Una città
In questa città si può arrivare in due modi, con il treno e
in macchina; con l’aereo no, l’aereoporto è lontano, fa parte proprio di
un’altra provincia, anche se le compagnie aeree si ostinano a scrivere e
avvisare il pubblico che la destinazione finale è la città.
Con il treno, si impiega più di mezzora per percorrere meno 20 km dall’ultima stazione.
Da questa
resta da percorrere
una
striscia di terra, è sicuramente una
gradevole passeggiata, ma solo per chi ha tempo da perdere. Infatti quì sembra
di entrare in un altro mondo, tornare indietro in un altro secolo: il treno va
lento su una vecchia linea costruita forse più di un secolo fa, e si ferma in
antiche e deserte stazioncine, dove non sale e non scende nessuno
Con l’autostrada è un’altra cosa, ci si trova all’improvviso
davanti al mare e ci si immette su una bella strada costiera, che però devi
percorrere stando attento ai limiti di velocità, tra i 50 e al massimo gli 80,
per cui ci metti più tempo che col treno.
Però lo spettacolo merita: lungo la strada d’ingresso in
città, quand’è estate, vedi gente di ogni età in mutande,
si svestono e si rivestono in
strada, senza problemi, persone stese
come lucertole al sole, sulle terrazze e perfino sui marciapiedi del lungomare. Distratti dall’inconsueto
spettacolo, si corrono seri rischi di tamponamenti..
Il punto di arrivo, con il treno o con la macchina è lo
stesso: la stazione ferroviaria, costruita nella seconda metà dell’800, e rinnovata
da qualche anno.
Siamo a Trieste, famosa solo per la bora, d’inverno ne
parlano tutti i telegiornali, Trieste è l’ultima fermata, oltre non c’è più
niente, è finita l’Italia, c’è il confine che una volta era chiuso, oggi si
passa senza alcun controllo..
Trieste è diventata italiana nel 1918, neanche un secolo fa,
e successivamente nel 1954, quando il GMA, il governo militare alleato cedette
i poteri alla amministrazione italiana.
Qui arrivarono i bersaglieri per ben due volte, altro che Porta Pia.
Trieste è antica, prima era Tergeste, piccola colonia romana
del I° sec. a.c., raccolta intorno al colle di S.Giusto, luogo di brevi soste e
di passaggio da e per le regioni dell’Istria – un pò come per i turisti di oggi
che si fermano, guardano, stanno due o tre giorni e vanno via -, per i ricchi romani che andavano e venivano
dalle ville in Istria e Dalmazia.
I pochi abitanti, che vivevano nel piccolo, ma già pensavano
in grande – oggi l’atteggiamento non è
cambiato - si costruirono il loro teatrino,
e altri edifici, come testimoniano i reperti archeologici.
La città più importante dell’area era, invece, Aquileia,
fondata proprio per presidiare il territorio di confine e poi sede di
importante Patriarcato, per non parlare poi, di Venezia.
Con la
Repubblica di S. Marco, il libero Comune medioevale di
Tergeste ebbe diversi conflitti e non volle cedere, preferendo, nel 1382, “darsi” al Duca di Asburgo d’Austria.
La città non ebbe una grande storia, restò una piccola
realtà marinara fino al 1718, anno in cui fu creata, dall’imperatrice Maria
Teresa - che ancora oggi molti
rimpiangono insieme a Francesco Giuseppe -, la zona franca extra/doganale, il
Porto franco.
Solo così affluirono capitali, la città crebbe economicamente e crebbe anche la
popolazione. La piccola città si allargò oltre le mura, fu creato quello che
oggi è il borgo Teresiano, Ponterosso, Piazza Unità, le Rive, e via fin dove è
oggi la stazione ferroviaria e il porto, oggi detto vecchio.
Per due secoli la città progredì, diventando il porto
commerciale più importante dell’Alto Adriatico, per il fatto di essere l’unico
favorito da Vienna anche rispetto a Fiume, Pola e alla stessa Venezia.
Nel 1918, la caduta
dell’impero asburgico e l’annessione al regno d’Italia rappresentarono sì la
conclusione del risorgimento nazionale e dell’irredentismo, ma – secondo molti
- anche la rovina economica della città, che da unico porto dello stato
austriaco dovette rinunziare al primato e adattarsi a condividere i suoi
commerci con gli altri porti italiani.
