella amalfitana. A lui è infatti intitolata la piazza del paese.
Agerola, nel medio Evo era parte integrante del
territorio della Repubblica marinara di Amalfi, mentre dopo entrò a far parte
del Regno di Napoli. Oggi è famosa per
la produzione di latticini, come fiordilatte e mozzarelle e per il noto
provolone del monaco, ottenuto solo dalle mucche del paese.
Paolo Avitabile era nato nel 1791. A Napoli regnava Ferdinando IV di
Borbone con la regina Carolina d’Asburgo: entrambi tremavano davanti a quello
che stava accadendo in Francia dall’89 e alle idee rivoluzionarie. Paolo
cresceva tra le montagne del paese natio, dove le nuove idee arrivavano in
ritardo e molto scremate dai particolari più raccapriccianti. Si senti parlare nel 1799 della fuga del Re,
dell’arrivo dell’esercito francese e di una repubblica, ma Paolo aveva appena
otto anni.
Egli, crescendo, sentì parlare sicuramente di Napoleone che vinceva tutte
le battaglie e le guerre, probabilmente si impressionò della forza di quel
generale, e, a 16 anni, nel 1807, si arruolò nella milizia ausiliaria, che
serviva come riserva per
l'Esercito in caso di mobilitazione.
Da un anno era re di Napoli Giuseppe Bonaparte, il
fratello di Napoleone, mentre, nel 1808, a Napoli arrivò Gioacchino
Murat, cognato di Napoleone perché ne aveva sposato la sorella Carolina. Il
nuovo re fu ben accolto dalla popolazione, che ne apprezzò la bella presenza,
il carattere sanguigno, il coraggio fisico, il gusto dello spettacolo. Il nuovo
Re riorganizzò l’esercito, aumentando il numero
dei coscritti e imponendo la leva obbligatoria con una ferma di 6 anni per
la fanteria e 9 per l’artiglieria e per la cavalleria.
Paolo allora, appena possibile, passò nel Corpo di Artiglieria dell ‘
esercito e diventò un bravo artigliere e grande esperto di cannoni,
raggiungendo anche il grado di aiutante e poi di luogotenente.
Non si sa se prese parte a qualcuna delle campagne napoleoniche agli ordini
di Murat, ma ormai si era al termine dell’avventura napoleonica e si verificò
la restaurazione: tornò a Napoli il vecchio Re Ferdinando che però non si
fidava dei militari ex murattiani, che furono perciò sospesi dal servizio e
ridotti a mezza paga.
La Persia, l’Afganistan, il regno dei Sich in Pakistan erano territori lontanissimi
e sconosciuti, inoltre vastissimi, abitati da tribù di tagliagole, sempre
ribelli a ogni autorità, di varie etnie e varie religioni perennemente in lotta
tra loro e con qualsiasi straniero.
Fin dai tempi di Alessandro magno e poi
dei Romani, tutti quelli che erano passati di là non ne erano usciti bene, come
succederà ai Russi e agli Inglesi, già padroni di mezza India. Da pochi anni
alcuni signori della guerra avevano tentato di organizzare Stati sull’esempio
occidentale, Scià, maharaja e simili stavano provando a ricostruire le città, a recuperare le tribù
ribelli, a modernizzare gli eserciti.
Era il 1820, Paolo Avitabile fu arruolato nell’esercito dello Scià di
Persia, Fath Ali Shah.
Probabilmente capi subito dove si trovava, in un paese dove si apprezzava
solo la forza, il coraggio e il sangue, dove le ribellioni erano frequenti e i
metodi di guerra non erano quelli occidentali. Per cui, a mio parere, si adeguò
e usò i mezzi a sua disposizione in quel paese. Fu mandato a convincere i Kurdi
del Kurdistan persiano a pagare le tasse dovute allo scià che non avevano mai pagato.
