Estratto riassunto del 2° incontro presso università terza età di
Trieste
La storia delle prigioni inizia quando nasce una società organizzata, uno Stato centrale e forte.
Dal giorno in cui una società abbandona la fase primitiva della vendetta privata e si organizza politicamente e giuridicamente, quindi diventa uno Stato, avocando a sé ogni potere, e stabilisce leggi e sanzioni per i trasgressori delle leggi, isolandoli in appositi luoghi detti appunto carceri, prigioni: da quel giorno nasce anche il problema carcerario.
La storia delle prigioni perciò può essere considerata anche la storia della formazione degli Stati e non solo, ma del tipo di Stato e di società, pacifica o guerriera, violenta, democratica o tirannico, oligarchico ecc., economicamente progredita oppure no, ecc., perché è dal funzionamento della giustizia e delle prigioni e delle pene cui vengono sottoposti gli individui, che si capisce con quale società si ha a che fare.
Assiri |
La nascita della nostra civiltà è avvenuta, secondo gli storici, in quella regione che oggi è la Siria, e parte dell’Iraq: partiamo dai Sumeri che secondo la maggioranza degli storici costituiscono la prima civiltà, parliamo degli Assiri e i Babilonesi, che abitavano la vallata tra i due fiumi, la Mesopotamia, il Tigri e l’Eufrate, degli Egiziani nella piana del Nilo, dei Minoici che abitavano Creta e costituirono una grande potenza, del grande impero hittita, che si scontrerà con gli egiziani nella battaglia di Qadesch e avrà una sua parte anche nella guerra di Troia, dei Palestinesi e degli Ebrei con le loro storie e i loro profeti, dei Fenici che già vagavano per il mare e fondavano colonie nel Mediterraneo, e trafficavano anche con i paesi baltici per il commercio dell’ambra, arrivando fino in queste zone dell’alto Adriatico.
La nostra storia passa sicuramente per Troia, sugli attuali Dardanelli, attraverso quello che ci è stato tramandato dalla storia raccontata da Omero, l’Iliade e l’Odissea.
In Grecia c’era la civiltà detta palaziale, quella dei Micenei, che verso la fine dell’età del bronzo, intorno al
Alla fine dell’età del bronzo, circa intorno al
Nel IV secolo, Alessandro “magno”, conquista tutta l’Asia minore, l’Egitto,
Roma diventa repubblica, viene invasa dai Galli di Brenno, inizia poi la conquista delle città greche del sud e si rivolge anche al nord, fino al Po. Oltre il fiume, nell’ area padana, da quello che oggi è il Piemonte fino a Trieste e oltre, c’erano popolazioni indigene e poi celtiche ma non veri e propri Stati.
Economia
Il sistema economico di queste
epoche è molto primitivo, si basa sul possesso di terra per agricoltura e
pascolo e sulla mano d’opera a costo zero, gli schiavi.
Ci sono poi i commerci, per
terra e per mare, gestiti generalmente da Greci e soprattutto da Fenici, un po’
pirati e un po’ commercianti, che fondano empori commerciali in vari luoghi del
Mediterraneo. Nell’alto Adriatico,qui dalle nostre parti, alla foce del
Natisone, si svolgeva il traffico dell’ambra, la resina fossile molto ricercata
– ne sono state trovate reperti anche in Egitto faraonico – proveniente dai
paesi baltici e che in Adriatico proseguiva il viaggio in nave fino ai grandi
regni dell’Egeo e del medio Oriente.
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Tornando all’argomento che ci interessa, nell’epoca di cui stiamo
parlando, la prigione non era la
punizione o meglio la pena, cioè non esisteva la condanna ad esempio, a qualche
anno di reclusione o l’ergastolo, ma il carcere era solo un luogo dove la
persona, uomo o donna accusata di un fatto illecito, poteva essere messa
provvisoriamente, in attesa della vera punizione, della vera sanzione, che
poteva essere in primis la pena capitale, cioè la morte, oppure, se andava
bene, la vendita come schiavo o un risarcimento economico o, quando si trattava
di personaggi di rilievo, l’esilio.
