Carditello
Jacob Phillip Hackert, pittore, era nato a Prenzlan, in Germania, nel 1737. Dopo aver lavorato in Russia, era venuto in Italia e si era trattenuto a Roma e a Firenze.
Non si conosce con esattezza la data di arrivo a Napoli, ma facendo un po’ di calcoli sia per l’età, sia per le attività svolte e perché a Napoli regnava già Ferdinando IV, sicuramente dopo il 1770/80.
Nominato pittore regio, Hackert ebbe, oltre ad altri incarichi, anche quello di dipingere i porti del regno delle due Sicilie.
Tra gli altri incarichi, egli, secondo quanto riportato dallo storico inglese Harold Acton, ebbe la nomina a direttore dei lavori di sistemazione della “ real delizia” di Carditello:
Lo storico inglese riporta alcune annotazioni di Hackert: “ Carditello – egli scriveva - è una grande casa da caccia, o meglio, la si può chiamare un “ palazzo” di caccia: ci sono molte stalle, in parte per i cavalli, dato che vi è anche una monta, in parte per le mucche che erano più di duecento. Nella masseria annessa si faceva buon burro e formaggio parmigiano, all ‘ interno vi era una grande panetteria, che faceva il pane per gli operai, diversi altri edifici per l’agricoltura, e gli appartamenti per quelli che in inverno abitavano sul posto.”
Da queste poche frasi, si può già capire cosa era Carditello, prima di tutto un sito per la caccia del Re, dove c’è una grande casa o palazzo per accogliere il re stesso e il seguito, nei mesi primaverili e estivi; poi stalle per cavalli e mucche e quindi una specie di azienda agricola del tempo, dove si produceva burro, formaggio, prodotti della agricoltura e pane, e appartamenti per i contadini, gli operai e tutti quelli che “anche d’inverno” abitavano sul posto.
Dallo scritto si coglie anche altro: quando arriva Hackert, il sito è già stato avviato a diventare quello che poi sarà chiamata la “Reggia”.
A questo punto è necessario fare un passo indietro.
Tutto il territorio circostante la città era costellato già da sempre di ville, vecchi casali e masserie, di proprietà di aristocratici e nobili che li usavano come capanni per la caccia o provvisorie residenze estive. Generalmente erano anche circondate da villaggi e case di contadini e braccianti.
Nel tempo,da semplici luoghi di svago e di riposo per i signori, questi casali iniziarono ad essere visti anche come luoghi da sfruttare economicamente per la produzione di frutta e verdura sia di allevamento di bestiame e conseguentemente anche di prodotti caseari e d’altro tipo, insomma in una vera e propria azienda agricola.
Il semplice capanno per la caccia o la piccola costruzione per una breve permanenza estiva si andva trasformando pian piano in un edificio più grande e più comodo per permanenze più lunghe, abitazioni migliori anche per gli addetti e operai, contadini ecc.
Nel regno questa trasformazione avviene più tardi e più lentamente per motivi storici e culturali. Dal 1503 e per due secoli, un dominazione spagnola impedisce ogni minima iniziativa: sfruttata come una colonia il territorio doveva servire soltanto a fornire a Madrid mezzi e uomini per le varie guerre di conquista. La nobiltà spagnola è oziosa e boriosa,il suo esempio,scrive A.Ghirelli, ” alimenta, a tutti i livelli sociali, il culto sfrenato delle apparenze”.
I grandi di Spagna, giunti in città e in provincia, non potevano abbassarsi neanche a pensarci a lavoro, dilapidando e pensando solo a esteriorità, a svaghi e feste, a dispute inutili per i più futili motivi.
La spinta venne soprattutto da quando, il regno riprese la sua autonomia con Carlo di Borbone e soprattutto si entrò nel secolo dei lumi.
L’illuminismo portò grosse innovazioni non solo in campo culturale e filosofico e sociale, ma anche in quello economico, agricolo e industriale, con nuovi schemi e modelli produttivi e molti erano coloro, che pur aristocratici, non disdegnarono di dedicarsi a certe attività.
