Ma
chi, o cosa, è questa genovese di cui farò l’elogio? Un napoletano, o anche un
campano, lo capirà subito, ma un veneto, ad esempio, o un sardo, a cosa potrà
pensare? Forse a una donna di Genova? Forse a un soprannome? O forse potrebbe
pensare al pesto alla genovese?
Con
quest’ultima domanda ci si avvicina abbastanza alla risposta, ma non è il
pesto.
La
“genovese” di cui parlo è quindi una salsa? Ebbene si, è una gustosa salsa,
esclusiva e inimitabile, fatta con carne e cipolle, con la quale normalmente si
condisce la pasta, che si può assaggiare solo a Napoli e dintorni, e che con
Genova ha in comune solo il nome.
L’origine del
nome è antica ed è avvolta nelle nebbie di ipotesi e leggende che risalgono al
Medio Evo e alla Repubblica marinara di Genova. Nel XIII secolo, in una Napoli
appena diventata capitale del Regno angioino, nell’area portuale esistevano
fondaci, o depositi di merci, di diverse città marinare, in particolare quello
della Repubblica Genovese.
Si racconta che la carne con cipolle, alla quale forse si
aggiungevano altri elementi, era cucinata da marinai genovesi, che quindi
dettero il nome al piatto, o anche, che era preparata in qualche bettola del porto, e era
molto gradita dai marinai genovesi. Un’altra ipotesi sostiene che fu creata a
Napoli ma preparata da cuochi provenienti da Genova che erano soliti cucinare
la carne in modo da ricavarne una salsa utile poi per condire la pasta.
Secondo altri, la fonte più antica sulla Genovese risalirebbe al 1285: nel “Liber de coquina“, (libro di cucina), scritto in latino e dedicato a Re Carlo II d’Angiò, si ritrova una ricetta particolare chiamata “ De Tria Ianuensis”, cioè i “Tria”: una pasta a forma di fili essiccati, (spaghetti?) chiamata “itrya” preparata in Sicilia, nel periodo arabo, a Al Tarbiah (Trabia), all’epoca un paesetto con molti mulini, a 30 km da Palermo. L’aggettivo “Ianuensis” derivava dalla deformazione medievale del nome latino di Genua, cioè Ianua.
"Ad triam ianuensem, suffrige cipolas cum oleo et mite in aqua
bullienti, decoque, et super pone species; et colora et assapora sicut vis. Cum
istis potes ponere caseum grattatum vel incisum. Et da quandocumque placet cum
caponibus et cum ovis vel quibuscumque carnibus.".
“Per fare la tria genovese soffriggi cipolle con olio e metti in acqua bollente; fa cuocere e mettivi sopra spezie; e colora e insaporisci come vuoi. Con queste puoi mettere formaggio grattato o tagliato a pezzi. E servile ogni qual volta ti piaccia insieme con capponi o con uova o con qualunque carne.". Sembra essere una salsa che serviva per condire una specie di spaghetti e insaporire uova o carni cotte a parte, molto diversa da quella che oggi chiamiamo “genovese”.
Da
lì si è arrivati ai ”Maccarune ‘e zita cu’ ‘a genuvese”.
Qui serve, per chi non
è napoletano, o campano, una rapida spiegazione: con il termine Maccarune, “maccheroni”,
si indica un tipo di pasta simile a un rigatone, ma assolutamente liscio e
generalmente lungo, che è necessario spezzare a mano prima di lessarlo, e
ogni pezzo deve avere la larghezza della mano che li spezza. “Zita” deriverebbe forse
da zita, ragazza,
donna nubile, da cui il vezzeggiativo zitella. Al
maschile “zito” indicava il ragazzo celibe, il fidanzato.
L’accostamento di questo tipo di pasta a una ragazza sarebbe dovuto al fatto che costituiva il piatto obbligatorio e più importante in occasione dei pranzi di matrimonio: in tal modo si festeggiava l’unione della zita con lo zito, delle donne che uscivano dal ruolo di “zitella”. E, volendo, si può pensare anche a un doppio senso.
E ora
vediamo la ricetta classica, tradotta in italiano, tratta
da “Mangiamo alla napoletana”, cucina casareccia napoletana per le quattro
stagioni, raccolta di ricette di Enzo Avitabile, ed. Regina, 1976.
“Preparate
un tritato di abbondanti cipolle, carote, sedano, un odoroso mazzetto, il lardo
e il prosciutto. Mettetelo in una casseruola con il pezzo di carne (chiamata
annecchia a Napoli, cioè carne di manzo) legato, il burro, l’olio, la
sugna, il concentrato, sale e pepe.
Fate cuocere a fuoco
basso rimestando di tanto in tanto. Quando gli ortaggi e le cipolle sono ben
cotti, alzate il fuoco e lasciate che la carne si arrosoli. Versate a più
riprese un po’ di vino bianco e lasciatelo evaporare. Di tanto in tanto allungate la salsa con un
po’ d’acqua, fin quando la carne non sarà completamente cotta. La salsa deve
riuscire lucida e ben addensata. S’intende che la carne va mangiata a parte”.
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