lunedì 1 settembre 2014

Maria Sofia di Wittelsbach, una vita difficile

                                                                              Ultima  parte e bibliografia




                                                                                  
 
 
       La guerra mondiale

 

    L’alleanza – la cosiddetta Triplice - che l'Italia aveva stretto con la Germania e anche l’Austria già mostrava segni di "cedimento". La gran parte del paese era avversa a quell'alleanza ritenuta "innaturale" dai nazionalisti.
NAPOLI
Il 28 giugno 1914, veniva assassinato a Serajevo, l’erede al trono  di Austria Francesco Ferdinando, nipote di Sofia, e iniziava la prima guerra mondiale.
      Allo scoppio della guerra, l'Italia dei Savoia si dichiarò "neutrale" non rispettando i patti sottoscritti con gli alleati della Triplice.
            Maria Sofia era ovviamente schierata per l'Austria Ungheria contro il regno d’Italia. Quando il "voltafaccia" italiano si manifestò chiaramente con l'intervento in guerra a fianco di Francia e Inghilterra, Sofia non potè che gioire, ritenendo che finalmente i Savoia avrebbero avuta la "lezione" che meritavano, e la loro sconfitta avrebbe determinato gli auspicati rivolgimenti nella penisola.
      Nel frattempo, a causa della sua attività in favore degli Imperi Centrali, l'ex Regina di Napoli era stata costretta a lasciare la Francia e si era rifugiata a Monaco, dove continuò, intensa, la sua battaglia.
Il 23 novembre 1916 moriva, a Vienna, il cognato di Sofia, l’imperatore Francesco Giuseppe, un protagonista del XIX secolo, che aveva visto crollare, dal 1848, il suo impero un pezzo alla volta.
Alcune storie, assolutamente infondate, raccontavano di una Sofia  coinvolta in atti di sabotaggio e di spionaggio contro l'Italia, nella speranza che una sconfitta italiana avrebbe disintegrato l’ unità.
Armando Diaz
 La disfatta italiana di Caporetto dell'autunno del 1917 sembrò l'inizio della catastrofe che poteva culminare nella fine della monarchia degli esecrati Savoia. Il suo sogno sembrava concretizzarsi, ma la gioia e il gusto inebriante della vendetta, a lungo desiderata, per poco tempo acquietarono il suo spirito. Infatti i fanti italiani, con la resistenza sulla linea del Piave fermarono gli Austriaci per poi passare all’offensiva, aiutati in questo anche da truppe alleate.
E, ironia della sorte, l'artefice della vittoria italiana fu un generale napoletano: Armando Diaz.       Gli ultimi mesi di guerra videro l'ex Regina di Napoli nei campi dei prigionieri italiani prodigarsi nell'assistenza. "Fra quei soldati laceri ed affamati, ai quali portava libri e cibo, cercava i suoi napoletani e questi guardavano con curiosità e rispetto una vecchia signora che parlava con uno stano accento tedesco-napoletano”. Erano trascorsi più di cinquanta anni da Gaeta, quei fanti non ne conoscevano neanche la storia, che peraltro era stata ben nascosta.
A novembre del 1920 moriva il fratello maggiore, Ludwig Guglielmo, nato nel 1831.Maria Sofia, l’ultima sovrana delle due Sicilie, morì a Monaco di Baviera, un anno dopo,  il 18 gennaio 1925, a 83 anni. Aveva trascorso 65 anni in esilio, era la penultima delle sorelle Wittelsbach ancora in vita – l’ultima fu Matilde che la seguirà nella tomba il 18 giugno 1925 - e superstite di un mondo che non c’era più.
Solo dopo 123 anni, nel 1984, dopo più di sessanta anni di trattative tra eredi e Stato italiano, i resti di Francesco II e quelli di Sofia e della piccola Cristina, furono finalmente restituiti a Napoli, nella loro città, per essere sepolti nella chiesa di S. Chiara, nel Pantheon dei Borbone, nell’ultima cappella a destra, accanto a quelli degli altri sovrani delle due Sicilie.
 
Ancora oggi a Gaeta, il 14 febbraio, data che riporta alla resa della fortezza e all’esilio del re Francesco di Borbone, si celebra la giornata del regno delle due Sicilie, a cura dell’ Associazione culturale neo-borbonica.                                      

 
                                                  

                                                                     Propaganda, storia e antistoria

 
Il regno di Napoli e di Sicilia, da quando si era formato nel 1130 con Ruggero II° di Altavilla, non aveva mai avuto vita facile: sempre voluto e desiderato da tutti,  tedeschi, spagnoli, francesi, inglesi e perfino il Papa che all’epoca riteneva di essere il signore feudale di quei territori. Tutte le dinastie regnanti sono durate poco, quasi che ci fosse una maledizione: i Normanni, fondatori del regno, esaurirono il loro dominio nel 1194, solo sessantaquattro anni. Arrivarono i tedeschi dell’imperatore Enrico VI, padre di Federico II  - lo “stupor mundi”, che in verità di tedesco non aveva quasi nulla, poiché preferì vivere a Palermo -,che resistettero fino al 1266, settantadue anni. Fu poi la volta dei Francesi con Carlo d’ Angiò, che furono cacciati, ma solo dalla Sicilia, dopo dodici anni: la rivolta fu chiamata i “Vespri siciliani”.
Gli Angiò ebbero miglior fortuna sul continente, a Napoli, nuova capitale, regnarono fino al 1440, circa due secoli e mezzo.
Iniziò allora il periodo spagnolo, prima con gli Aragona fino al 1503, circa sessant’anni, e poi, con Ferdinando il cattolico e i suoi successori, fino al 1713. Per circa vent’anni, poi, ci fu un intermezzo austriaco; nel 1734 il ritorno agli spagnoli con i Borbone fino al 1860, centoventotto anni. Per finire l’unità e i Savoia, per ottantasei anni.  A Napoli tutti i conquistatori – stranieri se si esclude il periodo ducale -  ne furono però conquistati, nel senso che dopo la prima generazione tutti diventarono napoletani.
Nei confronti dei Borbone, e soprattutto degli ultimi, fu fatto quello che non era mai stato fatto per le dinastie precedenti:  la propaganda per “inventare” un nemico, lo “straniero”, anche se è vero  quel che afferma Fabio Cusin,( Antistoria d’Italia, Ed. Mondadori), cioè che “… Granduca( di Toscana), Borbone e papalini fecero di tutto per rendersi  più malvisti”. Si doveva costruire lo Stato unitario, con le buone o con le cattive.  Come spiegare “la macchina del fango” costruita dai vincitori se, come si diceva, il popolo era  a favore dell’unità?   Era necessaria? Come spiegare che a fronte di un plebiscito bulgaro a favore dell’annessione al regno di Sardegna, si verificarono invece tante rivolte? Possibile che non c’era stato neanche un voto contrario? Tra l’altro, visto che la maggioranza della popolazione era costituita da analfabeti, come fecero a votare?

Francesco e Sofia in esilio
 Nei libri scolastici i Borbone venivano dipinti come i classici mangiatori di bambini e i fatti del Volturno e di Gaeta trattati con due parole, mentre si calcava la mano sui “briganti”. Ancora oggi storici di nome, come Lucio Villari ( Bella e perduta, ed. Laterza),  trattano in quattro righe l’assedio di Gaeta e lo declassano “ alla  storia personale dei sovrani napoletani e alla fedeltà e al sacrificio eroico di quanti restarono con loro”, come se non si trattasse, comunque, della storia d’Italia e  di migliaia di morti, italiani di entrambe le parti combattenti..
Per capire gli avvenimenti del 1860 soprattutto in Sicilia, che diedero il via alla invasione di Garibaldi nel pacifico e neutrale Regno delle Due Sicilie, è conveniente individuare i punti deboli, gli anelli della catena che hanno ceduto, il tradimento di persone che rappresentavano i gradi più alti dell’esercito e della marina e che a volte in modo plateale, tal altre in modo goffo o grottesco, disubbidirono agli ordini del Re, il quale era ben conscio di quello che stava accadendo, cercando in diversi modi di tamponare la situazione.
Il primo traditore fu il generale Ferdinando Lanza , solo omonimo dei duchi di Brolo e dei Baroni di Longi e Ficarra, dei Baroni dei Supplementi e di Malaspina, nato a Nocera, che rinchiuse i suoi 20.000 nel castello a Palermo, invece di annientare Garibaldi e i suoi, celebre l'episodio del soldato che in attesa dell'imbarco per Napoli sul molo del porto, rompe le righe e spezza la sua spada con disprezzo verso il generale Lanza che aveva impedito loro di combattere.
In termini di uomini e mezzi l’esercito borbonico avrebbe potuto fare una guerra all’Europa, sicuramente avrebbe potuto annientare il Regno di Sardegna. Allora con questo presupposto che si basa su dati di fatto, su documenti degli archivi militari, è mai possibile credere alla favola dei mille che conquistano la Sicilia con un barcone di pezzenti che sbarca a Marsala, quando l’Armata di mare poteva disporre in tutto 104 vascelli, per un totale di 10000 cavalli e 900 cannoni.
Tra l'altro fu proprio Garibaldi nelle sue “Memorie”, a ringraziare la Marina borbonica per la “tacita collaborazione”.
Lo sbarco in Calabria, scriverà, “non si sarebbe potuto fare con una Marina completamente ostile”. Da qui nacque anche il modo di dire