Per non parlare poi delle conseguenze della sconfitta italiana
dell’ ultima guerra, il taglio di tutti i territori circostanti, l’occupazione
delle truppe anglo-americane, il confine con il blocco sovietico e la Jugoslavia, la
divisione in zona A e zona B.
Nel 1954 la città fu restituita all’Italia: Trieste occupò soltanto una striscia di terra
stretta tra il mare e il Carso, senza altro territorio che la sola città, di
fede nazionalista e comunque destrofila, e quattro paesotti bilingui, legati al
regime jugoslavo.
Da qui, conflitti continui tra destra e sinistra, tra
partigiani e ex fascisti, le foibe e gli esuli istriani e dalmati. Questi
ultimi continuano ancora oggi – in verità sono soltanto i loro figli o nipoti –
a reclamare la restituzione dei cosiddetti “ beni abbandonati”..
La città nutre oggi rimpianto per l’Austria, verso la quale
c’è una vera e propria adorazione e l’idea, forse non errata, che con l’Impero si stava meglio. Per questo è l’ unica
città italiana che dedica monumenti a chi governava prima dell’Unità, c’è la
statua di Sissi, l’imperatrice moglie di Francesco Giuseppe, e quella di Massimiliano
d’Asburgo, sulla cui collocazione si sono sviluppate lunghe e noiose
discussioni e polemiche.
Il confine, tutto sommato, contribuì però, anche a una
crescita economica.
Già, perché in città presto si creò un grosso mercato
destinato ai paesi dell’Est, da li venivano e compravano tutto,
dall’abbigliamento ai ricambi per motori,
per auto, mentre per le carni , le sigarette e la benzina erano i triestini
– e non solo - che andavano a far acquisti oltre confine, e a pranzo e cena
spendendo poco, con il vecchio dinaro jugoslavo..
A Trieste, al mercato di Ponterosso, si sono create grosse
fortune, commercianti anche improvvisati, su bancarelle vendevano di tutto e di più, generi di bassa qualità a
cittadini dell’Est europeo che il sabato mattina invadevano la città.
Con la dissoluzione della “Jugo”, e la creazione degli Stati nazionali –
Slovenia, Croazia, Serbia -, nei primi anni ’90, Trieste perdeva ancora una
volta economicamente, il commercio iniziava la fase discendente, adesso sono i
Triestini ad andare in Slovenia a far spese in quei centri commerciali, per non
parlare del porto superato, ben presto, dall’attivismo di quello di Koper.
Il Porto Vecchio, dove è il punto franco, è una antica struttura
composta da banchine e moli, da grandi depositi e magazzini di carico e
scarico, adiacente la stazione ferroviaria, che funzionava con un sistema
integrato mare/terra, navi e treni che si spostavano poi lungo le rive, fino
agli altri moli. E’ una grandiosa area demaniale, recintata, 70 ettari, sui quali
litigano tutti, Demanio, Ferrovie, Sovrintendenza, Autorità portuale, Comune e
Provincia e anche la Camera
di Commercio, e ognuno ha la sua proposta di riutilizzo.
Vivo a Trieste da più di 30 anni e nulla è cambiato, però la
fantasia di sindaci, di assessori, di
presidenti di Enti e Regione, di consiglieri di ogni ordine e grado, e
ovviamente del presidente della camera
di commercio – che è sempre presente come il prezzemolo -, si esercita
sull’argomento con le più disparate e strampalate
proposte. Al contrario c’è chi invece non parla, non commenta, non compare
neppure ma blocca tutto inserendo i suoi uomini e le sue donne nei posti chiave
dela città, come ad es. l’Autorità portuale.
Alla fine, resta soltanto uno spazio rubato alla città;
forse basterebbe solo aprirlo al
pubblico e farne un lungomare per
passeggiare, o per stabilimenti balneari o, magari, un parcheggio, visto che
attualmente sembra che molti ne usufruiscono abusivamente, e nessuno fa una
contravvenzione per divieto di sosta. ”Porto
vecchio caos sui posteggi abusivi”, titola il solito quotidiano: non c’è chiarezza sulle multe da applicare “ per la capitaneria vige il codice della
strada, per l’Authority bretella ancora demaniale”. Mah!!
L’unica cosa che è stata fatta nel Porto vecchio è dovuta a un estraneo, a uno di fuori Trieste, a
Vittorio Sgarbi, che come curatore della Biennale di Venezia ha inventato la “ biennale diffusa ” e ha letteralmente “imposto”
anche a questa città l’utilizzo di un vecchio magazzino del porto, e la Regione e l’Amministrazione comunale sono state costrette
a sistemare e ad aprire, in fretta e furia, l’area, da anni, nascosta ai
cittadini.
