Quinta parte
La guerra civile
Bronte,storia di un massacro |
Con
l'appoggio del governo borbonico in esilio e dello Stato pontificio, la
ribellione fu condotta principalmente da elementi del proletariato rurale ed ex
militari borbonici (oltreché da renitenti alla leva, disertori ed evasi dal
carcere) che, spinti da diverse problematiche economiche e sociali, si opposero
alla politica del nuovo governo italiano. Secondo alcuni storici, fu la prima guerra
civile dell'Italia. Sul cosiddetto brigantaggio meridionale e post
unitario molto di si è scritto da parte di autori, storici di ogni tendenza e
solo da poco si è dato risalto alle motivazioni sociali e ideologiche, perché
prima erano solo briganti e banditi da fucilare sul posto, senza alcun
processo. Ma non è questo il luogo per poterne parlare a fondo. Già nel 1860, mentre era in corso l’occupazione della
Sicilia, proteste rivolte e morti si erano verificati in alcuni paesi,
come quella più famosa di Bronte, ma non
erano né briganti né borbonici, erano
solo contadini che chiedevano la distribuzione delle terre comuni, come era
stato promesso dallo stesso Garibaldi. La causa scatenante fu la
privatizzazione delle terre demaniali a vantaggio dei vecchi e nuovi
proprietari terrieri, che così ampliarono legalmente i loro possedimenti in
cambio di un maggior controllo del territorio e della fedeltà al nuovo governo.
Tutto ciò danneggiava i braccianti agricoli più umili, cioè quelli che
lavoravano a giornata con lavoro precario e senza un rapporto di radicamento
nel territorio, che con la sottrazione delle terre demaniali da loro utilizzate
si ritrovarono a dover vivere in condizioni economiche ancora più disagiate e
precarie rispetto al passato. A tutto ciò si aggiunse l'entrata in vigore della
leva militare obbligatoria, che non c’era prima. Le vere ribellioni contro gli occupanti si
erano verificate dopo l’annessione, in Calabria, in Puglia, in Abruzzo e in Campania,
bande composte da centinaia di persone e comandate da personaggi in genere ex-
militari borbonici, Già nell'ultima fase della occupazione i borbonici, avevano
deciso di fare ricorso a formazioni armate irregolari a supporto delle truppe
regolari ancora attive tra il Sannio e
l’Abruzzo, al fine di coprire il fianco rispetto all'avanzata verso sud
dell'esercito Sardo. Questa guerra
civile interessò quasi tutte le regioni dell'entroterra del regno borbonico
annesso al nuovo regno sabaudo italiano, tuttavia il fenomeno fu del tutto
assente in quelle regioni del meridione in cui le condizioni economiche erano
decisamente migliori, come ad esempio nelle aree urbane e industrializzate,
nelle zone agricole più produttive e nell'amplissima fascia costiera del
Mezzogiorno e della Sicilia.
Francesco II°, ma soprattutto la moglie Sofia, entrò in contatto
con i ribelli fomentandola e favorendone l'azione; essi davano filo da torcere ala guardia
nazionale e all’esercito di occupazione. Briganti nel regno ce ne erano sempre stati ed
erano stati spesso usati dai Borbone come nel 1799, ( ricordiamo fra’ Diavolo,
Michele Pezza ), ma stavolta il fenomeno aveva assunto dimensioni diverse, era
diventata una vera guerra partigiana e civile, alla quale si rispondeva con
leggi eccezionali e il il sistematico ricorso ad arresti in massa, esecuzioni
sommarie, distruzione di casolari e masserie, vaste azioni contro interi centri
abitati: fucilazioni sommarie e incendi di villaggi erano frequenti, e non era
opera dei briganti che essendo tali potrebbe trovare una sua giustificazione,
ma invece quelle effettuate dai bersaglieri italiani e per rappresaglia è stata
paragonata alle rappresaglie naziste dell’ultima guerra. Si ricordano gli eccidi della popolazione civile dei paesi Casalduni e Pontelandolfo nell'agosto 1861 messi a ferro e fuoco dai bersaglieri, per rappresaglia dopo il massacro di oltre 40 militari regolari perpetrato da briganti con l'appoggio di elementi attivi della popolazione locale.