Non fu difficile convincerli con i metodi adatti al
paese: cannonate, esecuzioni di massa, impiccagioni, terrore e altro. Restò sei anni in Persia e fece una carriera
che mai si sarebbe potuto aspettare a Napoli o comunque in Occidente: fu
promosso infatti generale.
Avitabile, come
altri ufficiali europei, si spostò nell’area afgana, contrattò l’ingaggio con
Ranjit Singh, che gli affidò il comando dell’Artiglieria. Ai due
ufficiali francesi, Allard e Ventura, furono affidate il
comando
della cavalleria e della fanteria. In
poco tempo Ranjit Singh potè disporre di un potente esercito di circa centomila
uomini, di cui la metà armati e disciplinati all’europea.
Nel 1835, Avitabile fu nominato governatore
di Peshawar, città posta sul
margine del Passo Khyber, abitata prevalentemente da persone
appartenenti all'etnia pashtun, e da qualche anno, 1818, faceva parte del regno sikh come anche Kabul.
Peshawar era inoltre pericolosa zona di confine in guerra
con i ribelli afghani della maggioranza pashtun.
Le popolazioni afgane, divise tra varie tribù e religioni, erano turbolente ma anche i Sikh non scherzavano. Essi conoscevano per fama il generale Avitabile chiamato ora Abu Tabela, translitterazione del cognome, e ne apprezzavano i metodi sbrigativi.
L'Afghanistan come abbiamo già detto, era attraversato da continui scontri
e disordini tra le varie diverse etnie e religioni. Al momento del suo
insediamento gli afghani erano in continua rivolta e terrorizzavano la popolazione,
anche allora c’erano i fondamentalisti islamici, precursori degli odierni
talebani e delle altre bande di terroristi.
Era il posto giusto per il generale napoletano. I suoi metodi erano già conosciuti nell’ area, pugno di ferro e punizioni esemplari: i ladri ed i briganti catturati venivano sbrigativamente squartati, gettati dall'alto dei minareti, impalati o impiccati. Così riuscì a domare quella parte di Afghanistan che era sotto il suo diretto controllo. Qualcuno dice che i metodi di Abu Tabela erano condivisi dai “selvaggi” asiatici che se li aspettavano. Essi, si legge in Malatesta “non solo dovevano essere governati attraverso la coercizione e la paura, ma loro stessi si aspettavano un comportamento simile da parte dei governanti, e anzi lo giustificavano e lo apprezzavano”.
Ovviamente c’era chi li criticava: e chi poteva esser se non gli Inglesi, i
cosiddetti gentiluomini vittoriani che criticarono i metodi del
"feroce italiano", ma poi ne riconobbero la validità e la mancanza di
ogni altra alternativa. Non solo, ma ne ebbero poi bisogno quando, dopo essere
stati sconfitti sul passo Kyber, vollero insistere per occupare l’Afganistan.
Chi si scandalizza anche oggi leggendo delle atrocità di Avitabile, dovrebbe
pensare a quello che fecero i gentiluomini Inglesi in India, in Australia con i
nativi, e con i prigionieri irlandesi. Oppure ai “democratici” statunitensi che
massacrarono e violentarono i nativi americani, e a quel che fecero in Corea,
in Vietnam, in Iraq e nello stesso Afganistan. L’elenco delle atrocità degli
uomini in guerra sarebbe troppo lungo, ma forse è meglio citare quelle degli
italiani “brava gente” che usarono in gas in Africa o fucilavano in massa e
quelle dei piemontesi che fecero l’unità d’Italia massacrando e stuprando
resistenti e contadine e poi appendendone i corpi nudi nelle piazze dei paesi
del sud.