Il punto franco dovrebbe richiamare operatori commerciali da
fuori, che sono stati e probabilmente sarebbero gli unici a portare una ventata
di novità e soprattutto di attivismo.
“Venivano da fuori
quelli che in passato fecero crescere la città” secondo il sociologo A Gasparini, ”la crescita economica, commerciale e anche
sociale della città fu costruita “ dal governo di Vienna, che creò con spirito
concreto e illuminato le condizioni ideali per un porto efficiente- da il Piccolo del 19 dicembre 2011 -…..infrastrutture, tecnologie, porto
franco, ecc….ogni cosa arrivò dall’esterno….. Trieste, resa grande in passato
da chi arrivò da fuori, rimasta poi svuotata di progetti, ma ancora convinta di
essere il centro del mondo”.
L’ apertura provvisoria del porto vecchio, ancora oggi viene
presentata come una grande conquista, e addirittura merita la prima pagina del
quotidiano locale la sua proroga, mentre
è del 25 settembre 2012 la notizia: “ Daremo
l’ultima spallata al porto vecchio”,
per restituirlo alla città. Sono le ultime parole famose del Sindaco!
E’ del 29 settembre 2012- infatti - la marcia organizzata
dal Sindaco per riappropriarsi dell’area del porto vecchio, un migliaio di
persone, insieme al sindaco e a qualche parlamentare locale, ma hanno trovato i
cancelli chiusi! Sono seguite le solite polemiche con l’Autorità portuale
ritenuta responsabile della chiusura.
La classe politica di questa città vivacchia e, in generale,
non sembra contare molto a livello nazionale, superata di gran lunga dagli
odiati cugini friulani.
Attualmente Comune e Provincia, caso stranissimo perché
Trieste è stata ed è una città di destra, sono rette dal centrosinistra.
Quando non sanno più cosa dire, tutti, politici e non, si
riempiono la bocca della parola “Mitteleuropa”, la città mitteleuropea”. Cosa
vuol dire? Si paragonano a Vienna, Berlino o Parigi! L’ultima è questa sempre
estratta dal solito giornale, del 26 settembre 2012:” Trieste, Parigi, Londra , Mosca, la passerella delle gallerie…..”..
La classe politica locale affronta questioni “importanti”:
oltre a quelle già dette sulla collocazione di un paio di statue, si è occupata
dell’abete natalizio da sistemare in
piazza grande.
Dalla cronaca dello storico quotidiano della città, “il
Piccolo” di giovedi 1° dicembre 2011: “…
L’albero
della discordia – quello alto appena 13 metri che aveva sollevato polemiche – e
delle polemiche “politiche”, originario
dei boschi di Sappada, verrà ricollocato altrove, come assicura l’assessore
comunale……che spiega inoltre: in piazza Unità ne sistemiamo uno più folto ,
concesso dalla Regione”.
Dichiarazione del Sindaco: “ Trieste avrà la sua bella piazza con un bell’albero illuminato, come
Parigi, Bruxelles, Amsterdam e Berlino-…..” Di nuovo il confronto con le
metropoli europee, veramente fuori luogo, e ancora una volta la dimostrazione di
come qui “vivono in piccolo e pensano in
grande”.
Trieste è una città pulita? Mica tanto!
La raccolta differenziata è stata pensata e avviata da poco,
dal 2011, ma non si fa il porta a porta,
la città è stata riempita di piccoli e grandi cassonetti che però spesso
non vengono ripuliti.
Dalla cronaca del Piccolo del 15 ottobre 2011:“ lo spazzino pure lui suonerà due volte. Due
volte ogni quattro giorni, però, almeno nel caso dell’addetto
all’indifferenziata……Il giorno si e l’altro no riguarderà la vuotatura della
maggior parte di quei grandi cassonetti da 3.200 litri dislocati,
di norma, nelle cosiddette isole ecologiche……Ha dato dunque questo responso la
sperimentazione avviata nelle passate settimane….”
Il 18 dicembre 2011, sempre su il Piccolo si legge che” non è mai partita la massiccia(?) campagna
informativa che avrebbe dovuto raggiungere tutte le famiglie……i cittadini non
ancora ricevuto il materiale previsto……soprattutto il pieghevole con tutte le
istruzioni per l’uso…” ancora oggi sto aspettando di ricevere istruzioni
sull’argomento. Però Trieste è una città mitteleuropea, vuoi mettere?
