La guerra mondiale
NAPOLI |
Allo scoppio della guerra, l'Italia dei Savoia si dichiarò "neutrale" non rispettando i patti sottoscritti con gli alleati della Triplice.
Maria Sofia era ovviamente schierata per l'Austria Ungheria contro il regno d’Italia. Quando il "voltafaccia" italiano si manifestò chiaramente con l'intervento in guerra a fianco di Francia e Inghilterra, Sofia non potè che gioire, ritenendo che finalmente i Savoia avrebbero avuta la "lezione" che meritavano, e la loro sconfitta avrebbe determinato gli auspicati rivolgimenti nella penisola.
Nel frattempo, a causa della sua attività in favore degli Imperi Centrali, l'ex Regina di Napoli era stata costretta a lasciare la Francia e si era rifugiata a Monaco, dove continuò, intensa, la sua battaglia.
Il 23 novembre
1916 moriva, a Vienna, il cognato di Sofia, l’imperatore Francesco Giuseppe, un
protagonista del XIX secolo, che aveva visto crollare, dal 1848, il suo impero
un pezzo alla volta.
Alcune
storie, assolutamente infondate, raccontavano di una Sofia coinvolta in atti di sabotaggio e di
spionaggio contro l'Italia, nella speranza che una sconfitta italiana avrebbe
disintegrato l’ unità.
Armando Diaz |
E, ironia della sorte, l'artefice della
vittoria italiana fu un generale
napoletano: Armando Diaz.
Gli ultimi mesi di guerra videro l'ex
Regina di Napoli nei campi dei prigionieri italiani prodigarsi nell'assistenza.
"Fra quei soldati laceri ed
affamati, ai quali portava libri e cibo, cercava i suoi napoletani e questi
guardavano con curiosità e rispetto una vecchia signora che parlava con uno
stano accento tedesco-napoletano”. Erano trascorsi più di cinquanta anni da
Gaeta, quei fanti non ne conoscevano neanche la storia, che peraltro era stata
ben nascosta.
A novembre del 1920 moriva
il fratello maggiore, Ludwig Guglielmo, nato nel 1831.Maria Sofia, l’ultima
sovrana delle due Sicilie, morì a Monaco di Baviera, un anno dopo, il 18 gennaio 1925, a 83 anni. Aveva
trascorso 65 anni in esilio, era la penultima delle sorelle Wittelsbach ancora
in vita – l’ultima fu Matilde che la seguirà nella tomba il 18 giugno 1925 - e
superstite di un mondo che non c’era più.
Solo dopo 123 anni, nel 1984,
dopo più di sessanta anni di trattative tra eredi e Stato italiano, i resti di
Francesco II e quelli di Sofia e della piccola Cristina, furono finalmente
restituiti a Napoli, nella loro città, per essere sepolti nella chiesa di S.
Chiara, nel Pantheon dei Borbone, nell’ultima cappella a destra, accanto a
quelli degli altri sovrani delle due Sicilie.
Ancora oggi a Gaeta, il 14
febbraio, data che riporta alla resa della fortezza e all’esilio del re
Francesco di Borbone, si celebra la giornata del regno delle due Sicilie, a
cura dell’ Associazione culturale neo-borbonica.
Propaganda,
storia e antistoria
Gli Angiò ebbero miglior fortuna sul continente, a Napoli,
nuova capitale, regnarono fino al 1440, circa due secoli e mezzo.
Iniziò allora il periodo spagnolo, prima con gli Aragona
fino al 1503, circa sessant’anni, e poi, con Ferdinando il cattolico e i suoi
successori, fino al 1713. Per circa vent’anni, poi, ci fu un intermezzo austriaco;
nel 1734 il ritorno agli spagnoli con i Borbone fino al 1860, centoventotto
anni. Per finire l’unità e i Savoia, per ottantasei anni. A Napoli tutti i conquistatori – stranieri se si esclude
il periodo ducale - ne furono però
conquistati, nel senso che dopo la prima
generazione tutti diventarono napoletani.