Tornando perciò a Avitabile, egli
fu ricompensato per i suoi ottimi servigi con le
più alte decorazioni e con molti soldi e regali. Si racconta che il governatore si comportò come un principe orientale. A abiti, cavalli, palazzo, tutto contribuiva a
mantenere la sua autorità su un popolo come l’afghano. Poi la mensa di cui si
vantava, e anche l’harem. Un governatore indiano senza un
harem, pieno di donne ovviamente bellissime, non avrebbe avuto il rispetto dei
sudditi. Avitabile fu anche descritto come un padrone di casa franco
e piacevole, e un eccellente governatore. Non
si sa se si era convertito all’islam e se aveva avuto figli.
Poteva
restare per sempre a Peshawar, forse ambire a qualcosa di meglio, ma fece la scelta
di tornare al suo paese.
A Napoli regnava Ferdinando II di Borbone, un giovane re capace e pieno di
iniziative, che in seconde nozze aveva sposato Maria Teresa d’Asburgo- Teschen.
Minuta, vestita semplicemente,
Maria Teresa non sembrava appartenere alla classe nobile e non sopportava la
vita di Corte. Preferiva svolgere una vita chiusa nei suoi appartamenti,
dedicandosi solo al cucito e ai numerosi figli. La Corte era un ambiente
vecchio, chiuso, bigotto e moralista: la
visita di Avitabile fu un vero diversivo ma anche un mezzo scandalo. Un
avventuriero, vestito da colonnello dell’esercito borbonico, di cui si raccontavano
cose da pazzi, soprattutto in materia di donne e di harem. Secondo alcuni, Ferdinando e la regina non gradirono la visita, mentre
altri dicono che Avitabile fu ricevuto con tutti gli onori. L’udienza non durò
molto, giusto il tempo di ricevere un regalino dal Re e consegnare regali per la Regina e le figlie, kashmire, oggetti
d’oro e argento, e immagini e statuine d’avorio.
Fu sicuramente migliore l’accoglienza che
ricevette a Parigi, dove Re Luigi Filippo gli consegnò la decorazione della legion d’onore, e ancora di più a
Londra, dove fu ricevuto da lord
Palmerston e addirittura dal vecchio
duca di Wellington, vincitore di Napoleone a Waterloo.
Lo stesso Duca gli donò una sciabola e, cosa strana,
un toro, due vacche gravide e una vitella di razza Jersey. Sembra fosse un dono
prezioso e importante, perché, all’epoca, era vietato portare fuori
dall’Inghilterra bovini appartenenti a quella razza.
Avitabile incrociò i bovini avuti in dono con le razze
locali, ottenendo il primo nucleo di una nuova razza, Ma era arrivato alla fine, aveva 59 anni, morì stupidamente,
mentre dormiva, intossicato dalle esalazioni di un braciere nella casa che
aveva fatto costruire. Si disse però che la sua morte fosse stata provocata o
agevolata dalla giovane moglie, che era stata costretta a sposarlo.
La nuova razza di bovini, nel 1952, ottenne il
riconoscimento ufficiale dal Ministero dell’Agricoltura ed il nome di “Agerolese”.
Il latte di queste mucche rende speciali ancora oggi i
latticini di tutta la zona, come
il fior di latte ed il provolone del Monaco.
La vita di quest’uomo può sembrare un romanzo di
avventure, e sicuramente c’è qualche esagerazione nel racconto, ma comunque all’epoca
c’erano molti mercenari ex soldati napoleonici che cercarono fortuna in paesi
lontani e vissero avventure straordinarie.
Per saperne di più
Stefano Malatesta: ”
Il napoletano che domò gli afghani”, edito da Neri Pozza nel
2002,
Julian James Cotton General
Avitabile, Edinburgh Press,
1906 -
Dal WEB:
Aniello Apuzzo, Il
Generale Avitabile, ripreso da Francesco Cuomo
Iourdelò.it, rivista storico culturale: “‘o
malommo”
Saporinews. “C’era una volta la mucca che Paolo Avitabile ebbe in
dono dal Duca di Wellington”
Il
Giornale.it: “L'italiano che domò gli
afghani: ecco chi era il terrore”, di Davide Bartoccini