venerdì 12 aprile 2013

Il Gran Caffé





Re Gambrinus
Gambrinus è il nome di un leggendario re delle Fiandre (che è una regione dell’attuale Belgio) , considerato il patrono e/o l’inventore della birra. Sull'etimologia del nome ci sono varie teorie: secondo alcuni potrebbe derivare da un termine tardo-latino cambarus ( cellerario, addetto alle cantine) o da ganeae birrinus (colui che beve in una taverna); secondo altri si tratterebbe di una storpiatura del nome Jan Primus, riferito al duca Giovanni I° ( 1253/1294) di Brabante( territorio diviso tra Olanda e Belgio). Altre ipotesi farebbero, inoltre, derivare Gambrinus da un errore di trascrizione del nome "Gambrivius" o da un termine celtico camba, che indica la pentola dove viene preparata la birra.
Gambrinus, Trento
Il legame con la birra ha fatto si che il nome e la figura di Gambrinus compaiono in molte marche di birra europee e nordamericane: la Gambrinus Liga è la serie A del campionato di calcio ceco, sponsorizzato da una nota birra di quello Stato.
Lo stesso legame ha fatto sì, inoltre, che “ Gambrinus” sia il nome di molti locali, bar, birrerie, pizzerie e anche hotels: per restare in Italia posso citare l’Officina Gambrinus a Trento, un bar-trattoria, una birreria gambrinus a Udine, un hotel a Roma nella zona di via Veneto, e un altro a Cattolica mare, un bar ad Arezzo e un Music cafè a Montecatini Terme, a Napoli il caffè Gambrinus.
A Trieste, invece, è un circolo, una associazione, che si definisce culturale e che si chiama “amici del caffè gambrinus”, riferito allo storico locale di Napoli.
Personalmente non ne sono socio né frequento le loro iniziative, che spesso trovo alquanto singolari e discutibili, ma  chi vuole avere notizie più precise può andare a visitarne il sito.
Poichè conosco bene il caffè di cui i soci dicono di essere “amici” e che forse non tutti loro conoscono, proverò a raccontarlo.
Parto da una considerazione generale: Il “Gambrinus” non è l’unico Caffè di Napoli. Come  in quasi tutte le città, a Venezia ad es. con il Florian, a Padova con il Pedrocchi., come a Trieste con il S. Marco o il Tommaseo,  ma anche a Vienna o a Parigi, anche Napoli ha i suoi Caffè storici, luoghi di ritrovo di scrittori, poeti, artisti, giornalisti, politici, attori, e anche affaristi e persone comuni dove si parla, si ascolta, ci si intrattiene.
   Io posso ricordane solo pochi, quelli che ancora c’erano nel secondo dopoguerra, e negli anni        sessanta del XX secolo,  e non erano sicuramente gli stessi di una volta:  il caffè di “Van Bol e Feste”,      che si  trovava in piazza Borsa, vicino all’Università,  oppure il “Caflisch” , dal nome del titolare Luigi Caflisch, svizzero, in via Toledo, dalle parti della galleria, da quanto ne so era il più antico di tutti.
Gambrinu,interni
Altri ce ne erano a fine ‘800 e inizio ‘900, come il caffè Diodato, in piazza Dante, citato perfino in una poesia (Lassammo fa’ a’Dio) di Salvatore di Giacomo, poeta e scrittore, il caffè Calzona in galleria, il caffè d’Europa e tanti altri ancora, citati ne “ i caffè napoletani di E.Scalera”.
Nel 1860, nell’anno fatidico dell’unità d’ Italia, fu fondato, dall'imprenditore Vincenzo Apuzzo, al pianterreno del palazzo della Prefettura, all’angolo con via Chiaia, il “ Gran Caffè “.
L’  ingresso principale è stato ed è su quella  piazza che i veri napoletani chiamano ancora S. Ferdinando, invece di Trieste e Trento. A sinistra dell’ ingresso principale finisce via Toledo, di fronte da un lato un ingresso laterale della Galleria Umberto e dall’altro il teatro S. Carlo, mentre al centro la via che porta a castelnuovo e al porto. Sulla destra la facciata principale del palazzo reale con le statue di alcuni  re, e la grande piazza del plebiscito.
Il caffè riscosse immediatamente un enorme successo da parte della popolazione di ogni ceto, richiamata dall'opera dei migliori pasticceri, gelatai, e baristi da tutta Europa, di cui si avvalse il suo fondatore; ciò, nello stesso tempo, gli procurò subito la benevolenza della famiglia reale ed il riconoscimento per decreto di "Fornitore della Real Casa".
Dopo una quasi trentennale gestione Apuzzo, il locale passò a Mario Vacca, che lo trasformò completamente  e ne cambiò anche il nome: nacque il “ Gambrinus”.