La città di Napoli era all’epoca piccola e ancora racchiusa intra moenia, salvo pochi interventi edilizi e urbanistici, effettuati dall’unico vicerè degno di essere ancora ricordato dalla strada che egli fece aprire, la via Toledo. Sia a oriente sia a occidente la città era circondata da boschi, da acque e paludi, da fitta vegetazione e foreste piene di animali e selvaggina per chi amava la caccia, fiumi e ruscelli che venivano giù dalle colline di Capodimonte e di Capodichino; Poggioreale non era ancora la zona del carcere più brutto d’Europa, al Vomero c’era solo un piccolo villaggio di Antignano in mezzo a campi coltivati e boschi. Chi va oggi, non troverà neanche un filo d’erba.
Con il ritorno della autonomia e l’arrivo del re Carlo si iniziò a parlare di siti reali, cioè di quei terreni, o comunque luoghi di proprietà della Corona, dove il re e il seguito amavano andare per riposo ma soprattutto per la caccia, di cui egli e anche il figlio erano appassionati.
Appassionato anche di arte, ceramica e archeologia – fu Carlo a dare avvio a sistematici e organizzati lavori di scavo di Pompei e Ercolano e a creare la fabbrica delle porcellane di Capodimonte – egli diede avvio anche a una vasta opera di risistemazione della città e dei dintorni, indovinando anche la scelta dell’uomo che doveva impegnarsi nell’impresa: Luigi Vanvitelli, ingegnere, architetto e urbanista.
Nacque cosi la Reggia più famosa, quella di Caserta, fu trasformata così anche il sito reale di caccia che divenne la reggia di Capodimonte, oggi museo e pinacoteca, cosi nacquero altri siti reali degli Astroni, di S. Leucio, di Venafro, e quello di Carditello.
Questa era solo una antica masseria, utilizzata come deposito di materiale agricolo e di grano: situata nella grande pianura del Volturno, circondata da boschi e abitata da ogni tipo di selvaggina, e anche a poca distanza dal mare.
La masseria fu acquistata dalla corona nel 1745, e trasformata in casino di caccia. Il re e il suo seguito, facevano lunghe passeggiate e cacciavano, e al termine si intrattenevano anche per la notte. Lì potevano mangiare sia la selvaggina cacciata sia i prodotti agricoli del terreno circostante e degli allevamenti, comprese le famose mozzarelle di bufala.
Pian piano, furono sistemate stalle sia per le bufale sia anche per cavalli e per la monta, si pensò poi alla sistemazione di abitazioni per il personale di servizio e anche per i soldati di scorta al re; quindi alla creazione di un grande fabbricato per ospitare non solo il re, ma anche la famiglia reale, la corte o parte di essa, per lo svago ma anche per continuare il governo del regno.
Sempre da Acton, che è un grande studioso dei Borbone di Napoli, apprendiamo di feste organizzate presso quel sito in occasione di una caccia ”….il re aveva ordinato che si invitassero..” vari personaggi e ambasciatori, mentre la regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando scriveva a lady Hamilton, moglie dell’ambasciatore inglese: ”....devo andare a Carditello per una intera giornata, la mia salute e la mia fragile costituzione non godono di queste lunghe gite , ma bisogna obbedire…” al re Ferdinando, evidentemente..
Nel 1759 Carlo veniva chiamato al trono di Spagna, a Napoli restava il figlio minorenne – era nato nel 1751 – Ferdinando, che avrebbe regnato fino al 1825.
I lavori a Carditello non furono interrotti neanche dalla morte del Vanvitelli, avvenuta a Caserta nel 1773.
Il progetto di sistemazione e di rifacimento dei tutto il complesso continuò con quello che era considerato il migliore allievo e collaboratore del Vanvitelli, che fu anche nominato architetto regio: Francesco Collecini, romano, che aveva già collaborato ai lavori della reggia di Caserta e del sito reale di S.Leucio.
Egli progettò una vera e propria reggia in piccolo, facendone nel contempo anche una azienda agricola.