Carmine Crocco |
Tra i briganti più famosi spicca il nome di Carmine “
Donatello “ Crocco, operativo in Basilicata e sul Vulture, che conduceva un esercito di 2.000 unità, e poi anche Ninco Nanco,
Chiavone e Giuseppe “Zi Peppe” Caruso, Giovanni "Coppa" Fortunato, il
sergente Romano, e altri. Per non parlare poi delle donne “briganti”, madri,
sorelle, mogli, amanti dei ribelli e ribelli anche loro: consiglio per
l’argomento di leggere “Il bosco nel cuore” di Giordano Bruno Guerri, edito da
Mondadori.
Il governo
napoletano in esilio mandò, in aggiunta, alcuni agenti legittimisti, come il
generale spagnolo José Borjes e il francese Augustin De Langlais, per
organizzare e disciplinare le bande. E c’erano anche molte donne. Secondo le
stime di alcuni giornali stranieri che si affidavano alle informazioni
ufficiali del nuovo Regno d'Italia, in un solo anno, dal settembre del 1860
all'agosto del 1861, vi furono nell'ex Regno delle Due Sicilie: migliaia di
morti fucilati e feriti, uomini, donne e bambini
L’amore
Nel
frattempo, e in questa situazione disperata, sembra che accadde anche qualcosa
altro, di molto personale: Maria Sofia si innamorò di un ufficiale di origine
belga della guardia pontificia, e rimase anche incinta. In verità questa storia
fu avvolta da segreto, poiché il nome di questo ufficiale non compare mai nelle
varie chiacchiere ed elenchi di molti amanti attribuiti a Sofia. Evidentemente
la cosa fu tenuta ben nascosta e fu l’unica vera. Armand de Lawayss, questo il nome
dell’ufficiale, era stato assegnato dal Papa come “ cavaliere d’onore” di Maria
Sofia. E qui, poiché si vedevano tutti i giorni, “ l’amore non tardò ad esplodere, e per Maria Sofia fu certamente la
prima volta e, forse, anche l’ultima” ( Arrigo Petacco, la regina del sud,
ed. Mondadori),. Sofia restò incinta, si
ritirò, con una scusa, a casa dei genitori in Baviera dove partorì in segreto,
dando alla luce due gemelle. Le bambine furono separate, e affidate a famiglie
del posto. P.G. Jaeger afferma che,
quando la regina partì improvvisamente per la Baviera nel ’62,” si disse ( e il pettegolezzo fu diffuso in realtà, anche in ambienti
aristocratici ), che fosse andata a partorire un figlio della colpa, anzi,
nella specie, una figlia”. Intanto
il giovane Armand aveva deciso di andare a trovare Sofia e vedere le sue
figlie. Qui inizia una specie di romanzo popolare o un film romantico: ad
Armand viene negato l’ingresso in Baviera altrimenti lo arrestano, il giovane
invece insiste, va avanti si perde tra le montagne coperte di neve, e comunque riesce ad
arrivare a casa del fratello di Sofia che gli concede solo di scriverle una
lettera. Egli morirà nel ’70, consunto dalla tisi. Sofia cadde in depressione e decise di
confessare la relazione a suo marito. La rivelazione, è ovvio, non giovò al
rapporto tra i due, anche se Francesco aveva riconosciuto che una parte della
colpa in tutta la vicenda era sua e che si era rassegnato. Solo dopo molto
tempo, la situazione migliorò fino al punto che, come vedremo, Francesco si
decise a consumare il matrimonio.
Maria
Cristina
Francesco
si sottopose ad un'operazione che gli
consentì di consumare il matrimonio, e Maria Sofia rimase incinta. Entrambi
erano felicissimi per l'evento e pieni di speranza per l’erede al trono. Il 24
dicembre 1869, dopo dieci anni di matrimonio, Maria Sofia diede alla luce una
figlia, Maria Cristina, come la madre di Francesco, e Sissi, l'imperatrice
Elisabetta, ne divenne la madrina. La gioia fu breve, i dolori per Sofia e per
Francesco, non erano finiti: la bambina morì di lì a tre mesi: la sera del 28
marzo, la piccola principessa, già di gracile costituzione, morì per improvviso
malore. Dopo questa tragedia Maria Sofia non fu più la stessa.