La provvisorietà naturalmente poteva anche durare una vita,
spesso ci si dimenticava di chi era in
prigione e poi accadeva che in
particolari occasioni, ad esempio qualche festività o ricorrenza, qualche
prigioniero veniva tirato fuori se ancora vivo e quindi ucciso in qualche
cerimonia, o venduto, oppure potevano
essere uccisi anche direttamente in carcere senza processo e di nascosto, a
discrezione del potente di turno. Sempre, in ogni epoca, comunque, il
trattamento era diverso se si trattava di persona povera o invece di persona
ricca e influente che o si eliminava in silenzio oppure lo si mandava in Esilio. I prigionieri venivano tenuti, visto che comunque erano destinati alla morte, in vecchie cave, grotte, edifici fatiscenti – il che è ancora oggi in molti casi – sporchi, in promiscuità, o solitudine, senza acqua né cibo..
Nella antichità, la pena prevista era di solito la morte, eseguita in varie forme, spesso inventate al momento o comunque anche stabilite per determinati crimini: mi limito a parlare solo di quelle più ”normali”, ricordiamo la lapidazione, la precipitazione, la decapitazione,l’avvelenamento, l’impiccagione, la crocifissione.
Ovviamente la pena di morte aveva e ha avuto la sua funzione, secondo i maggiori storici e studiosi del problema era una sola, quella retributiva dell’occhio per occhio dente per dente, e quella di deterrente per evitare il ripetersi di altri episodi criminali. Come vedremo però questa presunta deterrenza, non ha impedito, nei secoli, il ripetersi di gravi atti criminosi , delitti, omicidi, sequestri stragi, ecc.
Codice di Hammurabi |
Prima di andare avanti devo accennare a una invenzione dei Sumeri, circa 3000 anni prima di Cristo: parlo della scrittura, con un sistema che si eseguiva con uno stilo a sezione triangolare, imprimendo sull'argilla, una tavoletta, particolari segni composti da brevi incisioni a forma piramidale e appuntita, che possono ricordare dei chiodini o dei cunei. Da cui appunto la definizione di scrittura cuneiforme.
Questa premessa sulla scrittura era solo per arrivare al primo codice penale scritto, più conosciuto, in caratteri cuneiformi: il codice di Hammurabi, ed è la conferma di quanto detto sopra, cioè della esistenza di uno Stato politicamente e giuridicamente organizzato. Lo Stato di cui parlo era Babilonia, in Mesopotamia, l’odierna Siria e Iran, e Hammurabi ne era il Re. Siamo tra il XIX- XVII secolo a.C. ( cioè 1800/1700 anni a.C.), ma non si conosce bene il periodo del suo regno.
I primi anni del suo regno furono pacifici in quanto Hammurabi utilizzò il suo potere soprattutto per intraprendere una serie di opere pubbliche, tra cui la fortificazione delle mura della città a scopo difensivo, il restauro di alcuni templi e lo scavo di una estesa ed efficiente rete di canali, il più importante dei quali garantiva l'irrigazione Poi, con una risoluta politica espansionistica arrivò a dominare tutta la valle del Tigri e parte di quella dell’Eufrate.Con le sue campagne successive e le conquiste di vasti territori degli assiri e dei sumeri, Hammurabi diventa il primo sovrano dell' IMPERO babilonese.
Il suo governo durò molti anni e per quanto riguarda la materia che qui ci interessa egli è ricordato per il suo CODICE. Egli, infatti, fece compilare le leggi che costituiscono il Codice, scoperto nel 1902 da un archeologo francese, tale Jacques de Morgan.