Nei confronti dei Borbone, e soprattutto degli ultimi, fu
fatto quello che non era mai stato fatto per le dinastie precedenti: la propaganda per “inventare” un nemico, lo
“straniero”, anche se è vero quel che
afferma Fabio Cusin,( Antistoria d’Italia, Ed. Mondadori), cioè che “… Granduca( di Toscana), Borbone e papalini
fecero di tutto per rendersi più
malvisti”. Si doveva costruire lo Stato unitario, con le buone o con le
cattive. Come spiegare “la macchina del
fango” costruita dai vincitori se, come si diceva, il popolo era a favore dell’unità? Era necessaria? Come spiegare che a fronte
di un plebiscito bulgaro a favore dell’annessione al regno di Sardegna, si
verificarono invece tante rivolte? Possibile che non c’era stato neanche un
voto contrario? Tra l’altro, visto che la maggioranza della popolazione era
costituita da analfabeti, come fecero a votare?
Nei libri scolastici i Borbone venivano
dipinti come i classici mangiatori di bambini e i fatti del Volturno e di Gaeta
trattati con due parole, mentre si calcava la mano sui “briganti”. Ancora oggi
storici di nome, come Lucio Villari ( Bella e perduta, ed. Laterza), trattano in quattro righe l’assedio di Gaeta e
lo declassano “ alla storia personale dei sovrani napoletani e
alla fedeltà e al sacrificio eroico di quanti restarono con loro”, come se
non si trattasse, comunque, della storia d’Italia e di migliaia di morti, italiani di entrambe le
parti combattenti..
Francesco e Sofia in esilio |
Per
capire gli avvenimenti del 1860 soprattutto in Sicilia, che diedero il via alla
invasione di Garibaldi nel pacifico e neutrale Regno delle Due Sicilie, è
conveniente individuare i punti deboli, gli anelli della catena che hanno
ceduto, il tradimento di persone che rappresentavano i gradi più alti
dell’esercito e della marina e che a volte in modo plateale, tal altre in modo
goffo o grottesco, disubbidirono agli ordini del Re, il quale era ben conscio
di quello che stava accadendo, cercando in diversi modi di tamponare la situazione.
Il primo traditore fu il generale Ferdinando Lanza , solo omonimo dei duchi di Brolo e dei Baroni di Longi e Ficarra, dei Baroni dei Supplementi e di Malaspina, nato a Nocera, che rinchiuse i suoi 20.000 nel castello a Palermo, invece di annientare Garibaldi e i suoi, celebre l'episodio del soldato che in attesa dell'imbarco per Napoli sul molo del porto, rompe le righe e spezza la sua spada con disprezzo verso il generale Lanza che aveva impedito loro di combattere.
In termini di uomini e mezzi l’esercito borbonico avrebbe potuto fare una guerra all’Europa, sicuramente avrebbe potuto annientare il Regno di Sardegna. Allora con questo presupposto che si basa su dati di fatto, su documenti degli archivi militari, è mai possibile credere alla favola dei mille che conquistano la Sicilia con un barcone di pezzenti che sbarca a Marsala, quando l’Armata di mare poteva disporre in tutto 104 vascelli, per un totale di 10000 cavalli e 900 cannoni.
Tra l'altro fu proprio Garibaldi nelle sue “Memorie”, a ringraziare la Marina borbonica per la “tacita collaborazione”.
Lo sbarco in Calabria, scriverà, “non si sarebbe potuto fare con una Marina completamente ostile”. Da qui nacque anche il modo di dire
“Mannaggia ‘a Marina”, coniato proprio da Francesco II, che soleva ripetere.