La situazione europea
Nel
1866 ci fu una nuova guerra contro l’Austria, il neonato regno d’Italia si era
alleato con la Prussia, e fece una pessima prova con il nuovo suo esercito unitario,
sconfitto sia a Custoza, sia per mare a Lissa dalla flotta austriaca. Tra i generali sconfitti e che fecero un
pessima figura, c’erano quel tale che aveva diretto l’assedio di Gaeta,
Cialdini e per mare l’ammiraglio Persano che aveva bombardato Gaeta dal mare.
Tra le file austriache c’erano anche soldati dell’ex regno borbonico e tra gli
ufficiali, i fratelli di Re Francesco: inutile sottolineare per chi parteggiava
Sofia, che fu molto soddisfatta della sconfitta dei Savoia e che sperava sempre in una eventuale rinascita del
ex-reame.
Cammarano: la presa di Porta Pia |
Intanto in Italia, il governo, approfittando della sconfitta francese e del ritiro delle truppe francesi dallo Stato pontificio, invadeva i territori pontifici, ovviamente, come d’abitudine, senza una dichiarazione di guerra, sconfiggeva il piccolo esercito del Papa, e a settembre 1870 entrava a Roma. Cessava finalmente il potere temporale dei papi e giungeva a compimento l’ obiettivo di Roma capitale.
Parigi
A quel punto, Francesco e
Maria Sofia abbandonarono Roma e si trasferirono a Parigi, in una villetta da
loro acquistata in Saint Mandé, dove vissero privatamente senza grandi mezzi economici perché
Garibaldi aveva confiscato tutti i beni dei Borbone. il Governo italiano ne aveva proposto la
restituzione a Francesco II°, ma solo al patto di rinunciare ad ogni pretesa
sul trono del Regno delle Due Sicilie, cosa che egli non accettò mai,
rispondendo sdegnato: "Il mio onore non è in vendita".
Egli, oramai si faceva chiamare semplicemente “sig. Fabiani” o qualche volta” duca
di Castro”, insieme alla moglie ripensava spesso, con quel fatalismo tipico dei napoletani, ma anche dei meridionali in generale, alla sua vita e ai fatti che avevano portato all’esilio: la sua vita, la madre che non aveva conosciuto, Cristina di Savoia, il padre Ferdinando, quello si che era”nu’ rre”, avrebbe potuto prendersi tutta l’Italia se solo avesse voluto.
E il palazzo di
Portici, dove aveva trascorso l’adolescenza e i suoi precettori, e poi Sofia,
bellissima quando l’aveva vista la prima volta a Brindisi, e poi gli ultimi
fatti…. Avrebbe potuto restare a Napoli? Avrebbe dovuto far sparare sulla
città?
Traditori e
incapaci quei generali ai quali si era affidato: Nunziante un traditore, Lanza
un incapace, che aveva ceduto Palermo, e
Landi, a Calatafimi, dove stava vincendo
e si era ritirato, e anche suo zio Leopoldo, il conte di Siracusa che faceva il
liberale, e i capitani della flotta che si erano consegnati ai piemontesi? E
Filangieri, troppo vecchio per intervenire,….e tutti gli altri dalle Calabrie
agli Abruzzi, qualcuno era stato anche ammazzato dalle truppe arrabbiate. E
E quel Liborio Romano, che, come gli avevano riferito,
aveva arruolato i camorristi e guappi
nella polizia, per mantenere l’ordine pubblico in città.
Se lo ricordava
quel giorno del 6 settembre del ’60, quando prima di partire da Napoli, tutti i
ministri andarono a salutarlo e a don Liborio, con quella sua aria tronfia e
arrogante, aveva detto” don Libò,
guardat’ o cuollo”, cioè bada alla tua testa, che se torno….. e ricordava
il ministro Michele Giacchi al quale aveva detto:” voi sognate l’Italia e Vittorio Emanuele; ma non vi resteranno neanch’ ll’uocchie pe’
chiagnere” - purtroppo sarete infelici -.