Si tratta di una raccolta di leggi- 282 - scolpita in caretteri cuneiformi - su di una stele raffigurante alla sommità il re in piedi, in atteggiamento di venerazione di fronte a Shamash, dio solare della giustizia, maestosamente seduto sul trono. Il dio porge ad Hammurabi il codice delle leggi, che dunque sono considerate di origine sacra. La stele è di basalto nero, alta circa 2metri; venne rinvenuta nella città di Susa (oggi Shush, capitale amministrativa della Contea di Shush, nella provincia iraniana di Khuzestan). Dato che ne è stata trovata anche un’altra, probabilmente si trattava di un'opera eseguita in serie, di cui esistevano numerose copie. Gli archeologi che facevano parte della missione durante la quale fu scoperta la stele riuscirono a decifrarne i segni, e nel 1904 ne pubblicarono la traduzione. Attualmente la stele si trova al Museo del Louvre a Parigi.. Le leggi sono notevolmente dettagliate, e questo ha consentito di ricostruire importanti aspetti pratici di quella società mesopotamica. L'importanza del codice di Hammurabi risiede certo nel fatto che si tratta di una delle prime raccolte organiche di leggi a noi pervenuta, ma soprattutto nel suo essere pubblico, o per meglio dire pubblicamente consultabile, esplicitando un concetto giuridico moderno, cioè della conoscibilità della legge e della presunzione di conoscenza della legge. Potremmo paragonarla alla nostra “gazzetta Ufficiale” o ai nostri codici. Il fatto che ne è stata trovata un’altra copia fa anche pensare che esse fossero più di due e fossero messe in visione al popolo per farle conoscere. Il cittadino babilonese aveva perciò la possibilità di verificare la propria condotta secondo le leggi del sovrano, e quindi di evitare determinati comportamenti, o di scegliere di attuarli a suo rischio e pericolo.
Per la prima volta nella storia del Diritto, i comportamenti sanzionabili e le eventuali pene vengono resi noti a tutto il popolo (o almeno a chi era in grado di leggere). Il codice si occupava di tutto quel che riguardava la famiglia, la proprietà operazioni di credito e commercio, medici, architetti, agricoltori e marinai, schiavi, tariffe salariali, e reati.In campo penale, Il codice introduce, quello che prima non era previsto, poichè si badava soprattutto al risarcimento danni o si lasciava alla vendetta privata la punizione. Viene perciò istituzionalizzata cioè la legge del taglione., ben nota nel mondo giudaico-cristiano per essere anche alla base della legge del profeta Mosè,. Occhio per occhio, dente per dente,. La pena per i vari reati è infatti spesso identica al torto o al danno provocato: ad esempio la pena per l'omicidio è la morte: se la vittima però è il figlio di un altro uomo, all'omicida verrà ucciso il figlio; se la vittima è però uno schiavo, l'omicida pagherà un'ammenda, commisurata al "prezzo" dello schiavo ucciso.
Malgrado le leggi scritte e quella che noi oggi definiamo civiltà giuridica, ma anche sociale, quelle società, quelle epoche, così come anche dopo quelle della Grecia classica, quella romana e quelle successive, erano comunque violente, abituate alle morti violente e non, c’era una grande mortalità infantile, l’età media era molto bassa, schiavitù, pestilenze, carestie e guerre, l’economia era elementare, basata sulla terra, l’agricoltura e l’allevamento di bestiame, erano società in forte contraddizione, capaci di esprimere da una parte testi giuridici di grande civiltà e anche attualità, poeti e grandi poemi a partire dall’Iliade e l’Odissea, ma anche le avventure indiane di Gilgamesch e grandi miti e leggende come quella di Orfeo e Euridice, di democrazie come quelle di Atene classica, e dall’altre schiavitù, morte come unica soluzione giudiziaria, violenze e sangue come gli spettacoli di gladiatori, condanne “ ad bestias” e martiri cristiani a Roma. Erano peraltro anche società molto religiose e credevano fortemente che ogni evento straordinario fosse dovuto a un qualche Dio arrabbiato con gli uomini.
Il problema giudiziario era chiaramente legato al problema criminale, ai reati. Da che mondo e mondo i delitti in generale sono quasi sempre quelli, furto e rapine, omicidi, poi reati di tipo politico, tradimento e anche di tipo sessuale come rapimento di una donna e violenza. C’erano inoltre banditi di strada, briganti e pirati, ricordiamo che in Adriatico, qui vicino a noi, già da tempi remoti c’erano i pirati illirici che poi furono sconfitti dai romani. Non esisteva neppure un servizio pubblico di polizia nelle città, ma era tutto affidato a privati danarosi che organizzavano squadre anticrimine a spese proprie: le strade di sera e notte erano completamente al buio e chi doveva uscire di notte aveva bisogno di una torcia e poteva essere derubato e ammazzato per strada, i più ricchi si facevano accompagnare da schiavi armati, come a Roma
Andiamo nel mondo occidentale, prima di tutto in Grecia
in Grecia bisogna distinguere l’età eroica, quella illustrata da Omero, l’età oscura, il medio evo ellenico di cui si comincia da poco a conoscere qualcosa, e l’età classica che inizia dal VI secolo in poi, con Atene e la democrazia.