Dal solito quotidiano del 29 dicembre 2011, grande titolo: ”
Differenziata, meglio Napoli” (
Napoli ringrazia), e poi nell’articolo: “ la
chiamano differenziata spinta, ma di spinto non ha proprio niente. Di osceno ci
sono le percentuali ferme ancora al 26% e lontane anni luce dal traguardo
europeo del 65% da raggiungere entro il 2012………..Persino Napoli ..è riuscita
a fare di meglio….” Oggi non è ancora
cambiato nulla., anzi vengono scoperte anche qui discariche abusive di
pneumatici e altro, compresa diossina e,,…
Dal solito – e unico – quotidiano cittadino, del 25
settembre 2012, Titolo: “ Ex valichi
– i confini con la Slovenia
- , 5 anni dopo degrado senza confini.
….In Slovenia non è così…” I bordi del
piazzale che separa, anzi unisce, Italia e Slovenia, è cosparso di
spazzatura. Centinaia e cemtinaia di
bottiglie taniche di plastica, sacchi, pezzi di elettrodomestici, escrementi. E
ancora batterie d’auto, copertoni, resti di cibo, vetri calcinacci ecc…” In
effetti non è necessario arrivare ai confini per trovare degrado e sporcizia,
basta girare per le strade del centro storico, ma non quelle ben frequentate,
quelle de salotto buono, sono quelle invece buie, nascoste, dimenticate, dove
si trova di tutto e di più, dove si sente l’odore nauseante di urina animale e
umana, di escrementi anche umani e di vomito di ubriachi.
Ovviamente tutto ciò non fa notizia a livello nazionale, ma
se la stessa cosa succede a Napoli, Palermo o Roma, tutti i media scatenano la
solita guerra.
E il 25 luglio di quest’anno
viene data notizia che “ parte
l’operazione umido per la grande distribuzione ei ristoranti, saranno
installati circa 300 super contenitori”.Da una lettera di un lettore
triestino: “ Ho visto in piazza …. un
cassonetto per i rifiuti indifferenziati pieno di cartoni. Accanto gli altri
cassonetti di quell’”isola ecologica”, tra i quali ovviamente ce n’è anche
uno per la raccolta della carta,
vuoto”.(21 luglio 2012)”
Non parliamo poi della suscettibilità di Trieste.
Molte polemiche suscitò in città, tempo fa, ULISSE,
la rivista dell’ALITALIA, che eccezionalmente parlava di Trieste: “la città che non sa ridere, il capoluogo è
adatto a cacciatori di fantasmi ecc…”
dove si voleva intendere che è un posto dove si vive di passato, “solo con quei due scrittori famosi, Italo Svevo
e Umberto Saba, gli altri non esistono, uno è irlandese, James Joyce e l’altro
è l’austriaco Raine Maria Rilke”. L’ offesa era gravissima. E il quotidiano
locale perse una buona occasione per tacere e sentì il bisogno di attaccare –
il 25 giugno 2011 – l’autore di quell’ articolo, che alla fine era stato letto
dai pochi viaggiatori della compagnia aerea, poichè parlava
“solo di luoghi comuni e di stereotipi sulla
città”. A mio parere, in quell’articolo e in quei luoghi comuni c’era molta
verità.
Dopo “Ulisse” c’è “URSUS”.
Non è un personaggio mitico, né il
protagonista di film mitologici: è soltanto un reperto di archeologia
industriale, io lo chiamerei un ferrovecchio, una antica gru posta su un
pontone galleggiante, a mare, che probabilmente tanto tempo fa era utile nel
porto. E’ venuta fuori una storia infinita e le solite polemiche per salvarlo dalla
distruzione e addirittura qualcuno si spinse ad affermare che, conservandolo,
Trieste avrebbe avuto la sua Torre Eiffel!
A Trieste si lavora e si osservano le regole, ma siamo
sicuri?.
Ci sono addirittura “40” indagati per assenteismo, praticamente
tutto l’ufficio, cioè impiegati della
Soprintendenza ai monumenti, che timbravano e poi uscivano, sembra dalle
notizie di stampa, dal direttore all’ultimo tecnico, tutti filmati dalla G.d.F.