Mai previsione fu più azzeccata, Francesco lo sapeva, i
proprietari e i ricchi erano sempre gli stessi a agli altri non era stato dato
niente, stavano meglio quando pensavano di stare peggio. Poi aveva trovato a Ritucci,” nu brav’ommo”,
fedele ai Borbone, un gentiluomo all’antica,
al contrario di quel bifolco di Cialdini, quel piemontese arrogante, e
quel vigliacco cialtrone di Persano, l’ammiraglio. Forse, in tutto questo
schifo, era meglio Garibaldi, almeno era onesto ed era stato pure licenziato
dal Savoia, senza neanche un grazie. Bravo
Ritucci, mai avrebbe tradito e si era
comportato bene sia al Volturno sia a Gaeta. E Beneventano del Bosco, irruento,
audace, forse troppo, e fedele, e tutta la truppa, ripulita da traditori,
corrotti, incapaci e vigliacchi..
In effetti aveva sbagliato, doveva prendere il comando
diretto dell’esercito, come gli suggerivano la moglie e i fratelli e fermare
l’avanzata garibaldina, prima, in Sicilia anche, o forse nella piana a sud di Salerno e non scappare
dalla capitale.
Sarebbe cambiata qualcosa? Chissà! Quel Napoleone, un doppiogiochista, ora anche
lui aveva perso la Francia a Sedan, e nessuno gli aveva dato una mano, neanche
quei fetenti dei Savoia. l’Inghilterra non ne parliamo, mai fidarsi di un
inglese, ce l’avevano già con papà, per
quegli affari che volevano combinare in Sicilia, e i siciliani fissati con
l’autonomia da sempre, e mio cognato
Francesco Giuseppe, che aveva solo minacciato,
ma non aveva mosso un dito. Anche lui, ora, stava in cattive acque.Le rivolte contadine e i suoi ex soldati non avevano combinato niente, ma la sua previsione fatta quel giorno di settembre a Napoli prima di andarsene, si era avverata: a Napoli, nelle provincie e in Sicilia si erano accorti che i fratelli del nord, i liberali, non erano poi tanto fratelli e neanche tanto liberali. I Siciliani che volevano essere autonomi da Napoli, si erano ritrovati con uno Stato ancora più accentrato e per giunta molto più lontano, a Torino. E le rivolte non si contavano più.
E Sofia? Una eroina per i soldati, sarà ricordata
sicuramente..Ridotti a vivere sotto i bombardamenti in una casamatta con tre
stanzette condivise con altri per tutta la durata dell’assedio: lì aveva
vissuto i giorni più intimi e più intensi della sua unione con Sofia.
Morte di Francesco e altri lutti
Altre tragedie di carattere familiare attendevano Sofia:
il marito si era ammalato di diabete, nel 1878, la sorella Matilde era rimasta
vedova del marito, Luigi di Borbone, conte di Trani – fratello di Francesco –
suicidatosi.
Nel 1886 era morto in circostanze misteriose, classificate
come suicidio, il cugino Ludwig di Baviera, due anni dopo moriva il padre, il
duca Max, per un colpo apoplettico. Nel 1889, a Mayerling, il nipote Rodolfo, figlio
della sorella Sissi e di Francesco Giuseppe, l'erede al trono austriaco,
moriva, forse suicida insieme all'amante, la baronessa Maria Vetsera.
Elisabetta non si riprese mai interamente da questo dolore, portando fino
all'ultimo giorno della sua vita un lutto strettissimo e, sempre in preda a
esaurimenti nervosi, continuò a viaggiare per l'Europa, fino alla sua morte.
Nel
Francesco II anziano |
L’anno successivo moriva invece suo marito, Francesco II°, ex re delle due Sicilie.
Nell'autunno
del 1894 Francesco, che soggiornava
nella località termale di Arco, in Trentino, ospite dell’arciduca Alberto
d’Asburgo, in territorio austriaco, già sofferente di diabete, si aggravò.
Subito raggiunto da Maria Sofia, dopo pochi giorni, il 27 dicembre 1894, morì.
Aveva 58 anni: le fotografie che lo ritraggono mostrano però un uomo che sembra
molto più vecchio.
La notizia della morte dell’ex-re raggiunse anche Napoli. Sul
giornale “Il Mattino”, Matilde Serao,
dando la notizia e commentando l’esilio del re scrisse: .” galantuomo come uomo, gentiluomo come principe, ecco il ritratto di don
Francesco di Borbone”.