Accennerò ad alcune particolari forme di pena capitale.
Tra le forme più antiche di pena capitale posso ricordare la lapidazione, che consisteva nel lancio di pietre sul condannato fino alla morte, eseguita pubblicamente per strada da una folla di persone, una specie di linciaggio, di cui parleremo. Ricordiamo l’episodio raccontato nel vangelo di Giovanni, quando a Gesù venne portata una donna sorpresa in adulterio e gli chiesero cosa fare visto che Mosè aveva comandato che in questi casi le donne dovevano essere appunto lapidate. Famosa la risposta: “ chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei”. E tutti se ne andarono senza colpirla.
impiccagione |
Tornando però all’antico, voglio leggere un passo di un poema molto antico, l’Odissea, che immagino più o meno tutti conoscano, almeno nelle linee generali: è il racconto molto poetico e pieno di leggende di Odisseo – cioè Ulisse – che torna finalmente a casa,a Itaca, dopo varie avventure, e la trova occupata dai pretendenti alla mano di Penelope, la moglie, che lo riteneva ormai morto, cosi come il figlio Telemaco. Molti suoi antichi servi e ancelle hanno ormai fatto lega con i proci e ormai la sua casa è diventata un porcile. La vendetta di Odisseo sarà terribile, aiutato solo dal figlio e dal porcaio e dal pastore, ammazzerà tutti.
XXII° libro, Odisseo fa radunare le ancelle infedeli e dopo averle costrette a ripulire tutta la sala sporca del sangue dei pretendenti, Telemaco, il bovaro e il porcaio : “ spingendo le ancelle fuori dalla sala massiccia, tra la rotonda e la cinta del ben fatto cortile, in breve spazio le strinsero, da cui non potevano fuggire. E agli altri il saggio Telemaco prese a parlare: non certo con morte pulita toglieremo il respiro a quelle che sul mio capo versavano insulti, e sulla madre, e coi pretendenti giacevano!. Cosi diceva e un cavo di nave prua azzurra a una colonna attaccò, lo stese intorno alla grande rotonda , alto tendendolo, perchè nessuna coi piedi toccase la terra.” Qui c’è il paragone, un classico in Omero, con i tordi (le tordelle) o colombe che si impigliano in una rete tornando al proprio nido, così le ancelle infedeli: “ avevano le teste in fila, al collo di tutte era un laccio, perché nel modo più tristo morissero. E coi piedi scalciavano,per poco, però, non a lungo”. Questo è il racconto poetico di una impiccagione di gruppo.
La vendetta di Ulisse inoltre ci mostra il sistema punitivo come era o comunque come Omero lo conosceva. Ulisse ammazza tutti i proci perchè gli avevano occupato la casa e avevano mangiato e bevuto e andati a letto con qualche schiava. Cosa che all’epoca era perfettamente normale, ma qui abbiamo una classica vendetta privata, Ulisse è il re ma agisce non in base a leggi scritte, ma a una sua decisione.
Trasferiamoci ora ad Atene, nel V° secolo a.c. e parliamo di Socrate. E della prima prigione di cui sappiamo, quella dove fu appunto rinchiuso Socrate e della sua condanna a morte.
I tempi sono cambiati dall’epoca di Ulisse e di Omero, sono passati molti secoli, l’azione dell’Odissea si svolgeva nel 1200/1100, mentre ora siamo nel 400 a.c., Atene è diventata uno Stato organizzato, il popolo partecipa alle elezioni, ci sono tribunali e giudici, il concetto di pena e di prigione però non è mutato. Pena capitale o corporale e prigione solo in attesa della pena.
Socrate |
La città era all’epoca passata dall’apice del potere a una sconfitta nella cosiddetta guerra del Peloponneso ad opera della tradizionale rivale, Sparta. Socrate si era arruolato e aveva combattuto in alcune battaglie dei quella guerra e sembra fosse stato anche decorato.