Mannaggia ‘a Marina”, coniato proprio da Francesco II, che soleva ripetere.
Alle persone di buon senso qualcosa non torna e non può sfuggire che nei libri di storia questi dati non sono mai citati, ma si punta piuttosto sulla favola dell’invincibilità di Garibaldi. Forse sarebbe ora di riscrivere quei testi con senso più critico, senza esagerazioni né da una parte, né dall’altra e insegnare ai nostri figli e alle persone che ancora non lo sanno la storia e la verità. Oggi c’è un grande ritorno  dei Borbone di Napoli,  soprattutto in occasione del cento cinquantenario dell’unità, ci sono studi e revisioni storiche, anche in riferimento alla situazione degli altri stati italiani preunitari.  Rivedere e riscrivere la storia del “Risorgimento” e della formazione dell’unità non significa né la riabilitazione dei Borbone né la condanna dei Savoia, né pensare a una “secessione” -  come oggi qualcuno pensa - ma solo ricercare e raccontare una verità nascosta per anni.  Le continue ricerche storiche portano alla scoperta di documenti e di fatti  nascosti e di macchie ripulite da una certa storiografia  anti meridionalista.
Si è venuti a sapere, ad esempio, che Ferdinando II contrastò la "tratta de' negri", giudicandola un “traffico abominevole”. Così, in effetti, fece nell'autunno del 1839, allorché promulgò la Legge per prevenire e reprimere i reati relativi al traffico conosciuto sotto il nome di Tratta de' negri. Composta di 15 articoli, la Legge prevedeva varie pene, che erano più gravi se qualcuno dei “negri” compresi nel traffico fosse stato fatto oggetto di maltrattamenti o di omicidio.Si è scoperto inoltre che, oggi che si parla tanto di rifiuti a Napoli e differenziata, erano stati per primi i Borbone a lanciare la diversificazione dei rifiuti. Sembra incredibile, ma così recita un decreto presente nella “Collezione delle Leggi e dei Decreti del Regno delle Due Sicilie” ed  emanato il 3 maggio 1832 (n.21) : "Gli abitanti devono tenere pulita la strada davanti alla casa usando l’avvertenza di ammonticchiarsi le immondezze al lato delle rispettive abitazioni e di separarne tutt’i frantumi di cristallo o di vetro che si troveranno riponendoli in un cumulo a parte".
Il prefetto di Napoli dell’epoca, Gennaro Piscopo, ordinò ai napoletani: «Tutt’i possessori, o fittuarj di case, di botteghe, di giardini, di cortili, e di posti fissi, o volanti, avranno l’obbligo di far ispazzare la estensione di strada corrispondente al davanti della rispettiva abitazione, bottega, cortile, e per lo sporto non minore di palmi dieci di stanza dal muro, o dal posto rispettivo. Questo spazzamento dovrà essere eseguito in ciascuna mattina prima dello spuntar del sole, usando l’avvertenza di ammonticchiarsi le immondizie al lato delle rispettive abitazioni, e di separarne tutt’i frantumi di cristallo, o di vetro che si troveranno, riponendoli in un cumulo a parte».
Cosa si sa, ancora, dei soldi rubati ai Borbone da parte dei Piemontesi?  Il regno savoiardo era in condizioni economiche disastrate, la riserva aurea di appena  20 milioni era pure sfumata e esaurita a  causa  delle spesse  dovute alla politica guerrafondaia dei Savoia. Tenere in armi un esercito numericamente esagerato per quello Stato, procedere a continui arruolamenti di volontari e doverli pagare, partecipare e promuovere guerre costava molto.  Al contrario il Regno delle Due Sicilie  possedeva invece un capitale enormemente più alto e costituito di solo oro e argento, una riserva tale da poter emettere moneta per 1.200 milioni.  L’ economia piemontese era invece in ginocchio, I Savoia e Cavour si erano indebitati con i banchieri Rothschild per svariati milioni : quando arrivarono a Napoli e anche a Palermo, trovarono le casse piene e se ne appropriarono derubando i Borbone anche dei beni personali  che maldestramente erano stati lasciati nel banco di Napoli, pagarono i loro debiti e non li restituirono più nulla ai legittimi proprietari.. L’oro dei Borbone scomparve per sempre.
Molte erano già state le voci che si erano levate a favore di una riabilitazione dell’ultimo Borbone, almeno per liberarlo dalla disonesta ma propagandata fama di una sua “imbecillità”. Nel 1924, Sofia aveva 82 anni, viveva n povertà a Monaco ospite di un nipote, così ci narra il giornalista Giovanni Ansaldo che era andato a trovarla per una intervista: Sofia “ trasse fuori due poveri acquerelli, due vedutine del Vesuvio, dolcemente velate da un languore di esilio, che aveva tremato nella mano del dilettante. Il suo fido Barcellona( il cameriere segretario e badante fidato che l’assisteva da sempre), che le era accanto, le trovò belle. “Ti pare?” replicó la regina, socchiudendo gli occhi e guardando in prospettiva i due acquerelli. “Ti pare? Le dipinse il mio re. No, il mio re, tu lo vedi, non fu imbecille… Come dicono.” 
In realtà Francesco II era stato un uomo riservato, sensibile, molto devoto, un sovrano onesto e generoso: aveva vissuto una vita difficile, la morte della madre pochi giorni dopo il parto, nessuna preparazione a governare né ad affrontare emergenze e guerre, morte del padre alla vigilia di avvenimenti così importanti ini quell'unico anno di regno nel corso del quale lo aveva visto crollare insieme alla storica dinastia dei Borbone-Napoli. Principe reale per 23 anni, re per circa 16 mesi e, infine, 34 lunghi anni - oltre la metà della sua breve vita - da esiliato e soprattutto povero.
La sua "napoletanità", una filosofia di vita del tutto contrapposta alla cultura del potere e della guerra e piuttosto fatalista, aveva indotto i suoi stessi sudditi a riferirsi a lui confidenzialmente e affabilmente con il nomignolo di "Franceschiello": un nomignolo del quale si sono poi impossessate le cronache post-unitarie facendone discendere una figura superficiale, debole e patetica, senza che nessuno potesse intervenire a tutela della memoria di un re spodestato e diseredato dagli eventi.   
“Mitezza di carattere – Giuseppe Campolieti, in una completa biografia edita da Mondadori -, signorilità, bontà non significano ingenuità o dabbenaggine”.  Non dimentichiamo che anche di Carlo Alberto di Savoia si è detto che era tormentato da dubbi e incertezze, timorato di Dio, indeciso – il Re Tentenna -.
Il limite di Francesco II è soprattutto caratteriale, schiacciato dalla personalità del padre; egli, secondo Gianni Oliva ( Un regno che è stato grande, ed. Mondadori), “non è il personaggio intellettualmente limitato, sdegnoso del mondo della carne, descritto dalla storiografia risorgimentale: Ha ricevuto l’educazione che spetta a un principe ereditario, dimostrando di essere dotato di buone capacità cognitive; ha seguito un percorso di formazione militare per essere all’altezza delle tradizioni di famiglia e a conosciuto le province del regno seguendo spesso il padre nei viaggi istituzionali”. 
Arrigo Petacco, nella “ Regina del sud” scrive:” se come vuole la migliore retorica, almeno un raggio di gloria deve illuminare il tramonto di una dinastia, Francesco II e Maria Sofia se lo guadagnarono sugli spalti di Gaeta. Perché se è vero che un re e una regina devono mostrarsi tali nei momenti decisivi, gli ultimi sovrani di Napoli si rivelarono in quella occasione degni di ammirazione e di rispetto. Oggi, alla luce della Storia, il loro comportamento a Gaeta acquista addirittura il significato di un presagio. Nessun raggio di gloria, infatti, illuminerà il pronipote del “re invasore” quando, ottantasei anni dopo, sarà anche lui costretto a prendere la via dell’esilio”.
Si riferisce a Umberto II, cacciato dalla volontà popolare e al padre, a quel Vittorio Emanuele III che scappò di notte, abbandonando tutto e tutti al loro destino. E che dire, poi, degli attuali discendenti? Non mi sembra reggano il confronto con quelli di Borbone.
Di questo avrebbe gioito sicuramente Maria Sofia, che non si era mai arresa di fronte alla storia, e che dopo la morte del marito continuò, e nessuno potè fermarla, una lunga battaglia contro gli odiati Savoia.
Maria Sofia ha avuto una vita lunga ma disperata e sfortunata, regina a diciannove anni, esule a venti e per oltre sessantenni, unica superstite delle sorelle Wittelsbach, che non avevano avuto, anche loro, una vita facile.
Maria Sofia
Molti autori parlano e riportano una intervista rilasciata da Maria Sofia nel 1924 al giornalista italiano Giovanni Ansaldo, e poi pubblicata sul Corriere della sera. L’ ultima regina delle due Sicilie viveva a Monaco, da anziana signora - 82 anni - dalla vita travagliata e difficile, in povertà, in un vecchio palazzo. Il giovane giornalista si trovò davanti a una vecchia signora che, malgrado i tanti guai e vicissitudini, aveva conservato una sua regalità e il suo innato charme. Maria Sofia era ancora lucidissima e ricordava perfettamente il suo fin troppo breve ma felice periodo napoletano. “La regina”, che parlava italiano, nel corso dell’intervista non risparmiò giudizi taglienti verso gli odiati Savoia.” I Savoia non sono stati chic verso i Borbone, re legittimissimi”.  Ad un certo punto Maria Sofia diventa persino profetica quando esclama: “Il modo in cui loro hanno trattato noi è di brutto augurio. Dio non voglia che un giorno, anch’essi, non abbiano da difendere, dall’esilio, i loro patrimoni personali”. Profezia, veritiera solo in parte. I Savoia, infatti, nel momento della fuga disonorevole e senza combattere, furono molto più astuti e previdenti provvedendo in anticipo a spostare nei capienti forzieri svizzeri il loro inestimabile tesoro, che era almeno in parte, risultato di ruberie e furti perpetrati a Napoli e nel meridione tutto. Il giornalista restò rapito dalla determinazione e dall’energia della vecchia regina  tanto da non riuscire più ad articolare domande.
Io - raccontava Sofia - invece, sono stata povera e morirò in povertà, come il mio re. Quando partimmo da Napoli abbiamo lasciato quasi tutto, convinti che saremmo tornati, eravamo giovani e illusi, forse non dovevamo andarcene, ma combattere per le strade. Ho lasciato lì perfino il mio guardaroba e la biancheria, tutto si sono presi dopo. Il re lasciò tutto anche i depositi e beni privati al Banco di Napoli, 11 milioni di ducati, circa 50 milioni di franchi d’oro e la mia dote di nozze e i garibaldini si rubarono tutto”. ( secondo l’autore filo borbonico Gigi di Fiore in :” Contro storia dell’unità d’Italia” Ed .BUR Saggi). Ed è vero: il regno sardo , per la politica condotta e le troppe guerre, si era indebitato con tutte le banche europee e si risollevò sequestrando tutti i beni e i contanti che trovò a Napoli e negli altri territori annessi.
 L’ intervista  fu pubblicata nel 1924, ma fu omessa la parte in cui, da “ voi lo vedete sono povera” a “ i loro patrimoni personali “ - , commenti negativi e profezie malevole verso i Savoia, che all’epoca erano ancora regnanti in Italia. Quella parte fu pubblicata solo nel 1950, sul “Tempo”. Non riporto il testo dell’intervista; chi ha interesse può leggerla, nella versione integrale, su Internet.