Il palazzo venne costruito al centro della tenuta: il corpo centrale ospitava gli appartamenti della famiglia reale .
Ad esso erano collegati, e quindi raggiungibili, tutti gli altri fabbricati: le stalle, gli opifici, la caserma e gli alloggi del personale, per una estensione totale di trecento metri.
Al piano terra erano situate le cucine, l’armeria e le sale per il personale, al primo piano, si ritrovavano gli ambienti destinati ad accogliere la famiglia reale e il salone dei ricevimenti .
Sui lati furono costruite torri, destinate in parte a abitazioni, per coloro che vivevano lì tutto l’anno e, in parte, alla la sorveglianza del territorio .
Furono inoltre progettate e costruite le strade dei dintorni, soprattutto quelle per andare e tornare velocemente nelle capitale, sia per i sovrani sia per il seguito e le scorte.
Tornando ora a Filippo Hackert, egli aveva ricevuto anche l’incarico di decorare “ con statue e pitture tutto il palazzo di Carditello, oltre alla chiesa ivi inclusa..”. Il piano nobile del palazzo venne riempito di statue, affreschi e dipinti, anche di altri pittori della scuola napolatana tra i quali Fedele Fischetti ,Carlo Brunelli e Pietro Durante.
Nel 1789, in Francia, scoppiava la rivoluzione; le armate rivoluzionarie prima, e quelle di Napoleone Bonaparte poi, invasero l ‘ Europa e l’Italia.
A Napoli, nel 1799 venne proclamata la Repubblica Partenopea, che durerà pochi mesi .
L’arrivo, in quell’anno, delle truppe francesi, fu catastrofico per Carditello; furono distrutti gli arredi e danneggiate decorazioni e pitture murali.
I danni per fortuna furono limitati dall‘arrivo del nuovo re nominato da Napoleone, Gioacchino Murat, che tuttavia, tra una guerra e l’altra, non ebbe tempo per pensare di sistemare il sito.
Tornato a Napoli, dopo il decennio francese, re Ferdinando ne ordinò il restauro, e il palazzo fu utilizzato anche dai successori .
Francesco II°, l’ultimo re di Napoli, probabilmente lo frequentò poco o niente, sia perché poco amante della caccia, sia perché gli mancò il tempo.
Salito al trono nel 1859, dopo neanche un anno, fu costretto ad abbandonare il regno e a difendere il proprio diritto al trono, proprio su quella pianura del Volturno, poco lontano da Carditello, dalle truppe garibaldine e piemontesi.
L’abbandono del sito coincise con l’unità di Italia e l’arrivo dei Savoia: Carditello cadde in rovina e si narra che si verificarono atti di vandalismo contro affreschi rappresentanti i Re Borbone, per cancellarne la memoria .
Mi dicono che sono stati effettuati interventi di restauro in più riprese .
Io ci sono passato solo dall’esterno, l’impressione è stata di grande abbandono, un cancello arrugginito e sbarrato, all’interno di un muro diroccato, una fitta e disordinata vegetazione impedisce qualsiasi visuale di quel che doveva essere un magnifico palazzo, stando almeno alle fotografie e alle storie che si raccontano. Per non parlare dei cumuli di “monnezza” e di copertoni bruciati e delle “ecoballe” che invadono i dintorni, dei terreni e delle acque inquinate da scarichi industriali e altro.
Mi viene detto che il sito viene utilizzato di tanto in tanto per qualche iniziativa culturale.
Il disinteresse per la storia e la cultura, la crisi economica, l’ignoranza, la svendita del patrimonio artistico e culturale, ma anche una damnatio memoriae a carico dei Borbone, colpiscono anche il complesso di Carditello.
Un gentile lettore ci ha informato infatti che il sito è stato messo in vendita al prezzo di 50milioni di Euro.