Antonio Curri, galleria Umberto
Secondo quando racconta Vittorio Gleijeses ( guida di Napoli), all’inizio  si beveva solo birra e cioccolata: “ in seguito fu aggiunta anche la sala ristorante, dove si potevano consumare lauti pasti per un prezzo fisso di lire 4,50”.
Siamo negli anni 1889-1890, per affrescare il locale furono chiamati i migliori artisti napoletani dell’epoca: Antonio Curri( 1848/1916) architetto, pittore, decoratore, i pittori Luca Postiglione( 1876/1936), Pietro scoppetta(1863/1920), Vincenzo Volpe( 1855/1929), Edoardo Matania(1847/1929), Giuseppe Chiarolanza(1868/1920), Vincenzo Migliaro(1858/1938) pittore e incisore, Vincenzo Caprile(1856/1936) e altri. Il locale diventò così una galleria d’arte.
 Erano trascorsi appena trentanni dall’unità, c’era ancora chi rimpiangeva la Napoli capitale di un regnoche era stato grande( G.Oliva un regno che è stato grande, ed. Mondadori),  adesso il re era Umberto di Savoia e la capitale era a Roma, iniziavano proteste e le prime manifestazioni sindacali contro le quali non si esitava a chiamare l’esercito: a Milano, nel 1898, sarebbero state represse a cannonate. Iniziavano anche inutili e dispendiose imprese coloniali per le manie di grandezza di un piccolo Stato ancora in formazione. D’altro canto, era l’epoca della “ belle epoque” e. a Napoli, del salone Margherita.
Margherita era il nome della regina; poco distante dal “ Gambrinus” c’era, e c’è ancora, la pizzeria “Brandi”, dove secondo la leggenda, dovendo preparare una pizza speciale proprio per la regina, si pensò a qualcosa di patriottico: mozzarella di bufala bianca, pomodoro rosso, e basilico verde,  come i colori della bandiera, e le si dette un nome che divenne famoso, la pizza Margherita.
Palazzo reale
Da quegli anni in poi passarono nelle sale del gran caffè Gambrinus  personaggi illustri d'ogni tempo e paese, diventati poi clienti affezionati: Gabriele D'Annunzio (il quale, secondo alcune fonti, avrebbe scritto ai tavolini del caffè la poesia 'A Vucchella, musicata poi da Francesco paolo Tosti (1846/1916), per una scommessa con l’ amico poeta napoletano Ferdinando Russo ( 1866/ 1927),  poi Filippo Tommaso Mmarinetti(1876/1944) poeta scrittore , fondatore del movimento futurista,   Benedetto Croce, la giornalista e scrittrice Matilde Serao ( 1857/ 1927), e il marito Edoardo Scarfoglio, fondatore de “Il Mattino”,  il commediografo Eduardo Scarpetta, Totò e i fratelli de Filippo, e fra gli stranieri,  Ernest Hemingway, Oscar Wilde, Jean Paul Sartre.
Nel vasto quadro dei Caffè napoletani, il Gambrinus fu presto considerato al vertice: in tutti i sensi, politico, mondano, artistico, letterario, largamente rappresentativo, anche per la posizione centrale e dominante che occupava, al centro cittadino, anzi al punto di contatto tra il vecchi agglomerato cittadino, il Porto e il mercato, e il nuovo, cioè Chiaia e Mergellina.