In quel periodo Atene fu governata dai cosiddetti trenta tiranni, un regime di tipo oligarchico e poco democratico. Socrate fu immediatamente individuato come nemico politico e perseguito per le sue idee considerate contrarie alla tradizione e alla religione. Non fa parte dell’argomento che trattiamo il pensiero filosofico di Socrate, a noi interessa arrivare al processo cui fu sottoposto e soprattutto alla prigione in cui fu rinchiuso e al tipo di pena cui fu condannato.
Il filosofo fu accusato di: corrompere i giovani insegnando dottrine che propugnavano il disordine sociale e non credere negli dei della città e tentare di introdurne di nuovi. Accuse chiaramente pretestuose, usate per liberarsi di un personaggio scomodo. Il processo si tenne nel 399 a.c., l’Accusa, rappresentata da un tal Meleto, con il sostegno del governo oligarchico, chiese la condanna a morte, mentre Socrate chiese, provocatoriamente, di essere mantenuto in prigione a spese dello Stato oppure una multa, ma sembra che rifiutò l’esilio. Le richieste furono messe ai voti e fu accolta quella della accusa, e lo condannarono a morire mediante l'assunzione di Cicuta.
Pritaneo,oggi |
Morte di Socrate |
Galli |
Ma la vera e propria invasione si verificò nel IV sec., e mise fine, almeno temporaneamente, alle culture indigene: furono popolazioni galliche, dalla Francia, ad attraversare le Alpi, e a dilagare nella pianura padana fin oltre il Veneto, al di qua e al di là del Po, alla ricerca di terre. I Galli erano suddivisi in varie tribù dai diversi nomi Biturigi, Arverni, Edui, Carnuti o forse Carni, Senoni. Alcuni di loro si spinsero fino alle Marche, in Puglia e un gruppo, comandato - secondo gli storici latini - da un tale chiamato Brenno, occupò anche Roma nel 386 e la saccheggiò: si tratta dell’episodio che è stato raccontato tante volte nei vecchi libri di scuola, delle oche del Campidoglio che svegliarono i difensori della città.
Castelliere |
Infatti, sbaragliati gli Etruschi a nord , conquistate a sud tutte le città della magna Grecia, e sconfitto finalmente il cartaginese Annibale, Roma si affacciava sul Po e si scontrò con le popolazioni celtiche e fondò molte colonie nell’area, come Aquileia, e costrinse i Galli dell’area a pagare tributi, a fornire schiavi e a ritirarsi in quelle montagne che oggi chiamiamo Carnia.
Per maggiori informazioni, su questo stesso blog, “ il castello di Rubbia”.
Con Roma arrivano anche le leggi romane. Le leggi romane riguardavano prima di tutto i cittadini romani, i cives, quelli che avevano la cittadinanza, ai quali ad esempio non potevano essere applicate determinate sanzioni, come per es. la crocifissione riservata gli schiavi o comunque a chi non aveva la cittadinanza.
Anche nel diritto romano il carcere era considerato come un mezzo di detenzione preventiva in attesa della pena capitale o corporale.
L’ordinamento giuridico romano era prima di tutto molto semplice e pratico: ai cives romani, cioè i cittadini romani, a quelli che avevano la cittadinanza si applicavano alcune regole; poi c’erano gli altri, schiavi che erano considerati “cose” e quindi nessun diritto, mentre nelle provincie, agli abitanti del posto si applicavano le regole locali, a meno che non sfidavano la capitale, Roma.
A Roma c’era lo jus vitae ac necis, il diritto di vita e di morte che faceva capo al pater familias, che era libero di decidere la sorte dei suoi familiari e degli schiavi da lui dipendenti. L' “ergastulum” era solo una prigione privata della Domus dove il pater familias rinchiudeva lo schiavo ribelle.
il diritto romano prevedeva il processo accusatorio pubblico, cioè il confronto verbale tra accusatore,che poteva essere un privato cittadino o un magistrato, e che aveva l’onere della prova, come oggi è da noi e anche nei sistemi anglosassoni, e l’accusato che doveva solo difendersi, davanti a un giudice terzo.
Non c’era una vera e propria polizia per le città e le campagne. A Roma veniva utilizzata, come polizia, la coorte pretoria, i famosi pretoriani, nelle altre città le truppe di stanza nelle vicinanze e pattuglie armate nelle campagne contro i banditi di strada: questi erano assai diffusi dai tempi delle guerre civili, non si limitavano a rapinare i viaggiatori, ma spesso li riducevano in schiavitù e li vendevano o chiedevano il riscatto. I ricchi avevano eserciti privati.