Bibliografia

 Vittorio Gleijeses, La storia di Napoli, Ed. SEN, 1974

Antonio Ghirelli, Storia di Napoli, Ed. Einaudi, 1973

Harold Acton, I Borbone di Napoli, Ed. Martello-Giunti, 1974

Mario Schettini, Italia, nascita di una nazione, Ed. Newton, 1996

Arrigo Petacco, Il regno del nord,, Ed. Mondadori, 2009

Arrigo Petacco, O Roma o morte, Ed. Mondadori, 2010

Angelo del Boca, Italiani brava gente?, Ed. Neri Pozza, 2005

Lorenzo del Boca, Risorgimento disonorato, Ed. Utet, 2011

Lucio Villari, Bella e perduta, ed. Laterza, 2009

Renata de Lorenzo, Borbonia felix, Ed. Salerno, 2013

Giuseppe Campolieti, Re Franceschiello,  Ed. Mondadori, 2005

Arrigo Petacco, La regina del sud, Ed. Mondadori, 1992

Fabio Cusin, Antistoria d’Italia, Ed. Mondadori, 1970

Pier Giusto Jaeger, Francesco II di Borbone, l’ultimo re di Napoli, Ed. Mondadori, 1982

Denis Mack Smith, Il risorgimento italiano, Ed. Laterza, 1968

Gianni Oliva, Un regno che è stato grande, Ed. Mondadori, 2012

Franz Herre, Francesco Giuseppe, Ed. Rizzoli, 1978

Lucy Riall, La rivolta, Bronte 1860, Ed. Laterza, 2012

Gigi di Fiore, I vinti del Risorgimento, Ed.Utet, 2004

Alessandro Barbero, I prigionieri dei Savoia, Ed. Laterza, 2012

Raffaele de Cesare, La fine di un regno, Ed. Longanesi & C., 1969

Carlo Alianello, La conquista del sud, Ed. Rusconi, 1972

Aldo de Jaco, Il brigantaggio meridionale, Editori riuniti, 1969

Giordano Bruno Guerri, Il sangue del sud,  Ed. Mondadori, 2010

Gigi di Fiore, Controstoria dell’unità d’Italia, Ed. Rizzoli, 2007

Gigi di Fiore,  Gli ultimi giorni di Gaeta, Ed. Rizzoli, 2010

Ferdinando Russo, Poesie napoletane, Ed. Newton, 1995

 

 

sabato 16 agosto 2014

Maria Sofia Wittelsbach, una vita difficilie


                                                                       
                                                                   Quinta parte

                                                                                    La guerra civile


Bronte,storia di un massacro
Con l'appoggio del governo borbonico in esilio e dello Stato pontificio, la ribellione fu condotta principalmente da elementi del proletariato rurale ed ex militari borbonici (oltreché da renitenti alla leva, disertori ed evasi dal carcere) che, spinti da diverse problematiche economiche e sociali, si opposero alla politica del nuovo governo italiano. Secondo alcuni storici, fu la prima guerra civile dell'Italia.   Sul cosiddetto brigantaggio meridionale e post unitario molto di si è scritto da parte di autori, storici di ogni tendenza e solo da poco si è dato risalto alle motivazioni sociali e ideologiche, perché prima erano solo briganti e banditi da fucilare sul posto, senza alcun processo. Ma non è questo il luogo per poterne parlare a fondo. Già nel 1860, mentre era in corso l’occupazione della Sicilia, proteste rivolte e morti si erano verificati in alcuni paesi, come  quella più famosa di Bronte, ma non erano  né briganti né borbonici, erano solo contadini che chiedevano la distribuzione delle terre comuni, come era stato promesso dallo stesso Garibaldi. La causa scatenante fu la privatizzazione delle terre demaniali a vantaggio dei vecchi e nuovi proprietari terrieri, che così ampliarono legalmente i loro possedimenti in cambio di un maggior controllo del territorio e della fedeltà al nuovo governo. Tutto ciò danneggiava i braccianti agricoli più umili, cioè quelli che lavoravano a giornata con lavoro precario e senza un rapporto di radicamento nel territorio, che con la sottrazione delle terre demaniali da loro utilizzate si ritrovarono a dover vivere in condizioni economiche ancora più disagiate e precarie rispetto al passato. A tutto ciò si aggiunse l'entrata in vigore della leva militare obbligatoria, che non c’era prima.  Le vere ribellioni contro gli occupanti si erano verificate dopo l’annessione, in Calabria, in Puglia, in Abruzzo e in Campania, bande composte da centinaia di persone e comandate da personaggi in genere ex- militari borbonici, Già nell'ultima fase della occupazione i borbonici, avevano deciso di fare ricorso a formazioni armate irregolari a supporto delle truppe regolari   ancora attive tra il Sannio e l’Abruzzo, al fine di coprire il fianco rispetto all'avanzata verso sud dell'esercito Sardo.  Questa guerra civile interessò quasi tutte le regioni dell'entroterra del regno borbonico annesso al nuovo regno sabaudo italiano, tuttavia il fenomeno fu del tutto assente in quelle regioni del meridione in cui le condizioni economiche erano decisamente migliori, come ad esempio nelle aree urbane e industrializzate, nelle zone agricole più produttive e nell'amplissima fascia costiera del Mezzogiorno e della Sicilia.
Francesco II°, ma soprattutto la moglie Sofia, entrò in contatto con i ribelli fomentandola e favorendone l'azione; essi davano filo da torcere ala guardia nazionale e all’esercito di occupazione.  Briganti nel regno ce ne erano sempre stati ed erano stati spesso usati dai Borbone come nel 1799, ( ricordiamo fra’ Diavolo, Michele Pezza ), ma stavolta il fenomeno aveva assunto dimensioni diverse, era diventata una vera guerra partigiana e civile, alla quale si rispondeva con leggi eccezionali e il il sistematico ricorso ad arresti in massa, esecuzioni sommarie, distruzione di casolari e masserie, vaste azioni contro interi centri abitati: fucilazioni sommarie e incendi di villaggi erano frequenti, e non era opera dei briganti che essendo tali potrebbe trovare una sua giustificazione, ma invece quelle effettuate dai bersaglieri italiani e per rappresaglia è stata paragonata alle rappresaglie naziste dell’ultima guerra.
Si ricordano gli eccidi della popolazione civile dei paesi Casalduni e Pontelandolfo nell'agosto 1861 messi a ferro e fuoco dai bersaglieri, per rappresaglia dopo il massacro di oltre 40 militari regolari perpetrato da briganti con l'appoggio di elementi attivi della popolazione locale.


