Napoli, e tutti i territori dell’Italia
meridionale e la Sicilia, fu conquistata dalla Spagna, che ne fece un
vice-regno amministrato da suoi Viceré. Nel 1532 arrivò a Napoli il vicerè Pedro Alvarez de Toledo y Zuniga, marchese di Villafranca. Era un tipo duro che, arrivato in città, sfruttò al massimo i suoi poteri sia per favorire gli interessi spagnoli con gabelle e richieste di danaro, sia comunque per migliorare la capitale. Gli riuscì tutto abbastanza bene, tante furono le sue iniziative, governò per 21 anni dal 1532 al 1553. Il suo nome resta legato a quella strada centrale di Napoli, che egli fece progettare e costruire dal 1536. nel suo progetto rientrava anche l'allargamento delle mura della città.
Don Pedro de Toledo |
La storia è troppo
lunga per narrarla tutta e, per esser brevi, dirò solo che le nuove mura della
parte di terra, dalla attuale Chiesa dello Spirito Santo salivano “ ad meza falda del monte de santo
Erasmo”, (oggi S. Elmo), da dove poi riscendeva verso la Playa - Chiaja e Santa Lucia – per poi ricollegarsi
ai bastioni e alle casematte di Castelnuovo dalla parte di mare ( oggi Molo
Beverello e piazza Municipio). Gli storici non sono tutti d’accordo
sul tracciato di queste mura, poiché alcuni pensano che arrivavano a S. Elmo,
altri ritengono invece che si fermavano “ a
meza falda”, cioè nella zona del corso Vittorio Emanuele e poi
riscendevano.
Ma a noi interessa quello che accadde
ai piedi della collina, all’ altezza della attuale chiesa dello Spirito Santo, che
in quegli anni non c’era ancora.
Nelle mura che salivano verso la zona collinare fu
aperta una porta chiamata
Reale, che immetteva sul largo del Mercatello (oggi piazza Dante), e fu da qui
che iniziò la nuova strada di don Pedro.
Il percorso della nuova strada era già
segnato naturalmente da tempi antichissimi, era stato il letto di
contenimento di acque piovane che scendevano dalle colline. Poi era
diventato solo una fogna a cielo
aperto che convogliava verso il mare le acque reflue che provenivano dalla
collina del Vomero, raccogliendo rifiuti di ogni tipo. Si era successivamente
prosciugato ed era un condotto: “cosi
ampio che adagiatamente camminare vi potrebbe una carrozza per grande che
fosse, e questo principia dalla Pignasecca presso la porta Medina a terminare
chiesa della Vittoria, sita fuori la porta di Chiaja, dove dicesi Chiatamone.
In questo chiavicone entro quasi tutte le
acque piovane che scendono dal soprastante monte di San Martino”. (De
Renzi, "Napoli nell'anno 1656").
La nuova strada doveva terminare dopo
circa 1200 metri, nel largo di palazzo, li dove pochi anni dopo iniziarono i
lavori di edificazione del palazzo destinato a residenza del Vicerè, che non
desiderava più vivere nel Castel nuovo e più tardi si diede inizio alla
costruzione del palazzo reale.
Dobbiamo ora, prima di proseguire, abbandonare
l’immagine che abbiamo di Toledo oggi, e pensare a quell’area come a uno spazio
verde al centro del quale si stava delineando una strada: da un lato iniziava
la salita per il Vomero e l’area della Pignasecca, piena di verde e di Pini e
pigne e di sentieri frequentati da contadini che andavano su e giù per vendere
o acquistare generi e prodotti nel largo del mercatello. Dall’altro lato
ampi spazi degradanti verso il mare,
verso il Largo delle Corregge - la attuale piazza Municipio e via Medina -,
dove era e è il Castel nuovo protetto da mura e contrafforti.
Strada di Toledo (XVII sec.) |
Oltre a rendere più sicura la città,
le aree ai lati di Toledo portarono benefici all’economia di Napoli ma anche
alle tasche del Vicerè, poiché
esse furono immediatamente edificabili.
Sulla collina degradante verso la strada si
pensò a costruire caserme per le truppe
di passaggio o stanziate a Napoli, una griglia, ancora oggi riconoscibile, di strade strette intorno a costruzioni
quadrate.
Lungo la strada di Toledo, invece, nel
corso degli anni successivi l’
aristocrazia del Regno fece a gara per accaparrarsi, pagando
profumatamente, spazi e costruirsi palazzi sempre più grandi e
degni dei Grandi di Spagna, per vivere vicino alla Corte vicereale. La strada
di Toledo è ancora oggi piena di palazzi d’epoca, dal XVI al XVIII secolo, come
palazzo Doria d’Angri di fronte alla Spirito santo, palazzo Maddaloni, Palazzo
Della Porta del 1569 all’angolo con la
Pignasecca, Palazzo del Nunzio apostolico del 1585, Palazzo Berio della metà del
XVII secolo, Palazzo Tappia – quello del ponte - del 1574, palazzo Zevallos devastato nel 1647
durante la rivolta di Masaniello. Merita una citazione anche il palazzo
sede del Banco i Napoli, costruito nel
1939, in sostituzione di quello di fine settecento costruita alle spalle di
palazzo san Giacomo. A metà strada c'era - e c'è ancora - un bel largo detto della Carità, dal nome di una antica chiesa che oggi non c'è più, chiamata S.Maria della Carità. Nel largo si svolgeva un grande e fiorente mercato pieno di bancarelle e venditori ambulanti che durò fino all'inizio del XIX secolo, quando fu vietato. Quel largo ha cambiato nome più di una volta, " piazza Carlo Poerio, piazza Costanzo Ciano, e per finire piazza Salvo d'Acquisto", ma i napoletani lo chiamano sempre piazza Carità.
