- A Neapolis si era sparsa la voce dell’arrivo dell’Imperatore. Quasi nessuno, tranne Krom, il magister militum della città, e Sotero, il Vescovo, sapeva che c’era ancora un imperatore e nessuno sapeva di avvenimenti straordinari. Probabilmente, si pensava, si tratta del solito mercenario barbaro che pretende soldi e premi. Se ne erano già visti in passato.
I napoletani, come altri, erano presi da ben altri
problemi di sopravvivenza. La città, i dintorni, cosi come la stessa Roma, da
molto tempo avevano subito saccheggi, invasioni, violenze, e nessun sedicente
imperatore era mai intervenuto. Carestie
e epidemie avevano ammazzato la metà della popolazione, le preghiere a Dio non
avevano aiutato.
In ogni caso la curiosità spingeva la gente a
chiedersi chi era e quando sarebbe arrivato questo imperatore.
Ma non si
trattò di una visita né ufficiale né privata, e neanche entrò in città. Era l’ora
seconda del terzo giorno delle calende di ottobre, poco dopo l’alba:
proveniente dalla strada di Caput de clivo, a Oriente, fu avvistato un corteo
di cavalieri, forse un centinaio, armati fino ai denti, che accompagnavano un
paio di carri abbastanza anonimi, e avanzavano lungo la spiaggia dirigendosi a
occidente. Da alcune barche tirate in
secca, pescatori raccoglievano il pescato della notte, altri riparavano reti.
Non fecero molto caso al passaggio di cavalli e cavalieri, erano abituati.
Sul mare calmo, una leggera foschia nascondeva la
visione del golfo, dell’isola di Capri e della collina di Posillipo. Nel porto
del Vulpulum c’era poco movimento, marinai dormicchiavano ancora sulle tolde
delle navi all’ancora, mentre da una grossa nave panciuta, venivano scaricati
sacchi, anfore e altre merci.
Qualcuno si fermava a guardare il corteo, altri si
facevano da parte per far passare cavalli e carri.
Dalla porta Ventosa era uscito un drappello di
soldati a cavallo guidati dallo stesso Krom, che si diresse al galoppo verso il
porto.
Una galea pronta per partire attendeva quel gruppo:
al centro fu visto un ragazzino, biondino, esile, che indossava una modesta
tunica, seguito da un paio di donne e tre uomini, e circondato da guerrieri: si
disse che quello era l’imperatore. Aveva forse 14 anni, ma come si chiamava? E
che ci faceva lì?
Si chiamava Romolo, circa un mese prima a Ravenna,
Odoacre, uno dei comandanti dell’esercito imperiale, aveva ammazzato tutta la sua
famiglia, lo aveva arrestato e deposto.
Ora veniva accompagnato sull’ isolotto di Megaride,
dove sorgeva il castrum, (oggi castel dell’Ovo), parte di quella che fu la
maestosa villa di Lucullo, davanti al monte Echia.
Romolo era “Augustum filium Orestis”, e ”Odoacer
in lucullano Campaniae castello exilii poena damnavit ”.tre
Il giovane, i suoi accompagnatori e alcuni dei
guerrieri che lo scortavano salirono a bordo, la galea si mosse lentamente e
prese il largo per raggiungere il castello. Correva l’anno 476 d.C.
“A Napoli, - racconta Gino
Doria - finalmente si spense l’estremo, misero guizzo della romanità, già in
decomposizione dopo aver compiuto il suo ciclo glorioso. Nella splendida villa di Lucullo, diventata
castello forte (e si trasformerà di lì a poco in monastero basiliano), ed ivi
relegato da Odoacre, moriva Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore di Roma”.
Per uno scherzo del destino, quel ragazzino portava
lo stesso nome del fondatore di Roma: Romolo
sparì e non se ne seppe più niente.
Secondo alcuni, Romolo moriva “qualche tempo dopo”, ma non si indica
quando.
Secondo altri, Cassiodoro, segretario del re
ostrogoto Teodorico, scrisse una lettera a un "Romolo" nel 507,
confermandogli la pensione di cui godeva, circa seimila solidi.
Se si trattava del piccolo augusto, in
quell’anno doveva essere ancora vivo e aveva circa 45 anni. Secondo un’altra
ricerca, presumibilmente Romolo morì invece “intorno al 485”.
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T. Indelli, Odoacre, la
fine di un impero, Ed. Vivaliber, 2014.
M. Rosi, Napoli dentro e fuori le mura, Ed.
Newton-Compton, 2003.
G. Doria, Storia di una capitale, Ed.
Grimaldi & C. 2014.
C.
De Seta, Napoli, Ed. Laterza, 1981