Carmine Crocco
Tra i briganti più famosi spicca il nome di Carmine “ Donatello “ Crocco, operativo in Basilicata e sul Vulture, che conduceva un  esercito di 2.000 unità, e poi anche Ninco Nanco, Chiavone e Giuseppe “Zi Peppe” Caruso, Giovanni "Coppa" Fortunato, il sergente Romano, e altri. Per non parlare poi delle donne “briganti”, madri, sorelle, mogli, amanti dei ribelli e ribelli anche loro: consiglio per l’argomento di leggere “Il bosco nel cuore” di Giordano Bruno Guerri, edito da Mondadori.
 Il governo napoletano in esilio mandò, in aggiunta, alcuni agenti legittimisti, come il generale spagnolo José Borjes e il francese Augustin De Langlais, per organizzare e disciplinare le bande. E c’erano anche molte donne.  Secondo le stime di alcuni giornali stranieri che si affidavano alle informazioni ufficiali del nuovo Regno d'Italia, in un solo anno, dal settembre del 1860 all'agosto del 1861, vi furono nell'ex Regno delle Due Sicilie: migliaia di morti fucilati e feriti, uomini, donne e bambini                                                                                        

                                                                                  L’amore 

Nel frattempo, e in questa situazione disperata, sembra che accadde anche qualcosa altro, di molto personale: Maria Sofia si innamorò di un ufficiale di origine belga della guardia pontificia, e rimase anche incinta. In verità questa storia fu avvolta da segreto, poiché il nome di questo ufficiale non compare mai nelle varie chiacchiere ed elenchi di molti amanti attribuiti a Sofia. Evidentemente la cosa fu tenuta ben nascosta e fu l’unica vera.  Armand de Lawayss, questo il nome dell’ufficiale, era stato assegnato dal Papa come “ cavaliere d’onore” di Maria Sofia. E qui, poiché si vedevano tutti i giorni, “ l’amore non tardò ad esplodere, e per Maria Sofia fu certamente la prima volta e, forse, anche l’ultima” ( Arrigo Petacco, la regina del sud, ed. Mondadori),.  Sofia restò incinta, si ritirò, con una scusa, a casa dei genitori in Baviera dove partorì in segreto, dando alla luce due gemelle. Le bambine furono separate, e affidate a famiglie del posto.  P.G. Jaeger afferma che, quando la regina partì improvvisamente per la Baviera nel ’62,” si disse ( e il pettegolezzo  fu diffuso in realtà, anche in ambienti aristocratici ), che fosse andata a partorire un figlio della colpa, anzi, nella specie, una figlia”.  Intanto il giovane Armand aveva deciso di andare a trovare Sofia e vedere le sue figlie. Qui inizia una specie di romanzo popolare o un film romantico: ad Armand viene negato l’ingresso in Baviera altrimenti lo arrestano, il giovane invece insiste, va avanti si perde tra le montagne  coperte di neve, e comunque riesce ad arrivare a casa del fratello di Sofia che gli concede solo di scriverle una lettera. Egli morirà nel ’70, consunto dalla tisi.  Sofia cadde in depressione e decise di confessare la relazione a suo marito. La rivelazione, è ovvio, non giovò al rapporto tra i due, anche se Francesco aveva riconosciuto che una parte della colpa in tutta la vicenda era sua e che si era rassegnato. Solo dopo molto tempo, la situazione migliorò fino al punto che, come vedremo, Francesco si decise a consumare il matrimonio.

                                                                           Maria Cristina

Francesco si  sottopose ad un'operazione che gli consentì di consumare il matrimonio, e Maria Sofia rimase incinta. Entrambi erano felicissimi per l'evento e pieni di speranza per l’erede al trono. Il 24 dicembre 1869, dopo dieci anni di matrimonio, Maria Sofia diede alla luce una figlia, Maria Cristina, come la madre di Francesco, e Sissi, l'imperatrice Elisabetta, ne divenne la madrina. La gioia fu breve, i dolori per Sofia e per Francesco, non erano finiti: la bambina morì di lì a tre mesi: la sera del 28 marzo, la piccola principessa, già di gracile costituzione, morì per improvviso malore.  Dopo questa tragedia Maria Sofia non fu più la stessa.

                                                                    La situazione europea


Nel 1866 ci fu una nuova guerra contro l’Austria, il neonato regno d’Italia si era alleato con la Prussia, e fece una pessima prova con il nuovo suo esercito unitario, sconfitto sia a Custoza, sia per mare a Lissa  dalla flotta austriaca.  Tra i generali sconfitti e che fecero un pessima figura, c’erano quel tale che aveva diretto l’assedio di Gaeta, Cialdini e per mare l’ammiraglio Persano che aveva bombardato Gaeta dal mare. Tra le file austriache c’erano anche soldati dell’ex regno borbonico e tra gli ufficiali, i fratelli di Re Francesco: inutile sottolineare per chi parteggiava Sofia, che fu molto soddisfatta della sconfitta dei Savoia e che  sperava sempre in una eventuale rinascita del ex-reame.
Cammarano: la presa di Porta Pia
Nel 1870 cadeva anche Napoleone III°, il vecchio Luigi Napoleone , figlio di Luigi Bonaparte, fratello più giovane di Napoleone I, che era al governo della Francia dal 1848 e si era atteggiato a protettore del papa e dei Borbone di Napoli. Egli, in guerra con la Germania unificata dal cancelliere prussiano Bismark, fu sconfitto a Sedan e fatto prigioniero. I Savoia non mossero un dito per aiutare chi li aveva aiutati nel ’59, e l’unico che andò a combattere contro i prussiani  per la Repubblica francese, fu il solito Garibaldi. A Parigi, infatti, si era formata la repubblica e poi la Comune, una esperienza rivoluzionaria di tipo socialista che durò, assediata dalle truppe tedesche e altre legittimiste, per circa un anno e si concluse con un massacro a maggio 1871.
Intanto in Italia, il governo, approfittando della sconfitta francese e del ritiro delle truppe francesi dallo Stato pontificio, invadeva i territori pontifici, ovviamente, come d’abitudine, senza una dichiarazione di guerra, sconfiggeva il piccolo esercito del Papa, e a  settembre 1870 entrava a Roma.  Cessava finalmente il potere temporale dei papi e giungeva a compimento l’ obiettivo di Roma capitale.

                                                                                             Parigi


 A quel punto, Francesco e Maria Sofia abbandonarono Roma e si trasferirono a Parigi, in una villetta da loro acquistata in Saint Mandé, dove vissero privatamente senza grandi mezzi economici perché Garibaldi aveva confiscato tutti i beni dei Borbone.  il Governo italiano ne aveva proposto la restituzione a Francesco II°, ma solo al patto di rinunciare ad ogni pretesa sul trono del Regno delle Due Sicilie, cosa che egli non accettò mai, rispondendo sdegnato: "Il mio onore non è in vendita".
Egli, oramai si faceva chiamare  semplicemente “sig. Fabiani” o qualche volta” duca di Castro”,                         
insieme alla moglie ripensava spesso, con quel fatalismo tipico dei napoletani, ma anche dei meridionali in generale, alla sua vita e ai fatti che avevano portato all’esilio: la sua vita, la madre che non aveva conosciuto, Cristina di Savoia, il padre Ferdinando, quello si che era”nu’ rre”, avrebbe potuto prendersi tutta l’Italia se solo avesse voluto.

