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Antonio Curri, galleria Umberto |
Secondo quando racconta Vittorio Gleijeses ( guida di
Napoli), all’inizio si beveva solo birra e cioccolata: “ in seguito fu
aggiunta anche la sala ristorante, dove si potevano consumare lauti pasti per
un prezzo fisso di lire 4,50”.
Siamo negli anni 1889-1890, per affrescare il locale
furono chiamati i migliori artisti napoletani dell’epoca: Antonio Curri(
1848/1916) architetto, pittore, decoratore, i pittori Luca Postiglione(
1876/1936), Pietro scoppetta(1863/1920), Vincenzo Volpe( 1855/1929), Edoardo
Matania(1847/1929), Giuseppe Chiarolanza(1868/1920), Vincenzo
Migliaro(1858/1938) pittore e incisore, Vincenzo Caprile(1856/1936) e altri.
Il locale diventò così una galleria d’arte.
Erano trascorsi appena trentanni dall’unità, c’era
ancora chi rimpiangeva la
Napoli capitale di un regnoche era stato grande( G.Oliva un regno che è stato grande, ed.
Mondadori), adesso il re era Umberto di Savoia e la capitale era a
Roma, iniziavano proteste e le prime manifestazioni sindacali contro le quali
non si esitava a chiamare l’esercito: a Milano, nel 1898, sarebbero state
represse a cannonate. Iniziavano anche inutili e dispendiose imprese
coloniali per le manie di grandezza di un piccolo Stato ancora in formazione.
D’altro canto, era l’epoca della “ belle epoque” e. a Napoli, del salone
Margherita.
Margherita era il nome della regina; poco distante dal “
Gambrinus” c’era, e c’è ancora, la pizzeria “Brandi”, dove secondo la
leggenda, dovendo preparare una pizza speciale proprio per la regina, si
pensò a qualcosa di patriottico: mozzarella di bufala bianca, pomodoro rosso,
e basilico verde, come i colori della bandiera, e le si dette un nome
che divenne famoso, la pizza Margherita.
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Palazzo reale |
Da quegli anni in poi passarono nelle sale del gran caffè
Gambrinus personaggi illustri d'ogni tempo e paese, diventati poi
clienti affezionati: Gabriele D'Annunzio (il quale, secondo alcune fonti,
avrebbe scritto ai tavolini del caffè la poesia 'A Vucchella, musicata poi da Francesco paolo Tosti (1846/1916),
per una scommessa con l’ amico poeta napoletano Ferdinando Russo ( 1866/
1927), poi Filippo Tommaso Mmarinetti(1876/1944) poeta scrittore ,
fondatore del movimento futurista, Benedetto Croce, la
giornalista e scrittrice Matilde Serao ( 1857/ 1927), e il marito Edoardo
Scarfoglio, fondatore de “Il Mattino”, il commediografo Eduardo
Scarpetta, Totò e i fratelli de Filippo, e fra gli stranieri, Ernest
Hemingway, Oscar Wilde, Jean Paul Sartre.
Nel vasto quadro dei Caffè napoletani, il Gambrinus fu
presto considerato al vertice: in tutti i sensi, politico, mondano,
artistico, letterario, largamente rappresentativo, anche per la posizione
centrale e dominante che occupava, al centro cittadino, anzi al punto di contatto
tra il vecchi agglomerato cittadino, il Porto e il mercato, e il nuovo, cioè
Chiaia e Mergellina.
Il Gambrinus definito come il balcone della città( A.
Consiglio, 1967 prefazione ai caffè napoletani di E. Scalera, ed.Berisio), il
luogo di incontro e di appuntamenti di tutta la città: “ ci si vedeva, ci si
incontrava al Gambrinus”.
Dalle sale o dall’esterno del Gambrinus si vedeva, si
assisteva – e si assiste ancora – a tutto quello che succede in città,
davanti al Palazzo reale, davanti alla prefettura, davanti al S. Carlo, siano
turisti siano manifestazioni politiche o sindacali o semplicemente
persone normali che passeggiano, famiglie che girano per via Chiaia o prolungano
la passeggiata attraverso piazza del plebiscito .