I briganti – è rimasta famosa una banda operante nel III sec. d.C., detta Bulla Felix composta da quel che si racconta di circa 600 uomini, ricordati come una specie di Robin Hood : - venivano catturati e condannati a morte nei modi più crudeli: crocifissi, bruciati vivi, dati in pasto alle belve negli spettacoli.
A Roma solo con Augusto fu organizzato un corpo con compiti ausiliari di polizia.
carcere tulliano o mamertino |
A Roma, il carcere Mamertino o Tulliano è il più antico carcere, e si trova nel foro. Consisteva di due piani sovrapposti di grotte scavate alle pendici meridionali del Campidoglio La più profonda risale all'età arcaica, VIII-VII sec. a. C., scavata nella cinta muraria originaria; secondo lo storico Tito Livio, fu realizzata con il re Anco Marzio, fu chiamato Tullianum, probabilmente dai re Servio Tullio oppure Tullio Ostilio. La seconda grotta, successiva e sovrapposta alla prima, è di età repubblicana. La gestione del carcere Tulliano e anche di altre prigioni dell’impero di altre città, e delle esecuzioni capitali, era affidata a una Autorità costituita da Tre persone, i TRESVIRI Capitales, che però non avevano molto personale a disposizione, anche perché non ne occorreva. Fu qui che fu imprigionato e poi strangolato Vercigentorige, il capo dei galli catturato da Cesare, poi lì strangolato e , secondo alcuni autori cristiani del Medio evo, è qui che furono poi rinchiusi S.Pietro e S. Paolo prima della esecuzione capitale. Dopo il 700 d.C. il luogo cominciò ad essere chiamato Carcere Mamertino.
La descrizione del Tulliano più celebre, è quella di Sallustio nel “De Catilinae coniuratione”, dedicato perciò alla congiura di Catilina contro lo Stato all’epoca di Cicerone console: egli parla della detenzione e dell’esecuzione di alcuni complici di Catilina, di un ex console Lentulo e, di altri personaggi chiamati Cetego, Statilio, Gabinio e Cepario, :“Vi è un luogo nel carcere chiamato Tulliano, un poco a sinistra salendo, sprofondato a circa 12 piedi sottoterra. Esso è chiuso tutt’intorno da robuste pareti, e al di sopra da un soffitto, costituito da un volta in pietra. Il suo aspetto è ripugnante e spaventoso per lo stato di abbandono, l’oscurità, il puzzo.”
Catilina |
Ora parliamo della crocifissione, che ho scelto per motivi che mi sembrano evidenti, il crocifisso è diventato un simbolo della religione cristiana.
Ma qui parlo della crocifissione come modalità di esecuzione della pena di morte e non di “quella” crocifissione.
Consisteva nell’inchiodare il condannato a un palo incrociato con un altro, in modo che poi l’ appeso morisse con una lunga agonia. Sono sorti dubbi e discussioni sull’uso dei chiodi o di corde, ma sembra secondo la maggior parte delle fonti che fosse normale utilizzare chiodi infissi nelle mani e nei piedi.
Gladiatori |
La pena della crocifissione era tanto atroce e umiliante che non poteva essere comminata a un cittadino romano. La morte sulla croce ( E.Cantarella, i supplizi capitali ,ed. feltrinelli), a Roma, era detta “ servile supplicium”.cioè riservata agli schiavi, Ricordiamo tutti la rivolta degli schiavi guidati da Spartaco: alla fine tutti i superstiti, circa 6000 schiavi furono crocifissi sulla strada da Roma a Capua, lì dove era iniziata la rivolta: circa 150 Km croci.