 E il palazzo di Portici, dove aveva trascorso l’adolescenza e i suoi precettori, e poi Sofia, bellissima quando l’aveva vista la prima volta a Brindisi, e poi gli ultimi fatti…. Avrebbe potuto restare a Napoli? Avrebbe dovuto far sparare sulla città?
 Traditori e incapaci quei generali ai quali si era affidato: Nunziante un traditore, Lanza un incapace, che aveva ceduto Palermo,  e  Landi, a Calatafimi, dove stava vincendo e si era ritirato, e anche suo zio Leopoldo, il conte di Siracusa che faceva il liberale, e i capitani della flotta che si erano consegnati ai piemontesi? E Filangieri, troppo vecchio per intervenire,….e tutti gli altri dalle Calabrie agli Abruzzi, qualcuno  era stato  anche ammazzato dalle truppe arrabbiate. E la Costituzione, data ormai troppo tardi.

E quel Liborio Romano, che, come gli avevano riferito, aveva arruolato i  camorristi e guappi nella polizia, per mantenere l’ordine pubblico in città.
 Se lo ricordava quel giorno del 6 settembre del ’60, quando prima di partire da Napoli, tutti i ministri andarono a salutarlo e a don Liborio, con quella sua aria tronfia e arrogante, aveva detto” don Libò, guardat’ o cuollo”, cioè bada alla tua testa, che se torno….. e ricordava il ministro Michele Giacchi al quale aveva detto:” voi sognate l’Italia e Vittorio Emanuele; ma  non vi resteranno neanch’ ll’uocchie pe’ chiagnere” - purtroppo sarete infelici -.
Mai previsione fu più azzeccata, Francesco lo sapeva, i proprietari e i ricchi erano sempre gli stessi a agli altri non era stato dato niente, stavano meglio quando pensavano di stare peggio.  Poi aveva trovato a Ritucci,” nu brav’ommo”, fedele ai Borbone, un gentiluomo all’antica,  al contrario di quel bifolco di Cialdini, quel piemontese arrogante, e quel vigliacco cialtrone di Persano, l’ammiraglio. Forse, in tutto questo schifo, era meglio Garibaldi, almeno era onesto ed era stato pure licenziato dal Savoia, senza neanche un grazie.   Bravo Ritucci,  mai avrebbe tradito e si era comportato bene sia al Volturno sia a Gaeta. E Beneventano del Bosco, irruento, audace, forse troppo, e fedele, e tutta la truppa, ripulita da traditori, corrotti, incapaci e vigliacchi..
In effetti aveva sbagliato, doveva prendere il comando diretto dell’esercito, come gli suggerivano la moglie e i fratelli e fermare l’avanzata garibaldina, prima, in Sicilia anche, o forse  nella piana a sud di Salerno e non scappare dalla capitale.
Sarebbe cambiata qualcosa? Chissà!  Quel Napoleone, un doppiogiochista, ora anche lui aveva perso la Francia a Sedan, e nessuno gli aveva dato una mano, neanche quei fetenti dei Savoia. l’Inghilterra non ne parliamo, mai fidarsi di un inglese, ce l’avevano già con papà,  per quegli affari che volevano combinare in Sicilia, e i siciliani fissati con l’autonomia da sempre, e  mio cognato Francesco Giuseppe, che aveva solo minacciato,  ma non aveva mosso un dito. Anche lui, ora, stava in cattive acque.
Le rivolte contadine e i suoi ex soldati non avevano combinato niente, ma la sua previsione fatta quel giorno di settembre a Napoli prima di andarsene, si era avverata: a Napoli, nelle provincie e in Sicilia si erano accorti che i fratelli del nord, i liberali, non erano poi tanto fratelli e neanche tanto liberali.  I Siciliani che volevano essere autonomi da Napoli, si erano ritrovati con uno Stato ancora più accentrato e per giunta molto più lontano, a Torino. E le rivolte non si contavano più.

E Sofia? Una eroina per i soldati, sarà ricordata sicuramente..Ridotti a vivere sotto i bombardamenti in una casamatta con tre stanzette condivise con altri per tutta la durata dell’assedio: lì aveva vissuto i giorni più intimi e più intensi della sua unione con Sofia.
                                       


                                                                  Morte di Francesco e altri lutti

 
Altre tragedie di carattere familiare attendevano Sofia: il marito si era ammalato di diabete, nel 1878, la sorella Matilde era rimasta vedova del marito, Luigi di Borbone, conte di Trani – fratello di Francesco – suicidatosi.
Nel 1886 era morto in circostanze misteriose, classificate come suicidio, il cugino Ludwig di Baviera, due anni dopo moriva il padre, il duca Max, per un colpo apoplettico. Nel 1889, a Mayerling, il nipote Rodolfo, figlio della sorella Sissi e di Francesco Giuseppe, l'erede al trono austriaco, moriva, forse suicida insieme all'amante, la baronessa Maria Vetsera. Elisabetta non si riprese mai interamente da questo dolore, portando fino all'ultimo giorno della sua vita un lutto strettissimo e, sempre in preda a esaurimenti nervosi, continuò a viaggiare per l'Europa, fino alla sua morte.
Nel 1890, a Ratisbona, moriva la sorella maggiore Elena, principessa Turn und Taxis, in seguito ad una infiammazione alla gola che le impedì di nutrirsi. Le forze l'abbandonarono in più fu colta da febbre alta e da delirio. L'imperatrice Elisabetta rimase accanto alla sorella fino alla fine.

Francesco II anziano
 Nel 1892 moriva la duchessa Ludovica, la madre di Sofia, a 83 anni per gli effetti di bronchite, e nel 1893 se ne andava il più giovane dei fratelli, Massimiliano a soli 42 anni.
L’anno successivo moriva invece suo marito, Francesco II°, ex re delle due Sicilie.
Nell'autunno del 1894 Francesco, che soggiornava nella località termale di Arco, in Trentino, ospite dell’arciduca Alberto d’Asburgo, in territorio austriaco, già sofferente di diabete, si aggravò. Subito raggiunto da Maria Sofia, dopo pochi giorni, il 27 dicembre 1894, morì. Aveva 58 anni: le fotografie che lo ritraggono mostrano però un uomo che sembra molto più vecchio.
La notizia della morte dell’ex-re raggiunse anche Napoli. Sul  giornale “Il Mattino”, Matilde Serao, dando la notizia e commentando l’esilio del re scrisse: .” galantuomo come uomo, gentiluomo come principe, ecco il ritratto di don Francesco di Borbone”.
Trascorrono solo tre anni, nel 1897, moriva in un incendio a Parigi, la sorella più giovane Sofia Carlotta, dopo aver salvato altre ragazze tra le fiamme, solo quando ebbe salvata l'ultima, decise di correre via. Ma le fiamme furono più veloci di lei.opo solo un anno, ecco per Maria Sofia, una ulteriore tragedia familiare: nel 1898, nel mese di settembre la sorella Sissi, sempre in viaggio e sempre vestita di nero dopo il suicidio del figlio Rodolfo, mentre doveva imbarcarsi per la frazione di Montreux Territet, fu pugnalata al petto con una lima dall'anarchico italiano Luigi Lucheni. L'imperatrice che correva verso il battello si accasciò per effetto dell'urto, ma si rialzò e riprese la corsa, non sentendo apparentemente nessun dolore. Arrivata sul battello,  impallidì e svenne. Il battello fece retromarcia e l'Imperatrice fu riportata nella sua camera d'albergo, dove spirò un'ora dopo, senza aver ripreso conoscenza.