Il primo traditore fu il generale Ferdinando Lanza , solo omonimo dei duchi di Brolo e dei Baroni di Longi e Ficarra, dei Baroni dei Supplementi e di Malaspina, nato a Nocera, che rinchiuse i suoi 20.000 nel castello a Palermo, invece di annientare Garibaldi e i suoi, celebre l'episodio del soldato che in attesa dell'imbarco per Napoli sul molo del porto, rompe le righe e spezza la sua spada con disprezzo verso il generale Lanza che aveva impedito loro di combattere.
In termini di uomini e mezzi l’esercito borbonico avrebbe potuto fare una guerra all’Europa, sicuramente avrebbe potuto annientare il Regno di Sardegna. Allora con questo presupposto che si basa su dati di fatto, su documenti degli archivi militari, è mai possibile credere alla favola dei mille che conquistano la Sicilia con un barcone di pezzenti che sbarca a Marsala, quando l’Armata di mare poteva disporre in tutto 104 vascelli, per un totale di 10000 cavalli e 900 cannoni.
Tra l'altro fu proprio Garibaldi nelle sue “Memorie”, a ringraziare la Marina borbonica per la “tacita collaborazione”.
Lo sbarco in Calabria, scriverà, “non si sarebbe potuto fare con una Marina completamente ostile”. Da qui nacque anche il modo di dire
“Mannaggia ‘a Marina”, coniato proprio da Francesco II, che soleva ripetere.
Alle
persone di buon senso qualcosa non torna e non può sfuggire che nei libri di
storia questi dati non sono mai citati, ma si punta piuttosto sulla favola
dell’invincibilità di Garibaldi. Forse sarebbe ora di riscrivere quei testi con
senso più critico, senza esagerazioni né da una parte, né dall’altra e
insegnare ai nostri figli e alle persone che ancora non lo sanno la storia e la
verità. Oggi c’è un grande ritorno dei
Borbone di Napoli, soprattutto in
occasione del cento cinquantenario dell’unità, ci sono studi e revisioni
storiche, anche in riferimento alla situazione degli altri stati italiani
preunitari. Rivedere e riscrivere la
storia del “Risorgimento” e della formazione dell’unità non significa né la
riabilitazione dei Borbone né la condanna dei Savoia, né pensare a una
“secessione” - come oggi qualcuno pensa
- ma solo ricercare e raccontare una verità nascosta per anni. Le continue ricerche storiche portano alla
scoperta di documenti e di fatti
nascosti e di macchie ripulite da una certa storiografia anti meridionalista.
Si è
venuti a sapere, ad esempio, che Ferdinando II contrastò la "tratta de' negri",
giudicandola un “traffico abominevole”. Così, in effetti, fece
nell'autunno del 1839, allorché
promulgò la Legge per prevenire e reprimere i reati relativi al traffico
conosciuto sotto il nome di Tratta de' negri. Composta di 15 articoli, la Legge prevedeva varie
pene, che erano più gravi se qualcuno dei “negri” compresi nel traffico
fosse stato fatto oggetto di maltrattamenti o di omicidio.Si è
scoperto inoltre che, oggi che si parla tanto di rifiuti a Napoli e
differenziata, erano stati per primi i Borbone a lanciare la diversificazione
dei rifiuti. Sembra incredibile, ma così recita un
decreto presente nella “Collezione delle Leggi e dei Decreti del Regno delle
Due Sicilie” ed emanato il 3 maggio 1832 (n.21) : "Gli
abitanti devono tenere pulita la strada davanti alla casa usando l’avvertenza
di ammonticchiarsi le immondezze al lato delle rispettive abitazioni e di separarne tutt’i frantumi di cristallo o di
vetro che si troveranno riponendoli in un cumulo a parte".