Ma anche questa notizia resta a livello locale, mentre se capita che “uno o due”
impiegati sono assenteisti a Roma, a Palermo o a Napoli, finiscono su tutti i
giornali e le TV.
Anche qui la crisi si fa sentire, e le pochissime industrie
stanno chiudendo o sono già chiuse con centinaia di lavoratori per strada; un
discorso a parte meriterebbe la
Ferriera, che da anni inquina l’aria e la salute di quelli
che abitano nella zona, ma questo non è un caso nazionale come l’Ilva di Taranto.
il Sindaco, anche oggi, fa inutili ordinanze per limitare i fumi, la proprietà
se ne frega, e
Lo stesso sindaco dichiara: “ Ferriera già morta, subito un
piano per guidare la fine”.
Le uniche eccellenze
di questa città sono il Centro di Fisica di Miramare, che accoglie scienziati
di tutto il mondo, poi l’Area di ricerca, e soprattutto,“i Matti” di Basaglia,
lo psichiatra che abolì i manicomi e che ispirò tutta la attuale normativa in
materia.
Anche nel settore dello sport non ci sono eccellenze. A
Trieste si praticano molte attività sportive, dalla semplice corsa sul
lungomare all’alpinismo, dal nuoto al basket, dalla vela – non per niente si
svolge , ai primi di ottobre di ogni anni, la gara di vela detta la Barcolana – dalla
scherma al calcio, ma, a quanto pare, i risultati non sembrano molto positivi.
Alla barcolana c’è
sempre una grande partecipazione: era iniziata in sordina tanti anni fa più
come una festa del mare e della vela, alla quale poteva partecipare chiunque
avesse una barchetta a vela, senza l’obiettivo di vincere alcuna gara. Davanti
alla piazza dell’Unità si vedevano migliaia di barche e di vele, uno spettacolo
visibile anche dal centro. Con il passare degli anni è diventata una vera e
propria gara riservata ai professionisti della vela e alle migliori barche del
settore, e un grosso affare turistico-commerciale.
Trieste ha costruito un bellissimo stadio per il calcio, che
può accogliere squadre di serie A e ha accolto anche qualche partita della
nazionale.
Peccato che la squadra locale, la Triestina non è andata
oltre la serie B, per riempire lo stadio la società ha usato fantocci e teloni
dipinti. Quest’anno, la società è
fallita e per può caso si è iscritta i al campionato di Eccellenza.
Ma sopra ogni attività sportiva c’è la famosa – nella sola
Trieste – società ginnastica triestina, un antico sodalizio, al quale è stata anche intitolata la strada
dove è la sede. Anche qui, quando c’è
stato il fallimento, c’è stata una lunga polemica sulla gestione del
presidente, polemiche e denunzie.
In questa piccola città è difficile trovare un triestino
doc, di almeno 3/4 generazioni, poiché in città sussistono varie popolazioni:
italiani di ogni regione, sloveni, croati, serbi,, tedeschi, austriaci, ungheresi,
greci, ebrei, ai quali si sono oggi aggiunti cinesi, nordafricani e africani,
albanesi, rumeni ecc. In questa città c’è comunque il culto della salute e del
corpo, molti abitanti praticano o hanno praticato in gioventù, almeno un po’ di
ginnastica.
Gli abitanti sono circa duecentomila , in maggioranza
composta da uomini e donne della terza e quarta età. A questo proposito leggevo
che finalmente la città ha il suo bel primato.
Una ricerca internazionale del Mc Kinsey global institute assegna
a Trieste il primo posto per il numero di anziani, di età superiore ai 65 anni,
presenti.
Sono tutti pensionati - Trieste è una città assistita,
dall’Inps - affollano le strade cittadine, i mercati e supermercati, i bus e
pretendono che tutto gli sia dovuto, vivono generalmente soli e, purtroppo, da
soli spesso muoiono senza che nessuno se ne accorga.
La città è solo una stretta striscia di terra, con pochi
spazi nei quali girano troppe auto, la benzina costa ancora poco nella vicina
Slovenia, ma soprattutto è la città dei motorini. Tutti vanno sulle due ruote,
intere strade sono chiuse per consentire
la sosta dei motorini, i morti negli incidenti stradali sono soprattutto
motociclisti.
