Seconda parte
Regina

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G.Fattori: Magenta, campo piemontese |
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Palazzo reale di Napoli |
Nel
nord della penisola intanto, l’esercito austriaco stava subendo una serie di
sconfitte in battaglie cruente, che portarono all’armistizio di Villafranca, il
12 luglio, alla cessione della Lombardia e alla ribellione e alla successiva
annessione al regno sardo dei ducati di Toscana, Parma e Modena, e della
Romagna pontificia.
A Napoli queste notizie producevano per i
liberali piacere e manifestazioni di gioia, per la Corte preoccupazione e
problemi; Sofia era in ansia anche per
la sorella che sapeva essere caduta in un profondo stato di disperazione. Elisabetta, infatti, piangeva in continuazione, aveva chiesto
all'imperatore di poterlo raggiungere in Italia, ma le era stato negato il
permesso; si dedicò a drastiche cure
dimagranti e a sfiancanti cavalcate; disertò tutti gli impegni sociali
organizzati dalla suocera, l'arciduchessa Sofia, attirandosi le critiche della
Corte. Stava crollando tutto il sistema
imperiale austriaco voluto a suo tempo dal Congresso di Vienna, la crisi non
era solo politica ma si allargò anche alla vita privata della coppia imperiale.


La conquista
A
maggio 1860, Garibaldi sbarcò a Marsala, protetto dalle navi inglesi nel porto
e ignorato dalle navi borboniche, e diede inizio alla conquista che sappiamo.
La Sicilia era la spina nel fianco del regno, e lo era sempre stata fin dai
tempi antichi, dagli Angioini e dai Vespri siciliani, con le secolari mire
autonomiste e secessioniste dal continente.
Per questo motivo fu scelta l’ isola
per attaccare il regno e perché l’Inghilterra era interessata a
impossessarsene, per i suoi commerci.
Pur disponendo di una flotta di 14 navi militari che incrociavano lungo le coste del Regno, i Mille non furono fermati. Probabilmente il re si illudeva di poter fermare a terra quella che considerava una banda di avventurieri, ma sappiamo come andò a finire. Tanto per fare un esempio, a Calatafimi ben 3.000 soldati borbonici si ritirarono inspiegabilmente, dopo un'accanita battaglia che li aveva quasi condotti a rigettare i garibaldini in mare, a causa degli ordini del generale Landi, di anni settantadue, che andava in battaglia con la carrozza. Landi, dopo Calatafimi, fu accusato di tradimento e corruzione, e soprattutto incapacità, (si racconta che gli furono promessi 15.000 o 20.000 ducati da pagarsi a guerra conclusa, ma quando andò ad esigerli, ricevette solo un rifiuto e così restò “ cornuto e mazziato”), fu degradato e condannato all’esilio.
Pur disponendo di una flotta di 14 navi militari che incrociavano lungo le coste del Regno, i Mille non furono fermati. Probabilmente il re si illudeva di poter fermare a terra quella che considerava una banda di avventurieri, ma sappiamo come andò a finire. Tanto per fare un esempio, a Calatafimi ben 3.000 soldati borbonici si ritirarono inspiegabilmente, dopo un'accanita battaglia che li aveva quasi condotti a rigettare i garibaldini in mare, a causa degli ordini del generale Landi, di anni settantadue, che andava in battaglia con la carrozza. Landi, dopo Calatafimi, fu accusato di tradimento e corruzione, e soprattutto incapacità, (si racconta che gli furono promessi 15.000 o 20.000 ducati da pagarsi a guerra conclusa, ma quando andò ad esigerli, ricevette solo un rifiuto e così restò “ cornuto e mazziato”), fu degradato e condannato all’esilio.

”Tra le regine del periodo – sostiene
Renata de Lorenzo, in "Borbonia Felix", Salerno editrice, 2013) – è la sola, anche per la delicata fase che
gestisce, ad avere un ruolo politico da reale
protagonista”. Ella non si stancava di
incitare il Re a mettersi a capo dell'esercito e passare all'azione, sicura che
tutto il popolo l'avrebbe sostenuto e seguito.
