Ischia è
una isola assai vicina di Napoli, nella quale fu già tra l'altre
una giovinetta bella e lieta molto, il cui nome fu Restituta, e
figliuola d'un gentil uom dell'isola, che Marin Bolgaro avea
nome, la quale un giovanetto, che d'una isoletta ad Ischia
vicina, chiamata Procida, era, e nominato Gianni, amava sopra la
vita sua, ed ella lui. Il quale, non che il giorno d...a Procida
ad usare ad Ischia per vederla venisse, ma già molte volte di
notte, non avendo trovata barca, da Procida infino ad Ischia
notando era andato, per poter vedere, se altro non potesse,
almeno le mura della sua casa.(Giovanni Boccaccio,
Decamerone, V° giornata, Novella VI.)
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Corricella |
Nel 1744, Carlo di
Borbone, re di Napoli e di Sicilia da 10 anni, dispose la
trasformazione del Castello di Procida in Palazzo Reale, e
l'isola divenne una delle riserve di caccia reali.
Circa un
secolo dopo, nel 1830, il castello fu trasformato in bagno
penale. Subì allora le necessarie modifiche come celle, camerate
comuni e cubicoli. Ma, cominciamo dall' inizio.
L'isola di
Procida è una delle tre isole del golfo di Napoli, le altre due
sono le più conosciute Capri e Ischia. Il territorio comunale di
Procida si estende anche all'isolotto di Vivara, che qualche
migliaio di anni fa era unito a Procida. Alcuni ritrovamenti
archeologici su Vivara hanno fatto pensare che l'isola fosse già
abitata intorno al XVI o XV secolo a.C., probabilmente da coloni
Micenei. Tanto per inquadrare il periodo storico, i Micenei
furono quelli della guerra di Troia. Intorno all'VIII secolo a.C,
Procida fu abitata da coloni dell'isola di Eubea e poi dai Greci
di Cuma. Durante la dominazione romana, Procida divenne sede di
ville e di insediamenti sparsi; fu luogo di villeggiatura dei
patrizi romani, così come accadeva per gli altri siti Flegrei,
come Baia, Miseno e altri.
Dopo la fine dell'Impero romano,
l'isola subì le devastazioni di Vandali e Goti e successivamente
fece parte del Ducato bizantino (poi autonomo) di Napoli.
L'isola
diventò rifugio per le popolazioni in fuga dalle devastazioni
dovute alle invasioni e alle scorrerie dei pirati saraceni. Ci si
rifugiò sul promontorio della Terra, il rilievo più elevato
dell'isola, naturalmente difeso da pareti a picco sul mare e poi
fortificato: lo chiamarono Terra Murata.
Procida seguì quindi
le vicende politiche del Regno di Napoli, subendo le varie
dominazioni normanne, sveve, angioine: ricordiamo Giovanni da
Procida consigliere di Federico II e animatore della rivolta dei
Vespri siciliani contro gli Angioini. Ci furono poi gli Aragonesi
e il viceregno spagnolo, gli Austriaci per pochi anni fino al
1734 anno della rinascita del Regno autonomo con Carlo di
Borbone. Nel 1529, durante il vice regno spagnolo, l'isola fu
concessa in feudo alla famiglia d' Avalos d'Aquino d'Aragona,
nobile famiglia napoletana. Il primo feudatario fu Alfonso III
d'Avalos, marchese del Vasto e generale dell'imperatore Carlo V,
che ereditò anche l'isola di Ischia dal cugino Fernando
d'Avalos, che fu sposato a Vittoria Colonna, ma morì senza eredi
diretti. Alfonso d' Avalos era nato proprio a Ischia nel 1502,
mentre il cugino Fernando era napoletano di Napoli. Era un'epoca
di guerre continue in Europa, e il Mediterraneo era infestato dai
pirati saraceni, come Khayr al Din, soprannominato il Barbarossa
e Dragut: entrambi devastarono più volte l'isola che provò a
fortificarsi sempre più sulle alture delle Terre murate,
erigendo torri di avvistamento e una seconda cinta muraria
intorno al borgo. Il castello, distrutto da una di queste
incursioni, poi fu ricostruito sul finire del XVI secolo per
volonta del Cardinale Ignico d'Avalos, dagli architetti Giovan
Battista Cavagna romano di nascita, insieme a Benevenuto
Tortelli,bresciano, non solo architetto ma anche
scultore in legno. Successivamente fu Palazzo Reale dei Borbone
fino al 1815, quando fu trasformato in Scuola militare, solo nel
1830/31 si pensò a utilizzarlo come carcere.
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Terre murate e Castello |
Le prigioni esistenti in
Napoli non erano più sufficienti e versavano in uno stato di estremo
disagio per sovraffollamento e altro: la Vicaria e anche S.
Francesco, riadattato nel 1792,non bastavano più. Si cominciò così
a pensare ad altri siti utilizzando, come già accadeva in
Inghilterra e Francia, le isole: dopo aver provato a colonizzare le
Tremiti e Ventotene, dopo aver costruito un carcere sull'isolotto di
Santo Stefano, si pensò al Golfo della capitale: Nisida poteva andare anche se troppo
vicina alla costa, Capri, troppo bella e troppo scogli. restavano
Ischia e Procida, fu scelta prima Procida e il Re rinunziò al
palazzo di Terre murate, per far luogo a modifihe e ampliamenti
necessari per la trasformazione in carcere. La struttura venne divisa
in quattro livelli destinati a diverse categorie di detenuti, in base
alla gravità della pena. I piani bassi, umidi ed angusti, ospitavano
prigionieri politici o assassini; il piano più alto, chiamato
Reclusione, era occupato da condannati al ‘minimo dei ferri’: i
detenuti comuni. Nei sotterranei vi erano, invece, locali interrati
utilizzati come celle di rigore. Il complesso subì nel tempo molte
trasformazioni: dalle aree sottostanti vennero ricavati ulteriori
spazi per soddisfare le mutate esigenze (celle, servizi igienici,
lavanderie, infermeria) e, nel 1850, fu realizzato anche un opificio,
volto ad attenuare le condizioni di degrado in cui versavano i
detenuti. Procida fu definita la regina delle galere borboniche, “la
cloaca massima dove, naturalmente, percola quanto la società ha di
più feccioso ed infame: briganti, assassini, parricidi, grassatori,
ladri, falsari…”. Fu Luigi Settembrini, intellettuale
antiborbonico, a fornire pessime descrizioni delle prigioni
dell'epoca, da quella di S.Stefano a Procida, ma poi, pochi mesi
prima di morire, nel 1876, si rimangiò tutto. Egli infatti confessò
che era stato alquanto esagerato nelle descrizioni.:“ ... se in
qualcuno c'è esagerazione come per esempio nelle torture date a
Napoli ed in Sicilia, l'esagerazione non è sua, ma nostra che noi
tutto esageriamo. A me e ai miei amici non è stato mai torto un
capello nel carcere....la cuffia del silenzio, le cannucce nelle
dita. ec. sono invenzioni.... Ho letto in molti libri e da poco nella
Storia dello Zini, di sevizie patite da noi condannati politici: ciò
non è esatto. Nessuno non ardì mai metterci le mani addosso, né
prima né dopo la condanna.....Una fu la grande sevizia, chiuderci
con ladri e omicidi; i quali, del resto, ebbero sempre grande
rispetto per noi...”.
Quel carcere fu ereditato dal Regno
d'Italia e poi dalla Repubblica, e fu chiuso solo nel 1988.
Forni
l'ambientazione per il film Detenuto in attesa di giudizio, con
Alberto Sordi.
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