Gli anni scorrevano, tutto cambiava,
alla Spagna si sostituì per un breve periodo l’Austria, ma poi arrivarono, nel
1734, i Borbone e la città ritornò
capitale di un grande Regno. Una capitale che si apprestò a diventare la terza
città europea, dopo Parigi e Vienna, fu affidata alle cure dell’architetto
Luigi Vanvitelli. Lui e la
sua scuola riempirono non solo Napoli, Caserta e mezza Campania, ma l’Europa,
di palazzi, strade e piazze, edifici di ogni genere, giardini e altro.
Fu preso in esame anche il Largo del Mercatello che non poteva più restare fuori
dalle mura, la porta Reale era in condizioni precarie e non serviva più: a
stento potevano passarci due carrozze in mezzo a una folla di ambulanti con le
loro bancarelle e baracche.
La situazione era ancor più grave dopo
il rifacimento del Mercatello, operato da Vanvitelli con quell’emiciclo ancora
oggi visibile, ma fu Ferdinando IV che il
1° aprile 1775 ordinò la demolizione della porta aprendo
alla città tutta un’altra prospettiva, dal Foro Carolino ( cosi fu chiamata
l’attuale piazza Dante), giù per Toledo fino al palazzo reale e dal ‘altro lato
la continuazione oltre il largo, sull’attuale via Pessina su fino al MAN e alla
strada per Capodimonte.
Napoli diventò presto la tappa fissa
del Grand Tour, quel viaggio culturale che i ricchi rampolli delle famiglie
francesi usavano intraprendere in Europa per accrescere il loro bagaglio
culturale, artistico e politico, Via Toledo fu più volte citata da grandi
scrittori ed artisti.
Una citazione celebre, dedicata a via
Toledo è senz'altro quella di Marie-Henri Beyle, noto come Stendhal, che -
lasciando la città partenopea - commentò: «Parto. Non dimenticherò né la via Toledo né tutti gli altri
quartieri di Napoli; ai miei occhi è, senza nessun paragone, la città più bella
dell'universo».
Intanto con il passare degli anni le
cose cambiavano: A Napoli fu sperimentata e attuata la prima illuminazione
pubblica delle strade lungo Toledo. La via si era arricchita di attività
commerciali e molti erano i caffè e le
pasticcerie. Come non ricordare Pasquale Pintauro che, verso la fine del XVIII secolo, a Toledo, entrato in possesso di una ricetta originale di un dolce con la crema, la modificò, e tenne a battesimo la " sfogliatella" in quel piccolo locale che è sempre lì ancora oggi, di fronte a via Santa Brigida. Nel 1827 arrivò un po' più avanti, nel palazzo Berio, uno svizzero che si chiamava Luigi Caflisch, che aprì un gran caffé dove serviva oltre alle sfogliatelle, babà, cassatine, crostate, struffoli a Natale e liquori di sua produzione.
La pasticceria Caflisch, di fronte alla galleria, fu chiusa pochi anni fa.
Venne poi il tempo in cui non ci fu
più né strada né via, ma semplicemente Toledo e tutti capivano cosa e dove era.
Ancora oggi si dice: vado a Toledo.
E ancora venne un bel giorno di
ottobre 1870, quando l'allora sindaco
Paolo Emilio Imbriani, preso da sentimenti nazionalistici e unitari, dopo la
annessione di Roma, decise di cancellare più di tre secoli di storia, e mutare
il nome in via Roma in onore della nuova capitale del regno d’Italia.
Ci furono grandi proteste per questa
decisione anche da parte di personaggi sostenitori dell’unità, ma Imbriani fece
solo aggiungere sulle targhe stradali la scritta "già via Toledo". Non contento di questo lo stesso Imbriani ,
un paio d’anni dopo, inaugurò la statua di Dante Alighieri nel Largo del
mercatello e lo chiamò piazza Dante.
Il cambio di denominazione ufficiale
non modificò nei napoletani il nome della strada, Toledo era stata e Toledo
doveva restare nel linguaggio di tutti.
Verso la fine del XIX secolo, nel
1887, si diede il via alla grande operazione detta del Risanamento di Napoli: furono abbattuti edifici, case
fatiscenti, cacciati via i residenti, modificate strade vecchie e create nuove per motivi sanitari e
igienici.
Nella zona di Toledo, al posto dei palazzi abbattuti, fu edificata la grande galleria intitolata, nel 1890, a Umberto I di savoia, re d'Italia.
Stazione Metro |
Nel 1980 via Roma ritornò ad essere
ufficialmente Toledo, e così è ancora oggi.
La
strada oggi è aperta al traffico veicolare fino a piazza Carità, poi è
tutta pedonale fino a S. Ferdinando e Largo di palazzo.
Fino a pochi anni fa c’erano i
venditori ambulanti africani, che stendevano la loro merce sulla strada pronti
a scappare appena si vedeva un lampeggiante blu. Ora gli ambulanti ci sono
sempre ma sono napoletani. Una volta c’era solo LUISE, grande rosticceria, bar
e ristorante, nel piccolo largo della stazione della Funicolare, oggi la via è
piena di street food, tutti mangiano pizze fritte e altro cibo spazzatura.