Il
prefetto di Napoli dell’epoca, Gennaro Piscopo, ordinò ai napoletani: «Tutt’i possessori, o fittuarj di case, di
botteghe, di giardini, di cortili, e di posti fissi, o volanti, avranno
l’obbligo di far ispazzare la estensione di strada corrispondente al davanti
della rispettiva abitazione, bottega, cortile, e per lo sporto non minore di
palmi dieci di stanza dal muro, o dal posto rispettivo. Questo spazzamento dovrà
essere eseguito in ciascuna mattina prima dello spuntar del sole, usando
l’avvertenza di ammonticchiarsi le immondizie al lato delle rispettive
abitazioni, e di separarne tutt’i frantumi di cristallo, o di vetro che si
troveranno, riponendoli in un cumulo a parte».
Cosa si
sa, ancora, dei soldi rubati ai Borbone da parte dei Piemontesi? Il regno savoiardo era in condizioni
economiche disastrate, la riserva aurea di appena 20 milioni era pure sfumata e esaurita a causa
delle spesse dovute alla politica
guerrafondaia dei Savoia. Tenere in armi un esercito numericamente esagerato
per quello Stato, procedere a continui arruolamenti di volontari e doverli
pagare, partecipare e promuovere guerre costava molto. Al contrario il Regno delle Due Sicilie possedeva invece un capitale enormemente più
alto e costituito di solo oro e argento, una riserva tale da poter emettere
moneta per 1.200 milioni. L’
economia piemontese era invece in ginocchio, I Savoia e Cavour si erano
indebitati con i banchieri Rothschild per svariati milioni : quando arrivarono
a Napoli e anche a Palermo, trovarono le casse piene e se ne appropriarono
derubando i Borbone anche dei beni personali
che maldestramente erano stati lasciati nel banco di Napoli, pagarono i
loro debiti e non li restituirono più nulla ai legittimi proprietari.. L’oro
dei Borbone scomparve per sempre.
Molte erano già
state le voci che si erano levate a favore di una riabilitazione dell’ultimo
Borbone, almeno per liberarlo dalla disonesta ma propagandata fama di una sua
“imbecillità”. Nel 1924, Sofia aveva 82 anni, viveva n povertà a Monaco ospite
di un nipote, così ci narra il giornalista Giovanni Ansaldo che era andato a
trovarla per una intervista: Sofia “ trasse fuori due poveri acquerelli, due vedutine del Vesuvio,
dolcemente velate da un languore di esilio, che aveva tremato nella mano del
dilettante. Il suo fido Barcellona( il cameriere segretario e badante fidato
che l’assisteva da sempre), che le era accanto, le trovò belle. “Ti pare?” replicó la regina, socchiudendo
gli occhi e guardando in prospettiva i due acquerelli. “Ti pare? Le dipinse il mio re. No, il mio re, tu lo vedi, non fu
imbecille… Come dicono.” In realtà Francesco II era stato un uomo riservato, sensibile, molto devoto, un sovrano onesto e generoso: aveva vissuto una vita difficile, la morte della madre pochi giorni dopo il parto, nessuna preparazione a governare né ad affrontare emergenze e guerre, morte del padre alla vigilia di avvenimenti così importanti ini quell'unico anno di regno nel corso del quale lo aveva visto crollare insieme alla storica dinastia dei Borbone-Napoli. Principe reale per 23 anni, re per circa 16 mesi e, infine, 34 lunghi anni - oltre la metà della sua breve vita - da esiliato e soprattutto povero.
La sua "napoletanità", una filosofia di vita del tutto contrapposta alla cultura del potere e della guerra e piuttosto fatalista, aveva indotto i suoi stessi sudditi a riferirsi a lui confidenzialmente e affabilmente con il nomignolo di "Franceschiello": un nomignolo del quale si sono poi impossessate le cronache post-unitarie facendone discendere una figura superficiale, debole e patetica, senza che nessuno potesse intervenire a tutela della memoria di un re spodestato e diseredato dagli eventi.
“Mitezza di
carattere – Giuseppe
Campolieti, in una completa biografia edita da Mondadori -, signorilità, bontà non significano ingenuità o dabbenaggine”. Non dimentichiamo che anche di Carlo Alberto
di Savoia si è detto che era tormentato da dubbi e incertezze, timorato di Dio,
indeciso – il Re Tentenna -.