Dopo la perdita della Sicilia e la dissoluzione dell'esercito in Calabria, tutti infatti, a Napoli furono presi dallo scoramento. Si sperava nell’appoggio della Russia, della Prussia e soprattutto nell’intervento armato dell’Austria, che avrebbe potuto bloccare l’esercito piemontese in Lombardia. Ma Francesco Giuseppe, cognato di Sofia, era stato sconfitto pesantemente l’anno prima e aveva altri problemi da affrontare in casa; si era per questo attirato le ire della moglie Elisabetta. La tragedia era ormai incombente, e il Re non riusciva a prendere l’unica decisione possibile cioè quella di prendere il comando e combattere. “ Se il re avesse il temperamento di sua moglie, venderebbe più cara la pelle” dice A. Ghirelli ( Storia di Napoli, ed. Einaudi,1973). Sofia, con pochi altri, incitava inutilmente il marito a “ montare a cavallo” e a dirigere personalmente le operazioni, ma non ci fu verso di convincerlo. Francesco non era fatto per la guerra, nella sua educazione non era stata contemplata l’ ipotesi di fare il condottiero militare: si sarebbe svegliato solo più tardi, come vedremo, quando ormai aveva abbandonato la capitale. Per Garibaldi, in Calabria, e fino a Napoli fu una passeggiata, mentre alcuni generali borbonici si arrendevano senza neanche provare a combattere, tanto che in alcuni casi - come a Mileto, in Calabria, il generale Briganti - la truppa si ribellò e ammazzò il proprio comandante. Il 6 settembre 1860, Francesco e Sofia abbandonarono la capitale, senza neanche portare via neanche i depositi personali, né opere d’arte, né denaro, che subito furono sequestrati e incamerati da Garibaldi e poi dai Savoia. Il banco di Napoli aveva depositi per centinaia di milioni che fecero comodo al Piemonte per risanare il proprio debito pubblico: il regno di Sardegna infatti era indebitato fino al collo con banche di mezza Europa e non disponeva che di qualche migliaio di lire.
Dopo la perdita della Sicilia e la dissoluzione dell'esercito in Calabria, tutti infatti, a Napoli furono presi dallo scoramento. Si sperava nell’appoggio della Russia, della Prussia e soprattutto nell’intervento armato dell’Austria, che avrebbe potuto bloccare l’esercito piemontese in Lombardia. Ma Francesco Giuseppe, cognato di Sofia, era stato sconfitto pesantemente l’anno prima e aveva altri problemi da affrontare in casa; si era per questo attirato le ire della moglie Elisabetta. La tragedia era ormai incombente, e il Re non riusciva a prendere l’unica decisione possibile cioè quella di prendere il comando e combattere. “ Se il re avesse il temperamento di sua moglie, venderebbe più cara la pelle” dice A. Ghirelli ( Storia di Napoli, ed. Einaudi,1973). Sofia, con pochi altri, incitava inutilmente il marito a “ montare a cavallo” e a dirigere personalmente le operazioni, ma non ci fu verso di convincerlo. Francesco non era fatto per la guerra, nella sua educazione non era stata contemplata l’ ipotesi di fare il condottiero militare: si sarebbe svegliato solo più tardi, come vedremo, quando ormai aveva abbandonato la capitale. Per Garibaldi, in Calabria, e fino a Napoli fu una passeggiata, mentre alcuni generali borbonici si arrendevano senza neanche provare a combattere, tanto che in alcuni casi - come a Mileto, in Calabria, il generale Briganti - la truppa si ribellò e ammazzò il proprio comandante. Il 6 settembre 1860, Francesco e Sofia abbandonarono la capitale, senza neanche portare via neanche i depositi personali, né opere d’arte, né denaro, che subito furono sequestrati e incamerati da Garibaldi e poi dai Savoia. Il banco di Napoli aveva depositi per centinaia di milioni che fecero comodo al Piemonte per risanare il proprio debito pubblico: il regno di Sardegna infatti era indebitato fino al collo con banche di mezza Europa e non disponeva che di qualche migliaio di lire.