Scrittori, giornalisti, politici, viveurs, artisti,
avvocati, magistrati e persone comuni, “ tutti
i gioni e per molti anni si sono dati convegno in quelle splendide
sale, ed ogni gruppo aveva il suo tavolo”, così racconta Erminio Scalera
nel libro citato (I caffè napoletani 1967), dove elenca almeno un centinaio
di caffè e racconta anche storie sui frequentatori abituali.
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Gambrinus,interni |
Percorsi i pochi metri che li separavano dal Gambrinus, “ entrarono, strofinandosi le mani, e
sedettero al solito tavolino di Ricciardi, quello vicino alla vetrata che
dava su via Chiaia”: la frase è tratta da un racconto ( Il senso del dolore,
l’inverno del commissario Ricciardi, ed Einaudi ), di Maurizio de Giovanni,
ambientato nei primi anni 30, che cosi descrive il caffè: ”le cose qui, al
caffè gambrinus non sono cambiate. Forse, addirittura, le condizioni degli
stucchi, delle decorazioni, delle tele sono migliorate nel mio tempo: il
restauro accurato, discreto e profondo, ha riportato a galla il passato
meglio di quello che ritrovo in questi primi giorni di primavera del 1931.
Davanti ai miei occhi, i segni del fumo di mille sigari, delle candele, della
cucina; e gli schienali delle sedie addossati al muro quando si privilegia la
sala da ballo al ristorante o al thè……Per il resto, le risate, gli sguardi
ammirati dei turisti, lo svolazzare dei camerieri in marsina con enormi vassoi
in bilico sono più o meno gli stessi, ora come allora”.
Nel 1938, il locale fu chiuso, con una risibile scusa ( si
racconta che la moglie del sig. prefetto non riusciva a dormire per le
musiche e il frastuono proveniente dal caffè, che come detto era situato
proprio al piano terra della prefettura dove abitava) dal prefetto
Marziali, perché era considerato luogo di ritrovo di antifascisti o comunque
di un luogo dove si mormorava contro il regime e ci si lasciava andare a
storielle e racconti satirici.
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Gambrinus Napoli, esterno |
Gli ambienti che fino a quel momento erano stati del
locale furono destinati ad ospitare una banca, l’agenzia del banco di Napoli,
almeno fino a quando un nuovo impresario, Michele Sergio, non riuscì a
riaprire l'esercizio, rioccupando parte delle sale, quelle che si
affacciavano su piazza Trieste e Trento; successivamente quelle sale se
ne aggiunsero altre, recuperate dalla banca, dopo più di quaranta anni, alla
chiusura di una lunghissima controversia col Banco di Napoli.
Solo nel 2000, infatti, le sale che si affacciano sulla
piazza del Plebiscito, sono state riaccorpate al Gran caffè, restituendo al
locale l’originaria architettura.
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P.za S.Fferdinando e S.Carlo |
Sostanzialmente riportato al suo antico splendore, oggi è
uno dei luoghi più frequentati di Napoli, da tutti gli abitanti della zona di
via Chiaia e dai turisti. Sono passati da queste sale presidenti della
repubblica, capi di stato e ministri stranieri e italiani in visita alla
città. Gli ambienti interni sono di inestimabile interesse artistico,
si conservano dipinti, statue e stucchi, le pareti sono rappresentative della
pittura napoletana di fine ottocento e compongono una vera e propria galleria
d’arte.
Nel 2010,
in occasione dei 150 anni dalla fondazione, ci sono
state grandi iniziative artistiche per tutto l’anno, dal café chantant al
diner d’epoque ( una cena con menù del 1880, da gare di pittura al concerto
di Natale.
Ogni anno, comunque, il caffè ospita nelle sue sale
manifestazioni rievocative della bella "époque" europea e
rappresentazioni di spettacoli musicali e teatrali di operette e di canzoni
napoletane.
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