 
                                                                                  Gli anarchici e il mito

 
Intanto, il tempo passava, Sofia aveva un carattere forte e determinato, sperava, ma probabilmente non ci credeva, ancora nella restaurazione del Regno delle Due Sicilie, era animata da un grande spirito di vendetta, e odiava i Savoia.
Si ritirò nella villa di Neuilly, vicino Parigi, e “ ..quando fece riparlare di sé, fu per la notizia che si sparse al tempo dell’assassinio di re Umberto, che ella, nella sua casa di Parigi, accoglieva a colloquio socialisti e anarchici italiani…..” ( Benedetto Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, 1924).  A Parigi coltivò  la sua passione per i cavalli e seguiva le gare in varie località europee, come Londra, dove si appassionò anche alla caccia alla volpe.
Secondo la polizia dell’epoca nacque una intesa fra anarchici, rivoluzionari socialisti e legittimisti borbonici, e agenti del Vaticano, in quanto tutti speravano che un crollo del novello Stato unitario avrebbe determinato, insieme alla cacciata dei Savoia, un nuovo assetto politico in Italia e la possibilità per i borbonici di ricostituire l'antico Stato.
      E' facilmente intuibile come questo vento rivoluzionario rinfocolasse le speranze e rinnovasse gli ardori di Maria Sofia e della sua corte di Neuilly, allora sorvegliata dalla polizia italiana e francese.
 Il regno d’Italia si trovava ad attraversare una grave crisi economica e sociale, i primi scioperi agitavano tutte le piazze delle principali città: siamo nel 1898, a maggio, a Milano, il generale Bava Beccaris, incaricato di mantenere l’ordine pubblico, prese a cannonate i manifestanti, operai, contadini, donne e bambini, provocando centinaia di morti.
Il 29 luglio del 1900, il re Umberto I° fu ucciso a Monza dall’anarchico Bresci. 
I rapporti e le informazioni della polizia dell’epoca indicavano alcuni indizi che potevano ricondurre a Maria Sofia, come ispiratrice  dell'attentato, ma nulla fu possibile provare.
Umberto di Savoia
Sofia era evidentemente ancora presente nelle paure del traballante governo italiano: sebbene fossero trascorsi circa cinquant'anni dalla fine del regno meridionale e Maria Sofia avesse ormai settant'anni, con alle spalle una lunghissima serie di delusioni e angosce, non rinunciava affatto a tessere le sue trame contro i Savoia e a sperare nei mutamenti della politica europea.
Nel 1909 moriva il fratello Carlo Teodoro. 
   Alla corte di Vienna l’arciduca Francesco Ferdinando, nipote di Francesco Giuseppe  e suo erede, nipote anche di Sofia, in quanto figlio di sua cognata Maria Annunziata, nell'ottica di una politica anti-italiana, apertamente auspicava il ricongiungimento del Lombardo-Veneto all'Austria e, in un futuro riassetto della penisola, il ripristino del Regno delle due Sicilie.
l mito dell’eroina di Gaeta era tale che, ancora cinquant’anni dopo i fatti, il poeta Ferdinando Russo la ricordava nella sua: ” ‘O surdato ‘e Gaeta”.: “ E’ ‘a Riggina! Signò.. quant’era bella..! e’ che core teneva!...Steva sempe cu’ nuie….chella era na’ fata!...” ( la Regina, Signore come era bella. E che cuore aveva,  ..stava sempre con noi, era una fata!).  Marcel Proust ha parlato di lei come della “regina soldato sui bastioni di Gaeta”.
Soprattutto nel Mezzogiorno è diventato un “ mito: “Maria Sofia, giovane e bellissima regina, mai disposta ad accantonare la sua spregiudicata lotta per riavere il regno” ( R.De Lorenzo, Borbonia felix, ed .Salerno 2013).
alche anno dopo, anche D’Annunzio la ricordava come “ aquiletta bavara” ne “Le vergini delle rocce”, un romanzo ambientato nell’ex regno delle due Sicilie, ma la definizione non era piaciuta a Sofia.
   Fosche nubi si addensavano sui cieli d'Europa che preludevano alla prima guerra mondiale.
   


  
 


 

 

domenica 13 luglio 2014

Maria Sofia Wittelsbach, una vita difficile


    Racconti di Storia presso Università della terza età
     " Danilo Dobrina" di  Trieste                                                   

                
                                                                                     Introduzione

 

 
Il territorio meridionale della penisola italiana, dall’Abruzzo e dal basso Lazio fino alla Sicilia, fu costituito in regno unico da Ruggero II, nel 1139 e così restò, salvo brevissimi periodi, fino al 1860. Il regno fu nel corso dei secoli governato e conteso da tedeschi, francesi, spagnoli e perfino dal Papa, fino ad arrivare alla definitiva scomparsa.
Dal 1734 il regno fu governato dalla famiglia Borbone, il cui capostipite fu Carlo, figlio di seconde nozze di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese. I Borbone discendevano da Luigi XIV, il re Sole, di Francia e governavano oltre che il Francia, anche in Spagna, e quindi in Italia, nel regno di Napoli e Sicilia e anche nel ducato di Parma e Piacenza.  Tutti i Re Borbone di Napoli e delle due Sicilie  sposarono donne di origine austro/tedesche, ad iniziare dal capostipite Carlo: non certo per amore, ma, come si usava, solo per motivi di convenienza e di alleanze politiche.
Carlo
Maria Amalia
A Carlo fu data in moglie Maria Amalia, figlia del re di Sassonia, quando aveva appena 14 anni.  Secondo Harold Acton ( I Borbone di Napoli, ed. Giunti ): ”Maria Amalia era alta, bionda con gli occhi azzurri, tipicamente sassone;era dignitosa ma vivace, anzi irascibile; oltre il latino, conosceva il francese e l’italiano e ,come il Re, amava cavalcare e andare a caccia. Il suo colorito fu presto rovinato dal vaiolo, e molti la consideravano brutta, ma affascinò sempre suo marito, monogamo per natura, e indifferente alle atre donne”. Per il figlio Ferdinando, Carlo si rivolse all’imperatrice Maria Teresa d’Austria, sia per una questione di alleanze si perché l’imperatrice aveva un gran numero di figlie da accasare. Dopo vari tentativi di concludere il matrimonio con due figlie di Maria Teresa, Maria Giuseppina, morta per vaiolo, e un’altra sorella, Maria Amalia, rifiutata perché più grande di Ferdinando di cinque anni, Carlo III optò per la terza scelta: Maria Carolina (a fianco), tredicesima dei figli dell’imperatrice. “ Sua maestà è una bella donna, ha il colorito più fine e trasparente che io abbia mai visto;….occhi larghi, brillanti, di un azzurro cupo, sopracciglie ben delineate e più scure dei capelli – che sono castano chiaro -, naso piuttosto aquilino, bocca piccola, labbra molto rosse, bellissimi denti bianchi…. È abbastanza grassottella per non sembrare magra, ha il collo lungo e sottile…”.  ( H.Acton, opera citata)  Francesco I, figlio di Ferdinando, sposò la cugina Maria Clementina, figlia del fratello della madre, Leopoldo d’Asburgo, granduca di Toscana e poi imperatore d’Austria. Era più alta di Francesco.” Era fortemente butterata dal vaiolo ma aveva un portamento regale”. Scriveva Maria Carolina nel suo diario: ”.. suo marito è suo marito tre o quattro volte nelle ventiquattro ore, cosa che la interessa..”. Partì da Trieste per raggiungere il sud Italia, come si usava e come farà anche l’ultima Regina.  Per Ferdinando II° si volle cambiare, e fu scelta una Savoia, Maria Cristina. Religiosissima e pia,si occupò solo di opere di bene e morì subito dopo il parto a 23 anni, il 31 gennaio 1836. E’ stata anche santificata. Ma non era stata una moglie adatta al re Ferdinando, troppo rigida, che, per le seconde nozze, tornò alle vecchie abitudini: si rivolse  a Vienna, e sposò l’arciduchessa Maria Teresa d’Asburgo.” Belloccia, di modi raffinati, un tantino sostenuta”, (G.Campolieti, re Franceschiello, Ed. Mondadori), “..occhi chiari, fronte spaziosa,  bocca larga, capelli senz’acconciatura, sguardo freddo, c’era qualche cosa di duro e di repellente in tutta la piccola persona..”( Raffaele de Cesare, La fine di un regno, Ed.Longanesi ).  E arriviamo all’ultimo re regnante, Francesco II°, per il quale, per non cambiare, si pensò a una tedesca: la sorella dell’imperatrice d’Austria, Maria Sofia Wittelsbach, di Baviera.