Secondo
me fu un grande errore abbandonare Napoli, Francesco avrebbe dovuto e potuto difendere
la città e bombardare il nemico dai castelli, invece di ritirarsi sul Volturno;
avrebbe anche potuto attestarsi a sud della città, verso Salerno e sul Sarno. La storia insegna che difficilmente un re che
ha abbandonato la propria capitale, poi ritorna; ne sapranno qualcosa anche i Savoia
dopo ottantanni, quando fuggiranno davanti ai tedeschi.

La fine
La
notizia del crollo del regno delle due
Sicilie, intanto, era arrivata a anche a Vienna e a Monaco. Nessuno Stato intervenne. I governi di Prussia, Austria e Russia fecero solo pressioni
sull'imperatore Napoleone III per
aiutare il re Francesco, mentre il governo inglese faceva esattamente il
contrario. Napoleone III si comportava, come al solito, in modo ambiguo e
imprevedibile, da una parte proteggeva il Borbone così come proteggeva il Papa
subendo l’influenza della moglie, supercattolica e legittimista,
dall’altra, segretamente si faceva
convincere da Cavour, ma soprattutto dalla bella Virginia Oldoini, più nota
come contessa di Castiglione ( a fianco), a favorire l’intervento del Piemonte, anche
attaccando i territori papali. La
preoccupazione per la sorella Sofia ebbe
su Sissi un'influenza negativa, rovinando anche i suoi rapporti col marito.
Elisabetta lasciò improvvisamente Vienna e si diresse a Possenhofen in
Baviera, a casa sua Nell'ottobre del 1860,, mentre sul Volturno
sui combatteva la battaglia decisiva per il regno delle due Sicilie, la salute
dell'imperatrice subì un tracollo, dovuto a numerose crisi nervose e cure
dimagranti. I medici interpellati non ci capivano molto, qualcuno consigliò una
cura presso un paese dal clima caldo: a suo parere la sovrana non sarebbe
riuscita a superare l'inverno a Vienna.
A sud intanto Sofia e Francesco, abbandonata Napoli il 6
settembre, si erano rifugiati a Gaeta, mentre le truppe rimaste fedeli,
prendevano posizione intorno alla fortezza e sulla piana del Volturno, secondo
una precisa strategia che prevedeva una linea di difesa sul fiume, con il
supporto delle due fortezze di Capua e Gaeta. Resistevano inoltre le fortezze
di Messina e di Civitella del Tronto. La
maggior parte della flotta borbonica, al comando della quale era Luigi di
Borbone, conte di Aquila e zio di Francesco II, presente all'ancora nella rada
di Napoli, rifiutò di seguire il re.. Ma molti dei semplici marinai delle navi
ammutinate, visto l'atteggiamento dei loro ufficiali, si tuffarono in mare per
raggiungere il re, rifiutando di partecipare al tradimento. Così, due sole navi
seguirono il re a Gaeta, insieme a una nave spagnola con a bordo l’
ambasciatore di Spagna, Bermudez de Castro.

Sul Volturno, la situazione si presentò subito diversa e
più difficile allo stesso Garibaldi: i garibaldini si trovarono davanti a un
esercito regolare di gente arrabbiata e pronta a tutto, e non c’erano quei
comandanti che si erano arresi al primo sparo.
La battaglia, infatti, volgeva a favore dell’ esercito
borbonico e si narra che lo stesso Garibaldi stesse per finire prigioniero
nella zona di S. Angelo in Formis (vedi su questo blog: S.Angelo in Formis ). Si
racconta, infatti, che egli, mentre cercava di raggiungere le sue linee,
percorrendo in carrozza la strada tra S.