Il Gambrinus definito come il balcone della città( A. Consiglio, 1967 prefazione ai caffè napoletani di E. Scalera, ed.Berisio), il luogo di incontro e di appuntamenti di tutta la città: “ ci si vedeva, ci si incontrava al Gambrinus”.
Dalle sale o dall’esterno del Gambrinus si vedeva, si assisteva – e si assiste ancora – a tutto quello che succede in città, davanti al Palazzo reale, davanti alla prefettura, davanti al S. Carlo, siano turisti  siano manifestazioni politiche o sindacali o semplicemente persone normali che passeggiano, famiglie che girano per via Chiaia  o prolungano la passeggiata attraverso piazza del plebiscito .
Scrittori, giornalisti, politici, viveurs, artisti, avvocati, magistrati e persone comuni, “ tutti i gioni e  per molti anni si sono dati convegno in quelle splendide sale, ed ogni gruppo aveva il suo tavolo”, così racconta Erminio Scalera nel libro citato (I caffè napoletani 1967), dove elenca almeno un centinaio di caffè e racconta anche storie sui frequentatori abituali.  
Gambrinus,interni
Percorsi i pochi metri che li separavano dal Gambrinus, “entrarono, strofinandosi le mani, e sedettero al solito tavolino di Ricciardi, quello vicino alla vetrata che dava su via Chiaia”: la frase è tratta da un racconto ( Il senso del dolore, l’inverno del commissario Ricciardi, ed Einaudi ), di Maurizio de Giovanni, ambientato nei primi anni 30, che cosi descrive il caffè: ”le cose qui, al caffè gambrinus non sono cambiate. Forse, addirittura, le condizioni degli stucchi, delle decorazioni, delle tele sono migliorate nel mio tempo: il restauro accurato, discreto e profondo, ha riportato a galla il passato meglio di quello che ritrovo in questi primi giorni di primavera del 1931. Davanti ai miei occhi, i segni del fumo di mille sigari, delle candele, della cucina; e gli schienali delle sedie addossati al muro quando si privilegia la sala da ballo al ristorante o al thè……Per il resto, le risate, gli sguardi ammirati dei turisti, lo svolazzare dei camerieri in marsina con enormi vassoi in bilico sono più o meno gli stessi, ora come allora”.
Nel 1938, il locale fu chiuso, con una risibile scusa ( si racconta che la moglie del sig. prefetto non riusciva a dormire per le musiche e il frastuono proveniente dal caffè, che come detto era situato proprio al piano terra della prefettura dove abitava)  dal prefetto Marziali, perché era considerato luogo di ritrovo di antifascisti o comunque di un luogo dove si mormorava contro il regime e ci si lasciava andare a storielle e racconti satirici.
Gambrinus Napoli, esterno
Gli ambienti che fino a quel momento erano stati del locale furono destinati ad ospitare una banca, l’agenzia del banco di Napoli, almeno fino a quando un nuovo impresario, Michele Sergio, non riuscì a riaprire l'esercizio, rioccupando parte delle sale, quelle che si affacciavano su piazza Trieste e Trento; successivamente  quelle sale se ne aggiunsero altre, recuperate dalla banca, dopo più di quaranta anni, alla chiusura di una lunghissima controversia col Banco di Napoli.
Solo nel 2000, infatti, le sale che si affacciano sulla piazza del Plebiscito, sono state riaccorpate al Gran caffè, restituendo al locale l’originaria architettura.
P.za S.Fferdinando e S.Carlo
Sostanzialmente riportato al suo antico splendore, oggi è uno dei luoghi più frequentati di Napoli, da tutti gli abitanti della zona di via Chiaia e dai turisti.  Sono passati da queste sale presidenti della repubblica, capi di stato e ministri stranieri e italiani in visita alla città. Gli ambienti interni  sono di inestimabile interesse artistico, si conservano dipinti, statue e stucchi, le pareti sono rappresentative della pittura napoletana di fine ottocento e compongono una vera e propria galleria d’arte.
Nel 2010, in occasione dei 150 anni dalla fondazione, ci sono state grandi iniziative artistiche per tutto l’anno, dal café chantant al diner d’epoque ( una cena con menù del 1880, da gare di pittura al concerto di Natale.
 Ogni anno, comunque, il caffè ospita nelle sue sale manifestazioni rievocative della bella "époque" europea e rappresentazioni di spettacoli musicali e teatrali di operette e di canzoni napoletane.










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