Una città rumorosa e disordinata, un traffico congestionato,
macchine in sosta in doppia e tripla fila. E’ la città delle Sirene, ma non le
sirene quelle di mare, metà donne e metà pesce, o quelle di Ulisse, che
attraggono i naviganti con le loro voci, ma proprio le sirene dei mezzi di
soccorso, soprattutto ambulanze, e di polizia e carabinieri, che per qualsiasi
cosa inseriscono, tanto che ci sono più sirene in questo angolo di Italia che a
Milano o Roma.
Il triestino autoctono , ma anche chi viene ad abitarci da
fuori, ha un atteggiamento particolare, assume comportamenti singolari, si
atteggia a cittadino di una grande metropoli, ma alla fine vive di
assistenza – visto che son tutti pensionati anche giovani - e rassegnazione, spesso invidiosi dei friulani
più attivi e motivati, e appoggiati da politici di spessore, che sono più
considerati. Perennemente in polemica con i friulani che considera “campagnoli”
e con sloveni, croati e, in generale, quelli dell’est, salvo poi ad andare in
Friuli, in Slovenia, in Croazia, per “magnar e bever”.
Il triestino veste generalmente come gli capita, salvo
ovviamente le eccezioni di chi esagera, al contrario, nell’abbigliamento
ricercato.
Il triestino parla, generalmente, l’unica lingua che
conosce, cioè il dialetto, anche con chi viene da fuori, convinto che tutti
debbano capirlo, e non fa nessun sforzo per tentare di parlare in “lingua”: in
qualsiasi ufficio pubblico, o anche
negozio, devi prima fare un corso accelerato di dialetto.
Qualche volta anche qui si incontra qualcuno che riesce a
parlare italiano, ma sono generalmente persone che vengono da fuori, e anche
triestini che sono riusciti ad allontanarsi dalla città per lavoro in altre
città o all’estero, e tornano di tanto in tanto. Il peggio del peggio è costituito
da quelli che vengono soprattutto dal sud e parlano nel dialetto locale, non si
sa se ridere o piengere.
Da Trieste non è facile allontanarsi, ovviamente per quelli
che ci sono nati, ma anche per coloro che
venuti da fuori, non ce la fanno poi ad andarsene; eppure, chi va via,
si realizza meglio in ogni settore, nel lavoro, nell’arte e in tutti gli altri
campi.
Alta è la frequentazione delle osterie e dei “buffet”, dove
bevi un buon bicchiere di vino fin dal mattino, accompagnandolo con vari
assaggini. I triestini,in verità, sono anche assidui frequentatori e
intenditori di caffè, che può assumere varie forme e denominazioni: nero, lungo o corto, in tazza o bicchiere,
mentre non esiste il classico cappuccino, ma il “capo”, che è il caffè
macchiato e il “gocciato”.
Trieste è conosciuta in Italia solo d’inverno, quando su
tutti i TG, appaiono le immagini di questo vento, la bora, che soffia anche a
più cento all’ora, e molti si chiedono come sarà.
Le previsioni del tempo nazionali, a Trieste ci azzeccano
raramente, diceva un mio conoscente che, per averle più esatte, bisogna vedere
quelle della TV di Capodistria!
Generalmente il triestino “ vero”, non può lavorare tutto il
giorno né studiare, non ha tempo da perdere, e anche nelle brevi pause “deve” andare a Barcola.
Si chiama così il lungomare
occidentale, sulla strada che porta al “castel de Miramar” e poi sulla
costiera fuori città ,
Andare a Barcola, come andar a “magnar in Jugo”, è un rito
al quale nessun abitante di TS può rinunziare, almeno una volta bisogna farlo,
d’estate come anche d’inverno.
L’impegno maggiore, il pensiero che domina la mente del triestino
è rivolto al sole. Quando c’è il sole,
anche d’inverno, il triestino – potendolo fare e se non è costretto dagli orari
di lavoro - lascia tutto, e corre a Barcola..
Qui c’è un rapporto speciale e ravvicinato con il mare e con
il sole, i triestini sono adoratori del Sole e lo seguono lungo il suo corso,
con l’asciugamani o il lettino, da oriente a occidente..
“Andar al bagno” è
l’espressione usata per dire andare al mare, ma – spiacente di deludere i
soliti triestini che pensano di essere unici - non è un espressione tipica di quì,
ma è tipica dei posti di mare: ad esempio.
anche a Napoli si dice “ jamm’o’ bagno “( andiamo al mare), mentre andare al mare
è invece tipica degli abitanti dell’entroterra
A Barcola i triestini
sono tutti uguali, tutti in mutande, c’è la vera democrazia, non riconosci il
disoccupato dal professore, l’operaio
dal professionista.