Da ultimo, si è formato un comitato “ Salviamo Carditello “, che sta raccogliendo firme e sta rivolgendo appelli alla Regione e alla Presidenza della Repubblica
Jacob Phillip Hackert, pittore, era nato a Prenzlan, in Germania, nel 1737. Dopo aver lavorato in Russia, era venuto in Italia e si era trattenuto a Roma e a Firenze.
Non si conosce con esattezza la data di arrivo a Napoli, ma facendo un po’ di calcoli sia per l’età, sia per le attività svolte e perché a Napoli regnava già Ferdinando IV, sicuramente dopo il 1770/80.
Nominato pittore regio, Hackert ebbe, oltre ad altri incarichi, anche quello di dipingere i porti del regno delle due Sicilie.
Tra gli altri incarichi, egli, secondo quanto riportato dallo storico inglese Harold Acton, ebbe la nomina a direttore dei lavori di sistemazione della “ real delizia” di Carditello:
Lo storico inglese riporta alcune annotazioni di Hackert: “ Carditello – egli scriveva - è una grande casa da caccia, o meglio, la si può chiamare un “ palazzo” di caccia: ci sono molte stalle, in parte per i cavalli, dato che vi è anche una monta, in parte per le mucche che erano più di duecento. Nella masseria annessa si faceva buon burro e formaggio parmigiano, all ‘ interno vi era una grande panetteria, che faceva il pane per gli operai, diversi altri edifici per l’agricoltura, e gli appartamenti per quelli che in inverno abitavano sul posto.”
Da queste poche frasi, si può già capire cosa era Carditello, prima di tutto un sito per la caccia del Re, dove c’è una grande casa o palazzo per accogliere il re stesso e il seguito, nei mesi primaverili e estivi; poi stalle per cavalli e mucche e quindi una specie di azienda agricola del tempo, dove si produceva burro, formaggio, prodotti della agricoltura e pane, e appartamenti per i contadini, gli operai e tutti quelli che “anche d’inverno” abitavano sul posto.
Dallo scritto si coglie anche altro: quando arriva Hackert, il sito è già stato avviato a diventare quello che poi sarà chiamata la “Reggia”.
A questo punto è necessario fare un passo indietro.
Tutto il territorio circostante la città era costellato già da sempre di ville, vecchi casali e masserie, di proprietà di aristocratici e nobili che li usavano come capanni per la caccia o provvisorie residenze estive. Generalmente erano anche circondate da villaggi e case di contadini e braccianti.
Nel tempo,da semplici luoghi di svago e di riposo per i signori, questi casali iniziarono ad essere visti anche come luoghi da sfruttare economicamente per la produzione di frutta e verdura sia di allevamento di bestiame e conseguentemente anche di prodotti caseari e d’altro tipo, insomma in una vera e propria azienda agricola.
Il semplice capanno per la caccia o la piccola costruzione per una breve permanenza estiva si andva trasformando pian piano in un edificio più grande e più comodo per permanenze più lunghe, abitazioni migliori anche per gli addetti e operai, contadini ecc.
Nel regno questa trasformazione avviene più tardi e più lentamente per motivi storici e culturali. Dal 1503 e per due secoli, un dominazione spagnola impedisce ogni minima iniziativa: sfruttata come una colonia il territorio doveva servire soltanto a fornire a Madrid mezzi e uomini per le varie guerre di conquista. La nobiltà spagnola è oziosa e boriosa,il suo esempio,scrive A.Ghirelli, ” alimenta, a tutti i livelli sociali, il culto sfrenato delle apparenze”.
I grandi di Spagna, giunti in città e in provincia, non potevano abbassarsi neanche a pensarci a lavoro, dilapidando e pensando solo a esteriorità, a svaghi e feste, a dispute inutili per i più futili motivi.
La spinta venne soprattutto da quando, il regno riprese la sua autonomia con Carlo di Borbone e soprattutto si entrò nel secolo dei lumi.
L’illuminismo portò grosse innovazioni non solo in campo culturale e filosofico e sociale, ma anche in quello economico, agricolo e industriale, con nuovi schemi e modelli produttivi e molti erano coloro, che pur aristocratici, non disdegnarono di dedicarsi a certe attività.