Molti studiosi affermavano che, normalmente veniva preceduta dalla flagellazione. Cicerone definiva la crocifissione "il supplizio più crudele e più tetro"[. La croce romana era composta di due legni separati, che venivano uniti e assumevano la forma di croce solo nel momento della esecuzione. Normalmente sul luogo delle crocifissioni c'era già, saldamente piantato per terra, il palo verticale (lo stipes). Il condannato si avviava al luogo dell'esecuzione portando sulle sue spalle solo il palo orizzontale, il patibulum (da qui la parola i "patibolo"), al quale sarebbe stato attaccato. Il patibulum aveva normalmente a metà un foro con cui veniva infisso sullo stipes. Lo stipes poteva essere di varia altezza, generalmente si racconta che fosse poco più alto di un uomo di media altezza, la cosidetta “crux humilis”, ed esponeva il condannato crucifisso ai morsi degli animali che si avvicinavano ai piedi a poca distanza da terra. C’erano poi gli “stipites sublimes”, quelli alti oltre un metro da terra, che servivano nei casi più gravi per far vedere a tutto il popolo anche da più lontano per un maggiore valore deterrente.
Gli arti venivano inchiodati o legati al legno.. L'agonia del condannato era abbastanza lenta, potendo durare ore o anche molti giorni. La morte poteva avvenire per collasso cardiocircolatorio o asfissia. Infatti, per respirare, il condannato doveva fare leva sulle gambe; quando, per la stanchezza, o per il freddo, o per il dissanguamento, il condannato non poteva più reggersi sulle gambe, rimaneva penzoloni sulle braccia, con conseguente difficoltà per respirare oppure tutti questi movimenti dolorosissimi portavano al cedimento del cuore. I carnefici lo sapevano, e quando dovevano accelerare la morte rompevano con un bastone le gambe del condannato, in maniera che il soffocamento arrivasse in breve.
Flagellazione Caravaggio |
Il condannato, dinanzi al magistrato, veniva prima sottoposto a una flagellazione affidata ai tortores, che operavano in coppia. Denudato e legato a un palo o a una colonna, veniva colpito con strumenti diversi a seconda della condizione sociale: per gli schiavi e i provinciali era previsto il flagrum o flagellum, formato da due o tre strisce di cuoio o corda (lora) intrecciate con schegge di legno oppure ossicini di pecora, oppure delle strisce di cuoio aventi all'estremità due piccole sfere metalliche.
La flagellazione poteva essere una punizione esemplare anche fine a se stessa, seguita dalla liberazione, oppure una condanna mortale: in questo caso produceva lacerazioni così profonde da mettere allo scoperto le ossa. Se veniva inflitta come preambolo alla crocifissione, il numero di colpi doveva essere limitato probabilmente a una ventina perché la vittima non doveva morire prima di finire in croce.
Il condannato veniva poi rivestito e condotto al supplizio. Il titulus, appesogli al collo o portato da un banditore, aveva la funzione d’informare la popolazione sulle sue generalità, sul delitto e sulla sentenza. I responsabili d’efferati delitti erano caricati del patibulum (probabilmente legati). Se i malcapitati erano più di uno, venivano legati tra loro con una lunga corda che poteva passare intorno al collo, ai piedi o a un’estremità del patibulum.
crocifissione |
Veniva poi appeso alla croce per le braccia con chiodi, anelli di ferro o corde, come pure i piedi, che talvolta però venivano lasciati liberi. Lungo il cammino essi subivano strattoni e venivano oltraggiati, maltrattati, pungolati e feriti per indebolirne la resistenza. Bevande drogate (mirra e vino) e la posca (miscela d’acqua e aceto) servivano a dissetare, tamponare emorragie, far riprendere i sensi, resistere alla sofferenza, mantenere sveglio il crocifisso perché confessasse le sue colpe. Raramente la morte veniva accelerata; se ciò accadeva era per motivi d’ordine pubblico, per interventi d’amici del condannato, per usanze locali. Si provocava la morte in due modi: col colpo di lancia al cuore o col crurifragium, cioè la rottura delle gambe, che privava il condannato d’ogni punto d’appoggio con conseguente soffocamento per l'iperestensione della cassa toracica (non è possibile respirare completamente e viene meno quindi l'apporto di aria ossigenata all'organismo). La vigilanza presso la croce era severa per impedire interventi di parenti o amici; l’incarico di sorveglianza era affidato ai soldati e durava sino alla consegna del cadavere o alla sua decomposizione.
All’inizio del IV secolo, l’Imperatore Costantino vietò ai tribunali pubblici di condannare alla crocifissione, la cui memoria, siamo dopo il 300 d.c., era ormai legata alla morte del Cristo .
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