                                                                         
                                                                                   Prima parte

                                                    In Baviera


La  Baviera è una piccola  regione tedesca, oggi uno degli Stati federali della Germania, al confine con l’Austria, che  ha come capitale Monaco; anticamente era un ducato e fu governata, dal 1180, dalla famiglia Wittelsbach,  con il duca Ottone, messa lì dall’imperatore Federico Barbarossa. All’epoca della riforma luterana, la Baviera divenne la roccaforte del mondo cattolico oltre le Alpi. Il duca Massimiliano capeggiò la lega cattolica tedesca in una guerra contro i protestanti che durò per 30 anni, dal 1618 fino al 1648, tra alterne vicende. Dal 1632, i Wittelsbach erano stati nominati principi elettori e come tali poterono fare politica a livello europeo. Dal 1810, con la fine del sacro romano impero decretata da Napoleone, la Baviera divenne un regno con Massimiliano Giuseppe, al quale successe il figlio Ludwig I°.  Il re più famoso della Baviera, dal 1864 al 1886, fu il nipote Ludwig II°,  individuo eccentrico, omosessuale, anche se si provò a fidanzarlo con la cugina Sofia Carlotta, sorella minore di Sissi, l’imperatrice d’Austria, per dare un erede al trono, ma egli fece rinviare sempre la data del matrimonio,  e il fidanzamento fu annullato. Fu dichiarato malato di mente e misteriosamente morì il giorno dopo che fu deposto dal trono.
Bavarese era Elisabetta di Wittelsbach, detta Sissi:  era nata il 24 dicembre 1837 a Monaco, quarta di dieci figli del duca Massimiliano, detto Max, e di Ludovica, figlia del re Massimiliano di Wittelsbach.   I genitori di Elisabetta appartenevano alla stessa famiglia Wittelsbach, ma il padre discendeva da un ramo collaterale dei duchi, mentre la madre apparteneva al ramo principale della famiglia reale.  La famiglia era abbastanza eccentrica, marito e moglie vivevano una vita coniugale piuttosto turbolenta, ma tutto sommato felice: dal matrimonio con Ludovica nacquero dieci figli, cinque  maschi (Luigi Guglielmo, Guglielmo Carlo, Carlo Teodoro, Massimiliano, Massimiliano Emanuele) e cinque femmine ( Elena Carlina Teresa, Elisabetta Amalia Eugenia, Maria Sofia Amalia, Matilde Ludovica e Sofia Carlotta Augusta), di cui otto raggiungeranno l'età adulta.   Assai disinteressato alla famiglia, padre di alcuni figli illegittimi, il duca Max, suonava qualche strumento musicale, era un grande viaggiatore, dall’Italia e Svizzera all’ Egitto e alla Turchia.  Nel cortile del suo palazzo neoclassico di Monaco, fece anche erigere un piccolo circo in cui amava far esibire figli e figlie in spericolati giochi equestri, e un caffé nel quale radunava poeti e pittori spiantati. Egli stesso amava scrivere poesie e commedie, che pubblicava in imponenti raccolte sotto lo pseudonimo di “Phantasus”, e suonare la cetra, strumento per il quale ebbe una vera e propria predilezione e compose numerose melodie.   I progetti matrimoniali per i figli e le figlie furono lasciati all'ambiziosa moglie Ludovica e a re Massimiliano II di Baviera a cui, come capo famiglia, spettava l'ultima parola a riguardo. La duchessa Ludovica, non partecipava alla vita di corte bavarese, ma preferiva rimanere in disparte e occuparsi personalmente dell'educazione dei figli, e a sposare le figlie femmine con un buon partito. Ma non poteva prevedere che le figlie che lei riteneva aver sistemato meglio – Elisabetta imperatrice e Sofia regina -  sarebbero state, come vedremo, sfortunate sia nel privato che nel pubblico.
Il miglior partito la duchessa Ludovica lo raggiunse con Elisabetta che sposò l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Fu peraltro un matrimonio non di interesse, ma d’amore; il giorno dopo averla incontrata, il giovane imperatore “ andò nella camera della madre e le manifestò il suo entusiasmo…. per Sissi”( Franz Herre, Francesco Giuseppe, Ed. Rizzoli). Lo stesso Herre descrive Elisabetta, allora quindicenne “ un viso delizioso, occhi da cerbiatta, capelli d’oro scintillanti, un corpo da bambina, nel quale già si delineavano le forme femminili, ….. ma più che alla casalinga madre assomigliava allo stravagante padre…”. Pur innamorata del marito e essendone ricambiata, Sissi, appena giunta a Vienna, dovette accorgersi subito delle difficoltà che l'attendevano. Nata e cresciuta in una famiglia di costumi semplici sebbene nobile, si trovò al centro della rigida corte asburgica, ancora legata a un severo "cerimoniale spagnolo", cui inizialmente la giovane imperatrice dovette sottostare. Privata dei suoi affetti e delle sue abitudini, Elisabetta cadde presto malata, accusando per molti mesi una tosse continua e stati di ansia. Il 21 agosto 1858  nacque l'arciduca Rodolfo, principe ereditario dell'Impero d'Austria, ma il parto portò gravi conseguenze alla madre, che oltre a febbre che andava e veniva, cadde in depressione.  La primogenita Elena fu invece sposata al principe di Thurn und Taxis ( Torre e Tasso italianizzato), la sorella Sofia Carlotta dopo essere stata inutilmente promessa al cugino re Ludwig,  sposò il duca di Alencon e morì tragicamente nel 1897, e poi Matilde, che sposò Luigi Borbone, il conte di Trani, fratello di Francesco di Borbone.
La duchessa Ludovica piazzò, nel 1859, anche Maria Sofia, con Francesco II di Borbone, erede al trono delle due Sicilie, ma non poteva prevedere gli avvenimenti tragici che di lì a un anno, si sarebbero verificati in quel regno e in tutta la penisola italiana.   Erano già evidenti in Europa i segnali di grossi mutamenti che si stavano preparando in Italia; qualche mese dopo di quell’anno 1859, a giugno/luglio, l’Austria avrebbe perso la guerra con la Francia di Napoleone III e il regno Sardo di Cavour, e avrebbe dovuto cedere la Lombardia, mentre anche il granduca Leopoldo Asburgo-Lorena di Toscana e gli altri  duchi Asburgo nei territori della penisola, sarebbero stati costretti ad abbandonare i loro territori e a ritirarsi a Vienna.
Veniamo però a Maria Sofia. Era nata il 4 ottobre  1841, presso il castello di Possenhofen, era più giovane di tre anni di Sissi: la sua figura era «alta, slanciata, dotata di bellissimi occhi di color azzurro-cupo e di una magnifica capigliatura castana; aveva un portamento nobile ed insieme maniere molto graziose e un bel viso». E’ stata descritta come” principessa bellissima e giovanissima, ardita, fantastica e impulsiva come suo padre e sua sorella Elisabetta, - secondo Raffaele de Cesare, storico pugliese, deputato liberale, contemporaneo e quasi coetaneo di Sofia essendo nato nel 1845, -, e vivace come la madre, non era la più adatta a entrare nella Corte napoletana, immagine di tristezza, di vecchiezza e di pregiudizio; né a divenire moglie di un principe piuttosto insipido, soggiogato dagli scrupoli religiosi, inesperto della vita, e il quale non aveva conosciuto mai donne, anzi le fuggiva, facendosi rosso nel viso quando non ne poteva evitare gli sguardi”.
Nel 1858, a diciassette anni, venne promessa in sposa al giovane erede al trono del Regno delle Due Sicilie, Francesco, che, come si usava, non conosceva se non attraverso l'immagine di una miniatura. Il matrimonio serviva a rafforzare il legame tra le corone degli Asburgo d'Austria e i Borbone di Napoli. Era un legame antico, come abbiamo visto. Il fidanzamento ufficiale di Sofia avvenne il 22 dicembre 1858 e il matrimonio fu celebrato per procura l' 8 gennaio 1859. Dopo qualche giorno Sofia venne accompagnata a Trieste, dove arrivò il 31 a mezzogiorno, era attesa dalle fregate borboniche Tancredi e Fulminante, che dovevano portarla a sud, nel territorio napoletano.
 