La città di Napoli era all’epoca piccola e ancora racchiusa intra moenia, salvo pochi interventi edilizi e urbanistici, effettuati dall’unico vicerè degno di essere ancora ricordato dalla strada che egli fece aprire, la via Toledo. Sia a oriente sia a occidente la città era circondata da boschi, da acque e paludi, da fitta vegetazione e foreste piene di animali e selvaggina per chi amava la caccia, fiumi e ruscelli che venivano giù dalle colline di Capodimonte e di Capodichino; Poggioreale non era ancora la zona del carcere più brutto d’Europa, al Vomero c’era solo un piccolo villaggio di Antignano in mezzo a campi coltivati e boschi. Chi va oggi, non troverà neanche un filo d’erba.
Con il ritorno della autonomia e l’arrivo del re Carlo si iniziò a parlare di siti reali, cioè di quei terreni, o comunque luoghi di proprietà della Corona, dove il re e il seguito amavano andare per riposo ma soprattutto per la caccia, di cui egli e anche il figlio erano appassionati.
Appassionato anche di arte, ceramica e archeologia – fu Carlo a dare avvio a sistematici e organizzati lavori di scavo di Pompei e Ercolano e a creare la fabbrica delle porcellane di Capodimonte – egli diede avvio anche a una vasta opera di risistemazione della città e dei dintorni, indovinando anche la scelta dell’uomo che doveva impegnarsi nell’impresa: Luigi Vanvitelli, ingegnere, architetto e urbanista.
Nacque cosi la Reggia più famosa, quella di Caserta, fu trasformata così anche il sito reale di caccia che divenne la reggia di Capodimonte, oggi museo e pinacoteca, cosi nacquero altri siti reali degli Astroni, di S. Leucio, di Venafro, e quello di Carditello.
Questa era solo una antica masseria, utilizzata come deposito di materiale agricolo e di grano: situata nella grande pianura del Volturno, circondata da boschi e abitata da ogni tipo di selvaggina, e anche a poca distanza dal mare.
La masseria fu acquistata dalla corona nel 1745, e trasformata in casino di caccia. Il re e il suo seguito, facevano lunghe passeggiate e cacciavano, e al termine si intrattenevano anche per la notte. Lì potevano mangiare sia la selvaggina cacciata sia i prodotti agricoli del terreno circostante e degli allevamenti, comprese le famose mozzarelle di bufala.
Pian piano, furono sistemate stalle sia per le bufale sia anche per cavalli e per la monta, si pensò poi alla sistemazione di abitazioni per il personale di servizio e anche per i soldati di scorta al re; quindi alla creazione di un grande fabbricato per ospitare non solo il re, ma anche la famiglia reale, la corte o parte di essa, per lo svago ma anche per continuare il governo del regno.
Sempre da Acton, che è un grande studioso dei Borbone di Napoli, apprendiamo di feste organizzate presso quel sito in occasione di una caccia ”….il re aveva ordinato che si invitassero..” vari personaggi e ambasciatori, mentre la regina Maria Carolina, moglie di Ferdinando scriveva a lady Hamilton, moglie dell’ambasciatore inglese: ”....devo andare a Carditello per una intera giornata, la mia salute e la mia fragile costituzione non godono di queste lunghe gite , ma bisogna obbedire…” al re Ferdinando, evidentemente..
Nel 1759 Carlo veniva chiamato al trono di Spagna, a Napoli restava il figlio minorenne – era nato nel 1751 – Ferdinando, che avrebbe regnato fino al 1825.
I lavori a Carditello non furono interrotti neanche dalla morte del Vanvitelli, avvenuta a Caserta nel 1773.
Il progetto di sistemazione e di rifacimento dei tutto il complesso continuò con quello che era considerato il migliore allievo e collaboratore del Vanvitelli, che fu anche nominato architetto regio: Francesco Collecini, romano, che aveva già collaborato ai lavori della reggia di Caserta e del sito reale di S.Leucio.
Egli progettò una vera e propria reggia in piccolo, facendone nel contempo anche una azienda agricola.