Tutto il marciapiede del lungomare, un tragitto di circa 2 km, offre la visione della giornata
della popolazione triestina. Ci si va con il bus, con l’auto o con lo scooter,
muniti sempre di lettino regolamentare. L’auto diventa spesso come il proprio
spogliatoio o magazzino, e resta lì ferma tutta l’estate per paura di perdere
il posto. C’è tutto l’occorrente per il mare, sempre anche d’inverno, non si
può mai sapere può capitare una bella giornata di sole e bisogna essere pronti:
lettino, asciugamani, sedioline, costumi e mutande di ricambio e ciabatte,
ombrellone e materassini, bocce e carte da gioco per passare il tempo.
La mattina è, in generale, degli anziani, dai 60/70 in su,
vanno alle 7, si tuffano in un mare -ovviamente fresco -, qualcuno ci resta
pure, e si ritirano alle 11. Dopo quest’ora, avviene spontanea una precisa
suddivisione: in la pineta le famiglie, sulle terrazze dette “topolini” ( sembra
che il nome derivi dal fatto che la loro forma ricorda le orecchie di Topolino,
il personaggio Disney) i ragazzini adolescenti fino ai 18 anni, sui marciapiedi
coppie o single di media età con l’immancabile lettino, tavolino, sedie e carte da gioco, sulle
terrazze del bivio in genere single o coppie medio/ giovani.
Dal primo pomeriggio arrivano i “veri”, cioè commesse e
commessi nell’intervallo della chiusura dei negozi, studenti o nullafacenti, donne e uomini
palestrati, abbronzatissimi.
Dopo le 18, si può incontrare qualche straniero, in genere
professori o ricercatori del vicino centro di ricerca del Miramare
Tutti si spogliano e si rivestono senza alcun problema, stanno uno incollato all’altro, ma non si
parlano e non si guardano, spesso con libro o radiolina con auricolari, e in
alcune terrazze, trovi anche gli appendini privati messi li dagli habituè.
Fino a poco tempo fa non erano ammesse persone estranee né
turisti, oggi può capitare di vederne qualcuno, ma sopportato a malapena
La domenica e altri giorni festivi d’estate , la pineta,
bellissima in primavera e autunno, diventa zona di occupazione, ritrovo di tribù più o meno numerose che si
accampano lì per tutto il giorno. Arrivano – ovviamente di mattina all’alba i
più attenti - armate di lettini, sdraio, asciugamani, materassini gonfiabili e
canotti, tavolini e sedie dove poter mangiare tutto quello che si son portati
da casa, cucinato e non, borse frigo con birre e vino, giochi vari, cani grandi
e piccoli,.ovviamente tutti, donne uomini, anziani e bambini si spogliano in
strada senza alcuna preoccupazione e/o vergogna: Poi si stendono tutti sull’asfalto o su quello
che resta di un prato, e vi giacciono contenti respirando il gas dei tubi di
scappamento delle auto
La sera la pineta
sembra un campo di battaglia. Poi si parla
del sud!.
Un turista o comunque chiunque arriva in questa città la
prima volta e si trova davanti uno spettacolo del genere, come dicevo
all’inizio di questo racconto, resta quanto meno disorientato.
Trieste non è mai stata una città turistica, anche se
ultimamente stanno cercando di cambiare, ma mancano la mentalità e volontà, i
negozi son chiusi, fino a poco tempo fa la domenica tutti i ristoranti del
centro erano chiusi, restavano aperte solo le pizzerie gestite dai soliti
meridionali.
Il turismo a Trieste è quello “mordi e fuggi”, due o tre
giorni al massimo, visto il castello di Miramare e S.Giusto, un giro per la
piazza Unità e il lungomare.
Ultimamente in piazza Unità hanno esposto un megayacht,
pensando che comunque potesse diventare motivo di attrazione o di conoscenza
della città.
Il commento è stato: “ una
operazione pacchiana come tutto ciò che si fa a Trieste in materia di
promozione turistica”.
Le operazioni pacchiane comunque non sono una novità: quella rara volta che attracca una nave da
crociera, l’arrivo veniva accolto da fuochi d’artificio e dalla banda paesana.
I crocieristi apparivano sconvolti da queste iniziative,
mentre salivano sui bus che li portavano in giro soprattutto fuori città. Da
quali bus? Quelli sloveni, più economici e più disponibili..