                                                                A Trieste


Sissi, che non stava bene a Vienna, sembrava migliorare soltanto quando si trovava con qualcuno della sua famiglia bavarese: approfittando del matrimonio di Sofia, nel gennaio 1859, malgrado la salute cagionevole accompagnò a Trieste la sorella minore, Maria Sofia, insieme a Luigi, uno dei fratelli. Furono  belle giornate che le due sorelle trascorsero insieme, dimenticando problemi e ansie, e quello che si stava preparando in Italia, e anche negli altri stati austriaci. Il de Cesare, lo storico pugliese già citato, che descrive minuziosamente fatti e personaggi del regno, ci racconta la cerimonia della consegna della sposa alla delegazione napoletana guidata dal duca di Serracapriola.  La cerimonia avvenne il 1° febbraio 1859, nel palazzo del governatore ( attuale sede della Prefettura e del Commissario del governo di Trieste, in piazza dell’unità d’Italia): nel salone del palazzo, nel mezzo, fu tracciata una linea che raffigurava il confine tra il territorio bavarese e quello napoletano. Si entrava da due porte contrapposte, sulle quali da un parte c’erano stemmi e bandiere bavaresi e  dall’altra quelle napoletane. “ Dalla parte del territorio bavarese entrò la duchessa di Calabria ( era questo il titolo che veniva dato all’erede al trono di Napoli e alla sua consorte), con il suo seguito” Dopo la lettura di messaggi e discorsi vari, il ministro plenipotenziario bavarese, conte di Rechberg “ presa la duchessa di Calabria per mano, la condusse fino alla linea di divisione e la consegnò al duca di Serracapriola, che la fece sedere su una poltrona del territorio napoletano “ e le rivolse un breve messaggio di saluto.   Il primo febbraio, in pieno periodo invernale, con il vento gelido di bora e il mare agitato, la  fregata Fulminante, con Maria Sofia a bordo, seguita dal Tancredi,  prese comunque il mare dirette a sud e arrivarono a Bari il 3 febbraio             

                                                            Maria Sofia,  duchessa di Calabria

Sofia, ormai duchessa di Calabria, era ansiosa di vedere di persona il suo sposo, e ne chiedeva notizie alla sua dama di compagnia, marchesa Nina Rizzo. “ Ma è tanto brutto ?” chiedeva alla Rizzo, che la rassicurava: “ ma quando mai, chillo è nu’ bellu guaglione, più alto di voi”.  Francesco aveva ricevuto una educazione che possiamo definire senz’altro pessima e non idonea a un futuro re. Di carattere timido e riservato era stato educato dai padri scolopi secondo rigidi precetti morali e religiosi, e non aveva  avuto ovviamente alcuna esperienza in campo amoroso e sessuale.   Molto religioso, quasi mistico, viveva nel ricordo della madre Cristina, già dichiarata “Venerabile” dalla Chiesa, poco esperto delle cose della politica, poiché il padre Ferdinando mai gli aveva delegato un minimo di affari e neanche di rappresentanza, neanche a parlarne di avventure femminili.

----------------------------------------

Un breve cenno su Maria Cristina di Savoia. Era la figlia minore di Vittorio Emanuele I, re di Sardegna e di Maria Teresa d’Asburgo-Este. Era nata a Cagliari il 14 novembre 1812, durante il periodo napoleonico, quando il Piemonte era diventata una provincia francese e i Savoia erano scappati in Sardegna, così come i Borbone di Napoli, nello stesso periodo, erano andati in Sicilia.  Cessata l’epoca napoleonica, i Savoia erano rientrati a Torino.  Nel 1830  Maria Cristina fu fidanzata a Ferdinando II Borbone, re delle due Sicilie. Così veniva descritta la futura regina di Napoli, da una dama di corte a Torino: "La principessa Cristina non aveva allora 20 anni: era bella, d'una bellezza seria e soave: alta di statura, bianca di carnagione, due grosse onde di ciocche brune inanellate ornavano poeticamente quel volto, pallido, illuminato da due grandi occhi espressivi”. Maria Cristina morì non ancora ventiquattrenne per i postumi del parto, nel dare alla luce Francesco. A gennaio 2014, presso la Basilica di S.Chiara a Napoli, dove sono sepolti tutti i re e regine della famiglia borbonica delle due Sicilie, si è tenuta la cerimonia di beatificazione della “ Regina Santa”

-------------------------------------

A chi lo vede appare triste, annoiato e indifferente a tutto. Alto alquanto di persona e di complessione piuttosto gracile, è di carattere timido e cupo…” così descrive l’erede al trono di Napoli, il marchese Gropello, ambasciatore del regno Sardo a Napoli, in una lettera  diretta al conte di Cavour, del 18 gennaio 1857. 
Giunta finalmente a Bari, Sofia  incontrò Francesco, che le apparve pallido, magro, alto e serio e timidissimo, che in risposta al suo “ Bonjour Francois”, le rispose semplicemente “ bon jour Marie” e le diede un bacio sulla fronte.  Ad attenderla non c’era il re Ferdinando, che  gravemente ammalato, era rimasto a letto..  Le accoglienze della popolazione furono entusiastiche, ma la malattia del Re gettava un'ombra sul lieto evento. Per forza di cose, la permanenza a Bari si prolungò. La famiglia reale soggiornò nel palazzo dell'Intendenza, attuale sede della Prefettura. Ma la prima notte di nozze non fu entusiasmante. Narriamola con quello che ci riporta il solito De Cesare, il quale dopo aver detto che nella camera nuziale,  Sofia fu accompagnata dalla marchesa Rizzo, aggiunge: “  Francesco non entrò, ma attese timidissimo, nella camera precedente, che la Rizzo gli annunziasse che la sposa si era messa a letto. Francesco  continuava a mostrarsi stranamente (?) confuso ed agitato, e passò il tempo a recitare preci, sino a che gli parve che Maria Sofia avesse preso sonno, né prima di allora, chetamente per non destarla, andò a letto. E così fu per tutto il tempo che stettero a Bari…; il che spiega il suo desiderio di svaghi d’altro genere e il bisogno, che sentiva qualche volta, di piangere.  Il matrimonio ovviamente  non fu consumato, neanche dopo a Napoli.
Francesco II – secondo gli storici – aveva anche un altro problema, soffriva di fimosi. La fimosi è un restringimento dell'orifizio prepuziale, più precisamente, una condizione medica per la quale il prepuzio di un uomo non riesce a scoprire completamente e autonomamente il glande. Evidentemente bisogna pensare che non se ne era accorto prima e/o nessuno gli aveva detto niente e non si pensò di farlo operare, - una semplice circoncisione praticata da millenni.  Maria Sofia, comunque, fece buon viso a cattivo gioco. Col suo fascino e la giovanile bellezza si attirò subito le simpatie di quanti la conobbero. Lo stesso re Ferdinando restò favorevolmente impressionato dalla figura della nuora. Le sue giornate si dividevano fra il teatro e le escursioni nelle vicinanze di Bari, in compagnia dei giovani cognati con i quali aveva subito fraternizzato, avendo in comune con essi spirito d'avventura e atteggiamenti goliardici.
      Ai primi di  marzo, il Re costretto su una lettiga, la Regina Maria Teresa, Francesco, Maria Sofia e tutto il loro seguito si imbarcarono sulla fregata "Fulminante" e partirono alla volta di Napoli. Finalmente per Maria Sofia, lasciato il grigiore del Palazzo dell’intendenza barese, si aprivano nuovi orizzonti.     
La duchessa di Calabria amava molto il mare; man mano che la nave avanzava tra le onde, la futura regina ripassava nella mente i racconti e le descrizioni della sua nuova dimora apprese dal suo sposo e dalla sua dama di compagnia, Francesco, invece, pur rimasto affascinato e travolto dalla esuberante bellezza di Maria Sofia, non si staccava dal capezzale del padre, che si era aggravato.
Nello stesso periodo, cosa stava accadendo nelle altre parti della penisola? Non si può dire che non si conoscevano e che non si potevano prevedere grossi problemi e mutamenti. Il re Ferdinando, malgrado il grave stato di salute continuava a dirigere il governo del regno, senza delegare nulla a nessuno, sbagliando molto in questo, soprattutto all’erede al trono.   Il primo ministro del regno di Sardegna, Cavour aveva da tempo inserito l’argomento italiano e del regno delle due Sicilie,  nel dibattito europeo, favorito in questo anche da Napoleone III, personaggio ambiguo, vecchio carbonaro che aveva vissuto a lungo in Italia, partecipando anche ai moti del 1830, prima presidente della repubblica francese e contemporaneamente, nel 1849 mandava l’esercito a Roma contro la repubblica romana, poi imperatore per imitare il grande zio, poi intrigava con Cavour, ma assicurava Napoli che non c’era alcun problema, e mantenne la guarnigione francese a Roma fino al 1870.  Con lui Cavour aveva stretto una alleanza segreta - ma fino a che punto? - per  l’annessione della Lombardia e del Veneto e per la creazione di un regno dell’alta Italia. Secondo Arrigo Petacco non aveva alcuna intenzione di andare oltre. ( “Il regno del nord”, ed. Mondadori.).   A marzo 1859,  il regno Sardo aveva cominciato ad armarsi e a creare un esercito numeroso, accogliendo tutti i profughi,  banditi da altri stati: l’Austria e Francesco Giuseppe non stavano a guardare, sicuramente sapeva a cosa andavano incontro. Lo spionaggio funzionava anche allora: tutto ciò era conosciuto a Vienna e  nelle altre corti europee e anche a Napoli. La guerra scoppiò il   27 aprile del ’59, si scontrarono gli eserciti austriaci,  alle dirette dipendenze di Francesco Giuseppe, e quelli franco-sardi comandati da Napoleone III e Vittorio Emanuele.

Fine prima parte