Il palazzo venne costruito al centro della tenuta: il corpo centrale ospitava gli appartamenti della famiglia reale .
Ad esso erano collegati, e quindi raggiungibili, tutti gli altri fabbricati: le stalle, gli opifici, la caserma e gli alloggi del personale, per una estensione totale di trecento metri.
Al piano terra erano situate le cucine, l’armeria e le sale per il personale, al primo piano, si ritrovavano gli ambienti destinati ad accogliere la famiglia reale e il salone dei ricevimenti .
Sui lati furono costruite torri, destinate in parte a abitazioni, per coloro che vivevano lì tutto l’anno e, in parte, alla la sorveglianza del territorio .
Furono inoltre progettate e costruite le strade dei dintorni, soprattutto quelle per andare e tornare velocemente nelle capitale, sia per i sovrani sia per il seguito e le scorte.
Tornando ora a Filippo Hackert, egli aveva ricevuto anche l’incarico di decorare “ con statue e pitture tutto il palazzo di Carditello, oltre alla chiesa ivi inclusa..”. Il piano nobile del palazzo venne riempito di statue, affreschi e dipinti, anche di altri pittori della scuola napolatana tra i quali Fedele Fischetti ,Carlo Brunelli e Pietro Durante.
Nel 1789, in Francia, scoppiava la rivoluzione; le armate rivoluzionarie prima, e quelle di Napoleone Bonaparte poi, invasero l ‘ Europa e l’Italia.
A Napoli, nel 1799 venne proclamata la Repubblica Partenopea, che durerà pochi mesi .
L’arrivo, in quell’anno, delle truppe francesi, fu catastrofico per Carditello; furono distrutti gli arredi e danneggiate decorazioni e pitture murali.
I danni per fortuna furono limitati dall‘arrivo del nuovo re nominato da Napoleone, Gioacchino Murat, che tuttavia, tra una guerra e l’altra, non ebbe tempo per pensare di sistemare il sito.
Tornato a Napoli, dopo il decennio francese, re Ferdinando ne ordinò il restauro, e il palazzo fu utilizzato anche dai successori .
Francesco II°, l’ultimo re di Napoli, probabilmente lo frequentò poco o niente, sia perché poco amante della caccia, sia perché gli mancò il tempo.
Salito al trono nel 1859, dopo neanche un anno, fu costretto ad abbandonare il regno e a difendere il proprio diritto al trono, proprio su quella pianura del Volturno, poco lontano da Carditello, dalle truppe garibaldine e piemontesi.
L’abbandono del sito coincise con l’unità di Italia e l’arrivo dei Savoia: Carditello cadde in rovina e si narra che si verificarono atti di vandalismo contro affreschi rappresentanti i Re Borbone, per cancellarne la memoria .
Mi dicono che sono stati effettuati interventi di restauro in più riprese .
Io ci sono passato solo dall’esterno, l’impressione è stata di grande abbandono, un cancello arrugginito e sbarrato, all’interno di un muro diroccato, una fitta e disordinata vegetazione impedisce qualsiasi visuale di quel che doveva essere un magnifico palazzo, stando almeno alle fotografie e alle storie che si raccontano. Per non parlare dei cumuli di “monnezza” e di copertoni bruciati e delle “ecoballe” che invadono i dintorni, dei terreni e delle acque inquinate da scarichi industriali e altro.
Mi viene detto che il sito viene utilizzato di tanto in tanto per qualche iniziativa culturale.
Il disinteresse per la storia e la cultura, la crisi economica, l’ignoranza, la svendita del patrimonio artistico e culturale, ma anche una damnatio memoriae a carico dei Borbone, colpiscono anche il complesso di Carditello.
Un gentile lettore ci ha informato infatti che il sito è stato messo in vendita al prezzo di 50milioni di Euro.
Da ultimo, si è formato un comitato “ Salviamo Carditello “, che sta raccogliendo firme e sta rivolgendo appelli alla Regione e alla Presidenza della Repubblica
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