Trascorrono
solo tre anni, nel 1897, moriva in un incendio a Parigi, la sorella più giovane
Sofia Carlotta, dopo aver salvato altre ragazze tra le fiamme, solo quando ebbe
salvata l'ultima, decise di correre via. Ma le fiamme furono più veloci di lei.opo
solo un anno, ecco per Maria Sofia, una ulteriore tragedia familiare: nel 1898,
nel mese di settembre la sorella Sissi, sempre in viaggio e sempre vestita di
nero dopo il suicidio del figlio Rodolfo, mentre doveva imbarcarsi per la
frazione di Montreux Territet, fu pugnalata al petto con una lima dall'anarchico
italiano Luigi Lucheni. L'imperatrice che correva verso il battello si accasciò
per effetto dell'urto, ma si rialzò e riprese la corsa, non sentendo
apparentemente nessun dolore. Arrivata sul battello, impallidì e svenne. Il battello fece retromarcia
e l'Imperatrice fu riportata nella sua camera d'albergo, dove spirò un'ora
dopo, senza aver ripreso conoscenza.
Intanto, il tempo passava, Sofia aveva un carattere forte
e determinato, sperava, ma probabilmente non ci credeva, ancora nella
restaurazione del Regno delle Due Sicilie, era animata da un grande spirito di
vendetta, e odiava i Savoia.
Si ritirò nella villa di Neuilly, vicino Parigi, e “ ..quando fece riparlare di sé, fu per la
notizia che si sparse al tempo dell’assassinio di re Umberto, che ella, nella
sua casa di Parigi, accoglieva a colloquio socialisti e anarchici italiani…..”
( Benedetto Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, 1924). A Parigi coltivò la sua passione per i cavalli e seguiva le
gare in varie località europee, come Londra, dove si appassionò anche alla
caccia alla volpe.
Secondo la polizia dell’epoca nacque una intesa fra
anarchici, rivoluzionari socialisti e legittimisti borbonici, e agenti del Vaticano,
in quanto tutti speravano che un crollo del novello Stato unitario avrebbe
determinato, insieme alla cacciata dei Savoia, un nuovo assetto politico in
Italia e la possibilità per i borbonici di ricostituire l'antico Stato. E' facilmente intuibile come questo vento rivoluzionario rinfocolasse le speranze e rinnovasse gli ardori di Maria Sofia e della sua corte di Neuilly, allora sorvegliata dalla polizia italiana e francese.
Il regno d’Italia si trovava ad attraversare una grave crisi economica e sociale, i primi scioperi agitavano tutte le piazze delle principali città: siamo nel
Il 29 luglio del 1900, il re Umberto I° fu ucciso a Monza dall’anarchico Bresci.
I rapporti e le informazioni della polizia dell’epoca
indicavano alcuni indizi che potevano ricondurre a Maria Sofia, come
ispiratrice dell'attentato, ma nulla fu
possibile provare.
Umberto di Savoia |
Nel 1909 moriva il fratello Carlo Teodoro.
l mito dell’eroina di Gaeta era tale che, ancora cinquant’anni dopo i fatti, il poeta Ferdinando Russo la ricordava nella sua: ” ‘O surdato ‘e Gaeta”.: “ E’ ‘a Riggina! Signò.. quant’era bella..! e’ che core teneva!...Steva sempe cu’ nuie….chella era na’ fata!...” ( la Regina, Signore come era bella. E che cuore aveva, ..stava sempre con noi, era una fata!). Marcel Proust ha parlato di lei come della “regina soldato sui bastioni di Gaeta”.
Soprattutto nel Mezzogiorno è diventato un “ mito: “Maria Sofia, giovane e bellissima regina, mai disposta ad accantonare la sua spregiudicata lotta per riavere il regno” ( R.De Lorenzo, Borbonia felix, ed .Salerno 2013).
alche anno dopo, anche D’Annunzio la ricordava come “ aquiletta bavara” ne “Le vergini delle rocce”, un romanzo ambientato nell’ex regno delle due Sicilie, ma la definizione non era piaciuta a Sofia.
Fosche nubi si addensavano sui cieli d'Europa che preludevano alla prima guerra mondiale.