Maria Capua Vetere e S. Angelo, fu attaccato dai soldati borbonici che
abbatterono cocchiere e cavallo. A stento
era riuscito a salvarsi, correndo a piedi verso le proprie linee. “ ….L’esercito borbonico, composto da circa
50.000 uomini, si batté strenuamente e nella località di Caiazzo costrinse i
garibaldini a ritirarsi…” (Lucio Villari, Bella e perduta, Ed. Laterza),
tanto per smentire le malelingue che sparlarono e ancora oggi sparlano, con
disprezzo dell’esercito di Franceschiello.
L’arrivo di rinforzi freschi e delle truppe sarde dal nord,
capovolsero le sorti della battaglia, e
quello che restava dell’esercito si ritirò nella fortezza di Gaeta. Poiché
non entravano tutti nella fortezza, alcuni reggimenti furono sciolti, i soldati
furono mandati oltre il confine dello stato pontificio mentre altri si prepararono alla estrema difesa. Dal
lato mare Gaeta era protetta da poche navi rimaste fedeli e da alcune navi
spagnole e francesi.
Gaeta
Oggi Gaeta è un Comune di circa 20.000 abitanti della provincia di
latina, nel basso Lazio, subito dopo Formia, per chi viene da Napoli, da cui
dista circa 80 km .
Nel 1860 Gaeta era parte dell'antica provincia di Terra di lavoro del regno
delle due Sicilie. Città antica, sulla cui origine si sono espressi il geografo Strabone,
ma più conosciuto di lui, Virgilio, nell’Eneide (Eneide, VII, 1-4), che
diede una sua spiegazione del origine del nome: “Caieta”, dal nome della
nutrice di Enea, da lui sepolta in quel sito durante il suo viaggio verso le
coste laziali. “Ed ancor tu, d’Enea fida
nutrice Caieta, ai nostri liti eterna fama desti morendo; ed essi anco a te
diero sede onorata…..”.
La
città, dopo la fine dell'impero romano, subì vari saccheggi e dominazioni. Per la sua posizione su una penisola
naturale, facilmente difendibile, fu
fortificata con cinte murarie e sulle pendici di Monte Orlando, sulla zona alta
dell'antico borgo medioevale sorse il castello di Gaeta a difesa dell'abitato,
e le popolazioni delle zone limitrofe si trasferirono all'interno delle mura
per trovare ospitalità, rifugio e protezione.
Le prime notizie del castello risalgono al VI secolo d.c., ma notizie
certe della sua esistenza si hanno nel XIII, durante la dominazione Sveva. Alla nascita del regno normanno, con Ruggero II, Gaeta divenne città di
confine con lo Stato della Chiesa.
Durante il periodi successivi furono costruite aggiunte al castello e nuovissime
fortificazioni, aggiornate contro le ultime e più potenti armi da fuoco. L'ala angioina fino a pochi anni fa è stata
sede del Carcere Militare di Gaeta, attualmente è di proprietà del Comune. La fortezza aveva subito nei secoli molti
assedi, gli ultimi erano stati nel 1806,
da parte delle truppe napoleoniche comandate dal generale Massena, e aveva
resistito per 5 mesi, e nel 1815 il generale
Begani tenne testa agli Austriaci coi resti dell'esercito di Gioacchino Murat.

L’esercito
sardo si stava ammassando intorno alla fortezza, oltre il Borgo della città,
oltre Mola (oggi Formia), sui monti e i colli circostanti. ” Da Monte Cristo ai colli di Tortano –
(Gigi di Fiore, Gli ultimi giorni di Gaeta, ed. Rizzoli) - , Lombone, Sant’Agata e i Cappuccini, per arrivare alla spiaggia di Serapo (
bellissima e con un mare caraibico ancora negli anni ’60 del XX sec.), sul lato sinistro della piazzaforte; ma anche tra la valle Arzano e Monte Conca
sulla destra”. Una tenaglia formidabile e uno schieramento incredibile di
truppe e artiglierie.
Fine seconda parte, continua…
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