Il limite di Francesco II è soprattutto caratteriale,
schiacciato dalla personalità del padre; egli, secondo Gianni Oliva ( Un regno
che è stato grande, ed. Mondadori), “non è il personaggio intellettualmente
limitato, sdegnoso del mondo della carne, descritto dalla storiografia
risorgimentale: Ha ricevuto l’educazione che spetta a un principe ereditario,
dimostrando di essere dotato di buone capacità cognitive; ha seguito un
percorso di formazione militare per essere all’altezza delle tradizioni di
famiglia e a conosciuto le province del regno seguendo spesso il padre nei
viaggi istituzionali”. Arrigo Petacco, nella “ Regina del sud” scrive:” se come vuole la migliore retorica, almeno un raggio di gloria deve illuminare il tramonto di una dinastia, Francesco II e Maria Sofia se lo guadagnarono sugli spalti di Gaeta. Perché se è vero che un re e una regina devono mostrarsi tali nei momenti decisivi, gli ultimi sovrani di Napoli si rivelarono in quella occasione degni di ammirazione e di rispetto. Oggi, alla luce della Storia, il loro comportamento a Gaeta acquista addirittura il significato di un presagio. Nessun raggio di gloria, infatti, illuminerà il pronipote del “re invasore” quando, ottantasei anni dopo, sarà anche lui costretto a prendere la via dell’esilio”.
Si riferisce a Umberto II, cacciato dalla volontà popolare
e al padre, a quel Vittorio Emanuele III che scappò di notte, abbandonando
tutto e tutti al loro destino. E che dire, poi, degli attuali discendenti? Non
mi sembra reggano il confronto con quelli di Borbone.
Di questo avrebbe gioito sicuramente Maria Sofia, che non
si era mai arresa di fronte alla storia, e che dopo la morte del marito
continuò, e nessuno potè fermarla, una lunga battaglia contro gli odiati Savoia.
Maria Sofia ha avuto una vita lunga ma disperata e
sfortunata, regina a diciannove anni, esule a venti e per oltre sessantenni,
unica superstite delle sorelle Wittelsbach, che non avevano avuto, anche loro,
una vita facile.
Maria Sofia |
“Io - raccontava Sofia - invece, sono stata povera e morirò in
povertà, come il mio re. Quando partimmo da Napoli abbiamo lasciato quasi
tutto, convinti che saremmo tornati, eravamo giovani e illusi, forse non
dovevamo andarcene, ma combattere per le strade. Ho lasciato lì perfino il mio
guardaroba e la biancheria, tutto si sono presi dopo. Il re lasciò tutto anche
i depositi e beni privati al Banco di Napoli, 11 milioni di ducati, circa 50
milioni di franchi d’oro e la mia dote di nozze e i garibaldini si rubarono
tutto”. ( secondo l’autore filo borbonico Gigi di Fiore in :” Contro storia
dell’unità d’Italia” Ed .BUR Saggi). Ed è vero: il regno sardo , per la
politica condotta e le troppe guerre, si era indebitato con tutte le banche
europee e si risollevò sequestrando tutti i beni e i contanti che trovò a
Napoli e negli altri territori annessi.
L’ intervista
fu pubblicata nel 1924, ma fu omessa la parte in cui, da “ voi lo vedete
sono povera” a “ i loro patrimoni personali “ - , commenti negativi e profezie
malevole verso i Savoia, che all’epoca erano ancora regnanti in Italia. Quella
parte fu pubblicata solo nel 1950, sul “Tempo”. Non riporto il testo
dell’intervista; chi ha interesse può leggerla, nella versione integrale, su
Internet.
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Gigi di Fiore, Controstoria dell’unità
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Gigi di Fiore,
Gli ultimi giorni di Gaeta, Ed. Rizzoli, 2010
Ferdinando Russo, Poesie napoletane, Ed. Newton,
1995